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Diritti / Attualità

Donne con disabilità, vittime invisibili di violenza

Sono più esposte al rischio di subire abusi, violenze e atti di stalking rispetto alle donne “senza limitazioni funzionali”, faticano ad accedere ai servizi anti-violenza e a denunciare. Sabato 25 novembre a Roma, in occasione dalla manifestazione “Non una di meno” scenderà in piazza anche un gruppo di donne e ragazze con disabilità

Emanuela è una giovane donna con disabilità motoria. Ama andare a cavallo, ma a causa della sua patologia (tetraparesi spastica) fatica a praticare questa disciplina. Un terapista le suggerisce di provare una particolare “tecnica di respirazione” per migliorare la sua condizione “ed essere meno rigida”. “Mi ha ingannata, dicendomi che se non facevo quello che lui diceva non sarei più riuscita ad andare a cavallo”, ha raccontato Emanuela durante il convegno “Ferite dimenticate”, promosso dall’associazione “Differenza Donna” di Roma. Ma quella “tecnica di respirazione” non era altro che violenza sessuale. Un abuso che inizialmente Emanuela non ha saputo riconoscere anche perché, all’epoca dei fatti, era minorenne: “Per noi donne con disabilità fisica la riabilitazione è di vitale importanza. Non sapevo come dirlo, perché il terapista mi aveva fatto credere che fosse una terapia, non sapevo che fosse una violenza”.

“Le donne con disabilità sono maggiormente esposte al rischio di subire una violenza sessuale perché hanno minori possibilità di difesa”, spiega Simona Lancioni, responsabile del sito “Informare un’H – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli” di Peccioli (Pisa) e che per quasi vent’anni ha fatto parte del “Gruppo donne” della Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare), realtà molto attenta alle esigenze e ai diritti delle donne con disabilità. Un rischio che riguarda soprattutto le donne e le ragazze con disabilità intellettiva. “Queste donne –sottolinea Lancioni- non hanno modo di raccontare quello che hanno subito. E anche quando riescono a farlo, spesso non vengono credute”. C’è poi un’ulteriore difficoltà: quella di riconoscere la violenza subita. Come nel caso di Emanuela, a rendersi conto di quello che è successo è la madre della ragazza, Paola.

Non possono difendersi, non possono fuggire e in molti casi non vengono nemmeno credute quando denunciano. Gli ultimi dati Istat disponibili rivelano che per le donne con disabilità il rischio di subire uno stupro è il doppio rispetto alle donne “senza limitazioni funzionali”: 10% le prime, contro il 4,7% delle seconde. E i rischi aumentano anche in caso di stalking: il 21,6% delle donne con disabilità ha subìto comportamenti persecutori contro circa il 14% delle altre donne.

Sabato 25 novembre, in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” un gruppo di ragazze e donne con disabilità parteciperà alla manifestazione nazionale “Non una di meno” in programma a Roma. Una presenza importante “per fare finalmente emergere la discriminazione plurima di cui sono vittime le donne con disabilità”, spiega la FISH (Federazione italiana superamento handicap).

“Le donne con disabilità subiscono diversi tipi di violenza -riflette Simona Lancioni-. La prima è quella di non essere considerate donne: in molti ospedali, ad esempio, è molto difficile fare una visita ginecologica. Perché mancano spazi e servizi pensati ad hoc per chi ha problemi di mobilità o una disabilità sensoriale”. Ci sono poi le violenze subite dai caregivers, che possono andare dal vero e proprio abuso fisico alla messa in atto di comportamenti che ne limitano la libertà: “Ad esempio la negazione dell’assistenza, i ricatti, la limitazione della libertà personale”, aggiunge Lancioni. Che sottolinea anche come la mancanza di educazione sessuale non consenta di decodificare le situazioni a rischio: “Non sapendo che si tratta di una violenza, finiscono per subirla. E non pensano che ci sia qualcosa di male anche se si sentono a disagio”, osserva.

Per riconoscere la violenza ai danni delle donne con disabilità e -soprattutto- per affrontarli occorre “uno sguardo incrociato”, sottolinea Simona Lancioni. Uno sguardo capace di cogliere le specifiche esigenze di queste due condizioni di fragilità. Una sfida non facile e che vede impreparati anche molti centri antiviolenza. L’accesso tramite servizio telefonico, ad esempio, è inaccessibile alle donne con disabilità uditiva. Bisogna fare i conti con le barriere architettoniche nelle strutture e in altri casi ancora c’è la difficoltà a riconoscere il caregiver come autore di violenza, con l’impossibilità per la vittima di denunciare liberamente.

“In Spagna c’è una fondazione che si occupa di questi problemi e c’è una maggiore sensibilità sul tema. Ad esempio hanno sviluppato una app per facilitare l’accesso ai servizi. In Italia ci sono state alcune esperienze positive, come lo sportello antiviolenza ‘Progetto Aurora’ dedicato alle donne con disabilità di Roma e quello di Torino. O ancora l’attività del ‘Gruppo donne Uildm’ ma questo non basta. Mancano proposte politiche -conclude Simona Lancioni-. Anche nel mondo delle associazioni delle persone con disabilità c’è poca attenzione alle tematiche di genere”.

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