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Diritti

Val di Susa, laboratorio di autoritarismo

Checché ne dica il procuratore Caselli, la retata di attivisti No Tav è parte dell’opera di criminalizzazione del movimento in atto da molto tempo. Il messaggio è molto netto – la contestazione non è tollerabile – e ha un valore politico nazionale: si sta affinando un preciso stile di governo al tempo della recessione. E’ una sfida che toccherà affrontare. Con una strategia di radicale nonviolenza

 

 Ha un bel dire il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, che la retata del 26 gennaio non è stata attuata contro il movimento No Tav. La realtà è che le decine di arresti simultanei, il risalto dato alla presenza fra gli arrestati di un ex brigatista, l’enorme sproporzione rispetto a fatti avvenuti a Chiomonte il 3 luglio scorso (disordini certo non drammatici), hanno attribuito a quest’operazione di polizia un valore emblematico potente, amplificato da un sistema dell’informazione che proprio non riesce a mantenere un profilo di autonomia quando si parla di ordine pubblico, dissenso organizzato, contestazione forte del potere.

La retata del 26 gennaio si inserisce nell’opera di criminalizzazione che da tempo investe il movimento No Tav, diventato lo spauracchio di poteri politico-affaristici che in questa fase declinante dell’ideologia neoliberista si fanno via via più accaniti.

La questione del Tav in Val di Susa ha una natura fortemente simbolica. Lì si confrontano due visioni contrapposte dello sviluppo e della democrazia. Sono due visioni inconciliabili e la Val di Susa è il terreno di scontro fra queste visioni. La grande opera dev’essere fatta per favorire crescita e sviluppo, dicono gli uni; si tratta di un’opera inutile, superata e immotivata, che viene imposta dall’alto in un territorio già martoriato, dicono gli altri.

L’enorme mobilitazione popolare in Val di Susa è ciò che fa la differenza e che risulta insopportabile al ceto politico-affaristico, abituato a decidere nelle segrete stanze e senza incontrare ostacoli fra la gennte. Perciò da mesi e mesi la lobby pro Tav chiede sanzioni esemplari per i contestatori, descritti come facinorosi oltre che retrogradi per la loro opposizione ai cascami dell’ideologia neoliberista. Le sanzioni stanno arrivando.

Siamo di fronte a una questione politica di rilievo nazionale, gravida di conseguenze per il futuro. La criminalizzazione della protesta in Val di Susa è un monito potente per altri gruppi e movimenti attivi nel paese: il messaggio è che il potere non accetta contestazioni radicali, durature e che toccano i temi di fondo. E non le accetta, in modo particolare, in una fase di recessione e di incertezza come questa.

C’è uno stile di governo autoritario che si sta affinando: in questo senso, la Val di Susa è un laboratorio a cielo aperto. E’ una sfida che va affrontata. Il movimento No Tav ha grande esperienza e maturità, e saprà uscire dall’angolo anche questa volta.

Vista da fuori, questa vicenda mostra quanto sia vincente e necessaria la scelta di una strategia di radicale nonviolenza. Il potere politico-affarista sta giocando le sue carte più importanti sulla criminalizzazione dei contestatori. Non aspettano altro che provocazioni, eccessi, errori per gridare alla protesta estremistica, violenta e così via. E’ un’aspettativa che dev’essere disinnescata.

Alla fine le buone ragioni che spingono a respingere e cancellare il progetto di grande opera meno motivato che si conosca, sono destinate a prevalere.

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