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Ambiente / Intervista

Valter Maggi. La memoria dei ghiacciai

Il paleoclimatologo racconta come dall’analisi degli strati di ghiaccio sia possibile ricostruire le condizioni climatiche del passato. E “leggere” i cambiamenti in atto

Tratto da Altreconomia 245 — Febbraio 2022
Il campo base “Ada270” sul ghiacciaio dell’Adamello, in provincia di Brescia © Juri Baruffaldi

Da trent’anni Valter Maggi, paleoclimatologo e professore ordinario di Geografia fisica all’Università degli Studi Milano Bicocca, studia la memoria dei ghiacci per ricostruire i cambiamenti del clima della Terra nel corso dei secoli. Un lavoro che svolge sia nei laboratori di ricerca sia sul campo: sui ghiacciai delle vette più elevate e in Antartide, dove ha già realizzato 11 spedizioni.  “Il ghiaccio funziona come un archivio cartaceo. Solo che invece di essere scritte su un foglio di carta, le informazioni sono impresse su un cristallo che le cattura nel momento in cui si forma in atmosfera. E se il cristallo cade in un luogo dove la fusione è bassa o assente -pensiamo a un ghiacciaio d’alta montagna o all’Antartide- si conserva nel tempo. In questo modo, nevicata dopo nevicata, noi possiamo andare a leggere la storia del clima pagina dopo pagina: partendo dalla superficie e andando in profondità possiamo tornare indietro nel tempo”.

Professor Maggi, i ghiacciai rappresentano uno strumento prezioso per studiare la storia del clima?
VM Solo da circa 150 anni abbiamo gli strumenti che ci permettono di misurare la temperatura e avere informazioni precise sull’atmosfera. Ma per capire come funziona un sistema climatico abbiamo bisogno di lunghe serie di dati, che vadano indietro nei secoli e per noi paleoclimatologi i ghiacciai sono molto importanti perché sono l’archivio più diretto di come si sono evolute le condizioni dell’atmosfera nel corso dei secoli.

Nell’estate 2021, nell’ambito del progetto “Ada 270”, un gruppo di ricerca internazionale ha estratto dal ghiacciaio dell’Adamello, a 3.200 metri di quota, una “carota” di ghiaccio lunga 224 metri. Quanti secoli di storia del clima custodisce?
VM La stima che abbiamo fatto è di circa mille anni. Ma non abbiamo ancora un dato preciso, stiamo facendo la datazione al Carbonio 14, ma ci vorrà tempo per avere un risultato certo.

“Il ghiaccio funziona come un archivio cartaceo. Invece di essere scritte su un foglio di carta, le informazioni sono impresse su un cristallo che le cattura nel momento in cui si forma in atmosfera”

Che cosa viene “archiviato” nel ghiaccio e che tipo di informazioni è possibile andare a leggere?
VM Nei ghiacciai alpini viene conservato tutto quello che si trova in atmosfera: pollini, batteri, persino alghe. Ci sono anche le sabbie che ogni anno vengono portate dal vento attraverso il Mediterraneo, abbiamo trovato tracce dell’esplosione del reattore nucleare di Chernobyl. L’Adamello si trova nel cuore di una delle aree più industrializzate al mondo, tra la Pianura padana e il Sud della Germania. Per questo motivo i ghiacciai alpini sono molto importanti dal punto di vista delle ricostruzioni ambientali perché ci permettono di capire come si è evoluto l’ambiente nell’area centro-europea e nell’Italia del Nord. Nel ghiaccio che viene estratto nelle regioni polari, invece, andiamo a leggere informazioni diverse, non più relative all’atmosfera di una regione precisa ma al sistema climatico nel suo complesso.

Il foro lasciato dall’estrazione di una “carota” di ghiaccio dal ghiacciaio dell’Adamello nell’ambito del progetto “Ada 270” © Università Milano Bicocca

 Il cambiamento climatico causa anche la riduzione di superficie e di spessore dei ghiacciai, compromettendo la loro funzione di “archivio”. Come scienziati del clima quali sono i vostri timori?
VM Sulle catene montuose di tutto il mondo, dalle Alpi all’Himalaya, fino alle Ande noi ricercatori stiamo facendo una gara contro il tempo per cercare di portare a casa quante più informazioni possibili prima che il danno sia troppo vasto. Lo stesso ghiacciaio dell’Adamello, che si trova a una quota relativamente bassa, sta già perdendo una quantità importante di informazioni. Il discorso è diverso per l’Antartide o le regioni dell’Artico: ovviamente anche lì l’impatto dei cambiamenti climatici si fa sentire, soprattutto sulle zone costiere o in Groenlandia. Ma nelle regioni interne per il momento la situazione è ancora abbastanza tranquilla.

Valter Maggi paleoclimatologo e professore ordinario di Geografia fisica all’Università degli Studi Milano Bicocca durante la spedizione sull’Adamello © Università Milano Bicocca

Che ruolo svolge la paleoclimatologia per aiutarci a capire come funziona il clima della Terra?
VM Per rispondere a questa domanda faccio sempre l’esempio del salto in lungo: per stabilire il record del mondo in questa disciplina ho bisogno di una lunga rincorsa e di farla bene. Allo stesso modo, i climatologi hanno bisogno di informazioni sul clima del passato per guardare al futuro ed elaborare modelli di previsione. Noi paleoclimatologi siamo quelli che “fanno le rincorse”: cerchiamo di capire come funzionava il sistema climatico prima che l’azione dell’uomo influenzasse l’atmosfera. Inoltre interveniamo nella fase di verifica dei modelli elaborati in passato, ad esempio facendo perforazioni in determinate aree per verificare l’efficacia delle previsioni fatte negli anni Novanta: dovendo migliorare di volta in volta quelle che sono le nostre conoscenze, diventa importante anche verificare la bontà del lavoro fatto fino a oggi.

“I climatologi hanno bisogno di informazioni sul clima del passato per guardare al futuro ed elaborare modelli di previsione”

Quali sono stati gli obiettivi della sua ultima spedizione in Antartide?
VM La spedizione si è svolta nell’ambito di un importante progetto di ricerca finanziato dall’Unione europea e diversi Paesi, tra cui l’Italia, e di un progetto finanziato dal Programma nazionale di ricerche in Antartide. Attualmente siamo impegnati con due attività. La prima si svolge non lontano dalla stazione Concordia, una delle due basi scientifiche italiane sul continente: abbiamo individuato un luogo dove molto probabilmente riusciremo a estrarre una “carota” di ghiaccio lunga circa 2.700 metri che ci permetterà di andare indietro nel tempo di oltre un milione e mezzo di anni. La seconda attività, che mi ha coinvolto più direttamente, è stata quella di effettuare una serie di perforazioni all’interno e nei pressi di un vulcano situato lungo la costa dell’Antartide: è attivo ma non erutta da secoli, anche se non sappiamo precisamente da quanto. In questo caso la ricerca ci permetterà di avere informazioni non solo sui cambiamenti dell’atmosfera ma anche su quelli che hanno interessato le emissioni vulcaniche.

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