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Ambiente

Venaus resiste al cemento

Il Comune della Valsusa, protagonista delle lotte No Tav, sceglie la crescita zero

Tratto da Altreconomia 137 — Aprile 2012

Venaus è un paese di mille abitanti in Valsusa, famoso per le manifestazioni No Tav del dicembre 2005. Dal 9 marzo 2012, però, il piccolo borgo montano dovrà essere ricordato anche per un’altra forma di resistenza: il Comune di Venaus si è ribellato anche al cemento che avanza, e quel giorno sulla Gazzetta ufficiale della Regione Piemonte è stato pubblicato un nuovo piano regolatore a crescita “zero”. Non serve costruire, se puoi recuperare. E il primo progetto riguarda -simbolicamente- proprio il cantiere di 150 metri quadrati lasciato in eredità dai lavori mai iniziati per la linea dell’Alta velocità Torino-Lione, capannoni e baracche in cemento senza alcuna utilità. L’amministrazione sta trasformando il cantiere in uno spazio condiviso da 25 posti letto, una sala polivalente da 350 posti e un’arena da 3000 posti all’aperto per ospitare incontri e concerti. Un hangar vuoto è stato ricoperto a costo zero da pannelli fotovoltaici (il ricavo della produzione energetica verrà lasciato alla ditta che ha realizzato l’impianto), e al suo interno verrà ospitata la prima scuola di formazione nazionale per bande musicali.
Venaus, in provincia di Torino, è situato in fondo alla Val Cenischia, ai piedi del colle del Moncenisio, con vasti spazi dedicati all’alpeggio di mucche da latte. Il borgo in pietra, coi caratteristici tetti di lose, vive raccolto intorno alle due parrocchie di San Biagio e di Sant’Agata. Il recupero del cantiere che ha sfregiato un paesaggio incontaminato della Valsusa è solo uno dei tanti progetti: Venaus, infatti, ha anche impedito ogni nuova espansione residenziale. Prima ci sono le abitazioni da recuperare: vecchie cascine -abitazione, stalla e sottotetto- abbandonate perché impraticabili dopo alluvioni, frane e valanghe. Il dissesto idrogeologico fa sì che il Comune sia sottoposto a stretti vincoli urbanistici, e prima degli interventi di recupero sarà necessaria la messa in sicurezza.
Nilo Durbiano, sindaco dal 2004, ha fatto del recupero delle “catapecchie” un obiettivo del proprio lavoro: “Una casa abbandonata non è simbolo di degrado, ma un valore storico per il paesaggio e per la popolazione che lo abita”.  Attraverso uno studio idraulico e geologico ben approfondito, Durbiano e i tecnici comunali hanno proposto un piano di recupero da 10 milioni di euro, concertato con Regione Piemonte e Arpa. Così facendo verranno recuperate integralmente -e riutilizzate- tutte quelle vecchie abitazioni in stato di abbandono.
Nilo lavora in stazione, a Torino Porta Nuova. Davanti ai treni, racconta l’iter di approvazione del nuovo piano regolatore: “La maggioranza in consiglio era d’accordo con la proposta di recuperare l’esistente. Allora abbiamo organizzato alcune assemblee pubbliche: le prime informative, poi volte a raccogliere il parere dei cittadini. È stato un lavoro lungo e ben ponderato: ci abbiamo messo 7 anni per arrivare a questo risultato”. Le assemblee informative che coinvolgono i cittadini e portano in primo piano le loro idee sono, in tutta la valle, lo strumento principale di condivisione politica, usato anche per discutere di Tav. “Il cittadino ha voglia di dire la sua, ma spesso non ha gli elementi per partecipare. Ora, ad esempio, sto organizzando incontri pubblici per spiegare perché aumenterà l’Imu sulle seconde case e sui fabbricati più grandi, come quelli dell’Enel e di Iren, che in questo modo andranno a compensare economicamente l’impatto ambientale sulla nostra zona”. Venaus non hai mai ricavato molto dagli oneri di urbanizzazione: su un bilancio annuale di 1 milione di euro, rappresentano meno di 10mila euro, meno del 1% insomma. Ma questo si è rivelato un vantaggio: “Ho da sempre attuato, non senza difficoltà, una politica di razionalizzazione delle spese. Faccio un esempio: quando abbiamo costruito un vallo paravalanga da 300mila euro, cioè una montagna di terra che protegge le case dalle frane, ho dovuto insistere affinché la Comunità montana del Comune adiacente portasse a Venaus la terra di risulta degli interventi per la messa in sicurezza del fiume. Eppure, trasportarla in discarica a chilometri di distanza sarebbe costato 150mila euro. Stimolando la creatività -continua Durbiano- non ho mai dovuto usare oneri di urbanizzazione per pagare gli stipendi comunali: il premio all’orto più bello o al balcone fiorito sembrano ‘pacchianate’, ma servono per coltivare nel cittadino il senso di appartenenza al territorio. Quando un cittadino sente quel territorio come suo, non andrà a deturparlo, come non spegnerebbe mai una sigaretta sul tappeto del proprio salotto. Questo si trasforma in un investimento a lungo termine: spendo per l’organizzazione della gara ma elimino il problema degli atti vandalici, rafforzando inoltre il legame identitario fra l’uomo e la sua terra”.
A Venaus gli oneri di urbanizzazione vengono abbattuti del 90% per chi ristruttura una casa usando la losa di montagna e la muratura in pietra. Il messaggio è chiaro: chi rispetta il paesaggio e porta avanti la tradizione locale, paga di meno. Ma questo discorso può estendersi a centri più grandi? “Credo di sì. È tutto proporzionato: a un problema corrisponde una soluzione, a tanti problemi corrispondono tante soluzioni. A livello micro trovo l’esempio da trasportare a livello macro. Più costruisco e più avrò bisogno di costruire. Il recupero dell’esistente spezza questo circolo vizioso facendo risparmiare gli enti locali e di conseguenza anche i cittadini”.

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