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Ambiente

Vigneti da curare

Il 5 dicembre è la giornata mondiale del suolo. Lo stesso che risente pesantemente degli effetti delle coltivazioni intensive di uva. Come quelle sotto accusa per la tragedia di Refrontolo, a Treviso. In Toscana, invece, la Regione vuole limitare la monocoltura della vite —

Tratto da Altreconomia 164 — Ottobre 2014

I pubblici ministeri che cercano di far luce sulla tragedia di Refrontolo (TV), lo smottamento che ad agosto è costato la vita a 4 persone nella marca del Prosecco, “indagheranno” la viticoltura intensiva, per capire se gli sbancamenti per impiantare nuovi filari possano essere considerati tra le cause dell’evento. La Regione Toscana, invece, ha deciso di limitare la monocoltura della vite, scatenando -in vista dell’approvazione del nuovo Piano paesaggistico regionale, che verrà discusso in ottobre- quella che i media hanno definito una “guerra dei vigneti”.

Lorenzo Ciccarese
, agronomo, primo ricercatore dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e collaboratore dell’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, non ha studiato i due casi, ma è consapevole che la viticoltura può contribuire a mantenere e migliorare i servizi ecologici, per esempio la qualità dei suoli e la regimazione delle acque, ma -quando è praticata secondo pratiche poco sostenibili e troppo intensive- può generare effetti negatiivi. “La disposizione delle viti, dei filari, secondo le linee di massima pendenza, senza rispettate le curve di livello, è senz’altro più comodo per la lavorazione con i trattori, ma accelera i processi erosivi, facilitando lo scivolamento di pezzi di suolo. Per le macchine, però, lavorare in questi filari disposti ‘a rittochino’ è più semplice, perché quando i filari seguono la naturale pendenza del suolo, si dice ‘a girapoggio’, i trattori sono costretti a lavorare inclinati”. “L’uso di piccoli aratri, e la lavorazione intorno alla pianta, e non su tutto il filare, potrebbe evitare, invece, la formazione di canali di scolo, allo scopo di interrompere il deflusso dell’acqua evitando che questa raggiunga velocità tali da favorire l’erosione”. Più in generale, il ricorso a input esterni -oltre a quelli fisici, cioè ai trattori e alla frese, ci sono erbicidi, fertilizzanti ma anche l’irrigazione- aumenta “le pressioni sulle particolari condizioni ambientali”, favorendo un “impoverimento della sostanza organica dei suoli”, che di per sé non è un aspetto caratteristico del vigneto, a differenza di altre forme di uso agricolo del suolo, come i seminativi, che prevedono lavorazioni più continue. Tra gli effetti delle “azioni” fatte in vigna, che sono la fresatura, la sarchiatura, l’erpicatura, c’è anche una riduzione del contenuto di carbonio, ovvero una perdita di fertilità. “La pressione portata da un vigneto sono senz’altro maggiori rispetto alla presenza della vegetazione naturale, di un pascolo, di un arbusteto o di un boschetto” afferma Ciccarese. Sbancare le colline per “spostare” verso l’alto la frontiera delle vigne, cioè, degrada la qualità del suolo, e non è solo un problema paesaggistico. Per questo, in alcuni casi è “opportuno definire dei tetti alla percentuale di superficie dedicata a quella coltivazione, e questo vale anche per i meleti in Trentino e in Alto-Adige”. A meno di non scegliere di seguire il modello dell’agricoltura bio, che riduce le pressioni ambientali. Oppure, ad esempio, praticare il sovescio o tecniche agronomiche che prevedono l’inerbimento, cioè “il mantenimento di una coltre di erba che impedisce lo sviluppo di infestanti, delle ‘malerbe’, che entrano in competizione con piante coltivate in quanto all’acqua e ai nutrienti, e che normalmente vengono trattate con gli erbicidi” spiega Ciccarese.

Chi coltiva la vite, inoltre, deve considerare che oltre all’impatto ambientale del suo lavoro in vigna, ci sono -anche nel nostro Paese- gli effetti dei cambiamenti climatici “sulla fisiologia delle piante, che portano a un anticipo delle fioritura e della vendemmia” spiega Ciccarese.
Gli aumenti, già registrati, della temperatura e l’alterazione del regime pluviometrico hanno modificato la qualità dei vini, “che poggiano sull’equilibro di alcune sostanze che conferiscono le proprietà tipiche del vino, tra cui alcuni acidi la cui formazione è strettamente legate all’andamento climatico, oltre che al vitigno e al tipo di suolo”. Un effetto negativo sul terroir, che cambia il vino. —

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