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Economia / Opinioni

Viaggio al termine della crisi. Come affrontare la transizione verso l’ignoto

"Monaco in riva al mare", Caspar David Friedrich

La pandemia è un movimento in direzione del non conosciuto e richiede nuove mappe di navigazione. Due sono gli strumenti necessari per un riparo: la riconsiderazione del debito pubblico e una radicale riforma fiscale, gli unici in grado di garantire il reddito universale e la spesa pubblica per la ripresa dell’economia. Altrimenti sarà difficile evitare la trasformazione della rabbia in odio collettivo, scrive il prof. Alessandro Volpi per presentare il suo nuovo libro “Viaggio al termine della crisi”

Esiste un noto quadro che Caspar David Friedrich dipinse tra il 1808 e il 1810, ritoccandolo in maniera quasi maniacale più volte, in cui compare un monaco di fronte al mare. La straniante capacità di quella tela di togliere all’osservatore qualsiasi punto di riferimento ne ha fatto l’espressione, spesso citata, di una indefinibile incompiutezza e, al tempo stesso, della certezza di un approdo sconosciuto e da rendere reale attraverso una nuova immaginazione. La pandemia in corso può essere qualificata come una corsa verso l’ignoto. In pochi mesi sono venute meno le forme, le abitudini, i comportamenti e le regole che sono state largamente in uso in parti estese del nostro Pianeta, sostituite dalla drammatica ricerca di un argine finora molto debole, e costosissimo, al diffondersi della malattia.

Il sistema delle relazioni sociali si è trasformato in profondità per la rottura traumatica degli scambi generata dal “distanziamento” e ha trovato gli spazi di sopravvivenza nella dimensione pressoché esclusiva della rete. Sono cambiati il senso e il ruolo dello Stato, l’idea di sanità, le visioni urbanistiche e ambientali, le dinamiche di funzionamento dell’economia e dalla società, i processi culturali e anche le sfere affettive. Il tutto in pochi mesi. Di fronte a ciò sarebbe opportuno evitare un errore che potrebbe essere irreparabile: non è pensabile affrontare un viaggio sconosciuto, concependolo come una rotta disegnata sulle carte nautiche del passato, così come non avrebbe senso qualificare la pandemia come una parentesi, la sospensione di una “normalità” destinata a riprendere vita, praticamente identica, passata la tempesta. La pandemia dovrebbe essere letta, invece, come una transizione del tutto anomala. Si tratta infatti del passaggio da una realtà ben conosciuta, e per molti versi già logorata e irta di contraddizioni, a una da concepire e costruire con la duplice certezza che ci sarà ma che non potrà essere uguale al passato perché pensarla in termini identici al passato significherebbe non uscire dalla tempesta ma finire dentro una tempesta ancora peggiore.

Per questo siamo in una transizione anomala, diretta verso un ignoto che, per costituire un approdo possibile, sicuro e migliore, ha bisogno di una navigazione guidata da mappe e idee nuove in grado di portarci al riparo, costruendo tale approdo con i caratteri della frattura rispetto al passato, persino a quello più recente. Le proposte contenute in “Viaggio al termine della crisi” si limitano ad alcuni aspetti che riguardano soprattutto due temi centrali. Il primo è costituito dalla necessità di considerare in modo nuovo il debito pubblico, che pare essere il solo strumento capace di garantire un reddito universale e una spesa pubblica indispensabili per evitare un brutale impoverimento sociale; dunque un debito non solo per i fondamentali investimenti strutturali volti alla ripresa dell’economia ma anche come preliminare e insostituibile ammortizzatore sociale.

Il secondo tema è individuato in una radicale riforma fiscale che colpisca i nuovi modi di produzione dei redditi e della ricchezza immateriali e operi da efficace strumento di redistribuzione e di giustizia sociale. Senza debito e senza riforma fiscale non sarà possibile distinguere tra capitalismo e mercato ed evitare la trasformazione della rabbia in odio collettivo, destinato a travolgere le democrazie. Il Novecento è finito da un pezzo e i primi venti anni del nuovo secolo non possono aiutarci per il futuro. Dobbiamo fare da soli.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.

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