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Val di Susa, si può credere alla polizia di stato?

Ora che in Val di Susa le nebbie, fisiche e metaforiche, si stanno diradando e gli incidenti di domenica 3 luglio sono più chiari, è il momento di fare un po’ di domande alla nostre forze dell’ordine, tenendo a mente…

Ora che in Val di Susa le nebbie, fisiche e metaforiche, si stanno diradando e gli incidenti di domenica 3 luglio sono più chiari, è il momento di fare un po’ di domande alla nostre forze dell’ordine, tenendo a mente quel che è successo da Genova G8 in poi, perché in questi dieci anni – e i fatti di questi giorni lo dimostrano – la polizia di stato, le nostre forze dell’ordine hanno azzerato la propria credibilità.

– Prima questione: c’è un attivista bolognese che ha denunciato, mostrando la propria faccia, con nome e cognome, violenze gravissime commesse da agenti della polizia di stato. La questura ha risposto negando tutto: nessun pestaggio, nessun colpo di spranga sul volto (il ragazzo ha avuto la frattura del naso), nessun "comitato di accoglienza" (calci e insulti al passaggio in mezzo agli agenti, sul modello Bolzaneto), niente di niente. Bene, allora chiediamoci: chi indagherà? Si può credere a un comunicato della polizia, che a Genova nel 2001 – senza pentirsene in questi dieci anni – mise in piedi un’autentica macchina del falso?

Basti pensare al comunicato successivo alla mattanza alla Diaz, tutto falso dalla prima all’ultima parola, sull’aggressione subita da una pattuglia, sull’accoltellamento subito da un agente, sulle molotov attribuite agli ospiti della scuola e sulle "armi" trovate lì dentro (erano picconi di un cantiere edile), sulle ferite definite pregresse, sulle circostanze dell’arresto di Mark Covell (quasi ucciso all’esterno e non fermato dentro), sul ragazzo idnicato come "mente" del Black Bloc…

Seconda questione che forze dell’ordine responsabili dovrebbero affrontare: perché ci si è opposti a introdurre l’obbligo per gli agenti di avere un codice identificativo sulle divise? Lo consigliò, nel 2001, addirittura l’ispettore chiamato a fare un’indagine interna dopo il blitz alla Diaz. Se il codice fosse obbligatorio, forse oggi potremmo chiedere all’attivista che dichiara d’essere stato pestato di citarne qualcuno, perché avrebbe potuto leggerli e tenerli a mente; forse, soprattutto, nessuno si sarebbe permesso di pestarlo in quel modo, temendo di essere poi identificato.

Ora toccherà alla magistratura indagare sulle accuse di Fabiano e non vorremmo che si ripetesse lo schema-Genova: nel 2001 e anni seguenti, la polizia ha tenuto un atteggiamento omertoso, ha ostacolato le inchieste, ha spesso impedito l’identificazione degli agenti, inviando fotografie inutilizzabili, negando di riconoscere agenti e funzionari (scandalosi i casi dell’agente con la coda di cavallo impeganto alla Diaz e la firma di un funzionario  in calce a un verbale d’arresto, illeggibile per i magistrati e rimasta sconosciuta). Ci si può fidare di una polizia così?

Terza questione legata alle altre due. Testimonianze, filmati, fotografie dimostrano che gli agenti hanno sparato molti lacrimogeni ad altezza d’uomo, armati probabilmente con il gas CS, una sostanza tossica inserita fra le “armi chimiche” contestate a suo tempo all’Iraq di Saddam Hussein, ma incredibilmente ammessa per l’uso civile. Ebbene, chi risponderà di quell’abuso? Anche lì toccherà alla magistratura indagare, tentare i riconoscimenti dei singoli agenti? Perché non esiste in Italia una struttura indipendente incaricata di indagare su eventuali abusi delle forze di sicurezza’ Come dimostra quanto detto finora, l’Italia non è in grado di farne a meno.

Quarta questione: la Digos di Torino sta parlando di Black Bloc – stavolta autentici fantasmi – e ha mostrato “armi” sequestrate, perfino sacche di ammoniaca, attribuendole ai “manifestanti”, replicando la penosa conferenza stampa del 22 luglio 2001 post Diaz: chi può credere, con un simile precedente (mai ripudiato), a queesta nuova esibizione di armi che nessuno risulta avere usato?

Ultima questione, che riassume tutte le precedenti. Nelle prossime settimane è prevedibile un’ondata di arresti, a carico di tutti i manifestanti identificati mentre lanciano sassi oltre le recizioni di Chiomonte. Il ministro dell’Interno – confermando il deliberato intento di esasperare i toni (intento che spiega buona parte dei fatti di domenica) – ha addirittura invocato l’applicazione dell’accusa di tentato omicidio; ha parlato di terrorismo, dimostrando d’essere – lui sì – un estremista.

Ebbene, una polizia così poco credibile, guidata da un vertice che non ha mai rinnegato gli abusi di potere compiuti nel 2001 a Genova, che ha mantenuto in posti di rilevante potere dirigenti condannati in secondo grado per gravi reati (falso e calunnia), che non ha mai fatto alcuna operazione di autocritica e trasparenza, con quale autorevolezza morale, con quale legittimità – di fronte ai cittadini – può condurre quest’inchiesta, eseguire quegli arresti?

Chi può credere, oggi, nell’Italia del 2011, a quel che dice la polizia di stato?

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