Diritti / Attualità
Vincono una borsa di studio per raggiungere Siena ma rischiano la vita sotto le bombe a Gaza

Zaina, Shahd e Majd hanno ottenuto una borsa di studio presso l’Università di Siena ma sono ancora bloccate dentro la Striscia, poiché i consolati di Gerusalemme e de Il Cairo bloccano il rilascio del visto. Anche la mobilità accademica è sotto attacco, dopo il 7 ottobre 2023 nessuno ha lasciato Gaza per motivi universitari mentre la guerra ha distrutto oltre il 90% delle scuole. C’è chi si mobilita in Italia per contrastare il blocco israeliano
“Tutti i nostri sogni e il nostro futuro sono bloccati perché non abbiamo ottenuto il visto per lasciare la Striscia di Gaza”, scrive Zaina, 23 anni, studentessa di Amministrazione aziendale, via Whatsapp, nelle poche ore di connessione internet.
Dopo diversi spostamenti tra il Nord e il Sud, la casa distrutta e gli ultimi mesi in tenda, è riuscita a tornare a vivere con la famiglia nella casa parzialmente intera di sua nonna, appena fuori Gaza. “Per favore, fate capire quanto è importante per noi ottenere il visto -aggiunge- nonostante la situazione difficilissima, continuo a concentrarmi sui miei studi, in attesa di andare a Siena per realizzare il mio sogno di proseguire la mia formazione”.
Nell’ottobre 2024 Zaina ha vinto la borsa di studio messa a disposizione dall’Università di Siena (1.100 le domande arrivate all’Ateneo), ma ad oggi è ancora bloccata sotto le bombe nella Striscia di Gaza. Analoga situazione è quella che vivono le gemelle Shahd e Majd, anche loro studentesse di Economia. Nessuno ha lasciato la Striscia per motivi universitari dal 7 ottobre 2023, secondo Yalla Study, una rete di associazioni parte del Forum per cambiare l’ordine delle cose, specializzata nel diritto allo studio.
Ottenere le borse di studio è infatti solo il primo passo, che nelle aree di crisi e a Gaza in particolare diventa un vero e proprio calvario. Il primo problema sta nell’ottenere un appuntamento al consolato. Le ragazze, supportate dai volontari di Yalla Study, hanno fatto richiesta sia a quello del Cairo (dove si rivolge parte della popolazione di Gaza), sia a quello di Gerusalemme. In entrambi i casi la risposta è stata negativa: l’Egitto non ha risposto, mentre da Gerusalemme fanno sapere che è necessario “rilevare i dati biometrici”. Cosa impossibile visto che non possono fisicamente recarsi presso la rappresentanza.
“Tramite i nostri avvocati stiamo lavorando ai ricorsi, al Cairo per inadempimento e a Gerusalemme per rifiuto -spiega Giovanna Cavallo, coordinatrice del programma-. Ogni ricorso costa circa 800 euro e molti non se la sentono di intentare”.
È la mobilità per lo studio a essere sotto attacco. “Come prima cosa il nostro Ateneo -spiega Federico Lenzerini, delegato del Rettore dell’Università di Siena alle studentesse e studenti, alle ricercatrici e ricercatori provenienti da aree di crisi- invia una lettera a chi ha vinto la borsa da presentare al consolato per ottenere il visto, in cui si specifica che le spese per sostenere l’intero corso di studi e per vivere a Siena saranno coperte. Da più di un anno questo sistema non funziona più. Se chiamiamo per sollecitare il consolato ci risponde che non spetta a noi richiedere un appuntamento per le studentesse interessate, o addirittura non riceviamo risposta. Questo non vale solo per Gaza, ma anche per altri teatri di crisi. È frustrante perché sono rispettate tutte le condizioni previste dalla legge italiana sull’immigrazione”.
Ad aprile l’Ateneo senese ha inviato una lettera di sollecito al console generale di Gerusalemme e a una deputata italiana parte del Comitato permanente sui diritti umani nel mondo. Allo stesso tempo, dopo il mail bombing partito grazie a un post sui social di Yalla Study, l’ambasciata di Gerusalemme ha inoltrato una richiesta di informazioni del ministero degli Esteri italiano, a fine aprile, e ha dichiarato che Israele non consente l’uscita dalla Striscia anche se in possesso di un visto. “Ci sembra paradossale che l’Italia debba sottostare agli umori di Tel Aviv”, prosegue la coordinatrice.
Al caso delle tre gazawi si unirà Mohammed, per il quale è in corso di valutazione la richiesta di una borsa di studio per un dottorato di ricerca all’Università di Parma e che sta per iniziare la trafila burocratica.
Nella Striscia la situazione di scuole e università è drammatica: più del 90% sono state distrutte o danneggiate, come si legge nel rapporto di Euro-Med Human Rights Monitor pubblicato ad aprile 2025. Sono state rase al suolo 560 scuole su 564. Ad oggi le scuole in macerie vengono usate come rifugio per le persone sfollate. Tutte le università e i college sono stati distrutti o gravemente danneggiati. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite pubblicato a gennaio 2025, 51 edifici universitari sono stati devastati e 57 pesantemente colpiti, nessuno è agibile.
Tra il 7 ottobre 2023 e il 15 aprile 2025, 13.419 studenti e studentesse sono stati uccisi e 21.653 feriti e, tra il personale scolastico, sono 651 gli insegnanti deceduti e 2.791 i feriti. Il numero di studenti in prigione rimane sconosciuto, si stima che siano centinaia secondo il ministero dell’Istruzione e dell’educazione superiore palestinese.
“La maggior parte delle lezioni si tengono online, bisogna avere la fortuna di avere computer e una connessione internet. Questo sta aumentando il divario per chi ha perso davvero tutto”, racconta un’insegnante parte di Docenti per Gaza, movimento che nasce per chiedere l’apertura dei corridoi umanitari per studenti e studentesse palestinesi, come è avvenuto nella crisi ucraina. “Ci sono tante sfumature da considerare: dai ritardi cognitivi di cui soffrono i più piccoli a causa della mancanza di cibo; alle amputazioni o i danni fisici che li costringono in carrozzella o stampelle e non permettono di raggiungere le scuole organizzate in tende”.
Anche Docenti per Gaza ha supportato il mail bombing di Yalla Study per le tre studentesse. La mobilitazione prosegue anche contro il bando promosso dal ministero degli affari Esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) e l’Accordo di cooperazione tra Italia e Israele, chiedendone la sospensione per “rischio di violazione del diritto internazionale e umanitario”. Dopo le mobilitazioni del 2024, il 21 aprile è stata inviata una nuova lettera aperta al ministero e alla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), accompagnata da una raccolta firme che, in quattro giorni, aveva superato le 1.350 adesioni. Si contesta anche la collaborazione scientifica tra gli atenei italiani e quelli israeliani all’interno dell’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele. Il bando offriva finanziamenti per progetti che si rivelano spesso applicabili sia in contesti civili sia militari.
Intanto continua il mail bombing. “La Striscia è piena di studenti e studentesse che potrebbero usufruire di quest’opportunità e non lo sanno: fare uscire queste ragazze potrebbe dimostrare che è possibile -conclude Giovanna Cavallo-. Nelle zone di guerra la prima a essere sacrificata è l’istruzione. La resistenza passa anche dall’acquisizione dei diritti: se studi ottieni strumenti di autodeterminazione. Noi crediamo in queste azioni di cooperazione dal basso”.
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