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Opinioni

L’utopia di una scelta controcorrente

Stefano lavora in autostrada, a una stazione di servizio. Che raggiunge in bici, pedalando 30 chilometri al giorno. “Piano Terra”, la rubrica del professor Paolo Pileri

Tratto da Altreconomia 187 — Novembre 2016
Dal 2 febbraio 2016, in Italia è garantita copertura assicurativa Inail a chi va al lavoro in bicicletta

Stefano lavora a un’area di servizio sull’autostrada A1. È addetto alla pompa del metano per auto. Le giornate passano lente. Fuori con qualsiasi tempo e a ogni ora; da una parte lo sferza lo spostamento d’aria violento dell’alta velocità, dall’altro il rollio continuo delle auto a 130 all’ora; incontra tanta gente, ma non parla con nessuno: se ci pensate, a quelli delle pompe di benzina non si chiede neppure il nome.
Decido di rompere gli schemi e così chiedo: “Come vanno le cose?”. “Alcuni vanno via, altri arrivano e io sono sempre qui”, taglia corto. Cambio argomento. “Abita lontano da qua?”. “15 chilometri”, fa lui. “Ogni giorno un piccolo viaggio”. “Ah no! Io ho deciso che basta auto, l’ho venduta! Ci vengo in bici al lavoro. È tutta un’altra cosa”. Sorride soddisfatto. “Davvero?”, dico io. “Sì. Tutto questo progresso, questa velocità mi hanno rotto. E così ho deciso per la bici”. La reazione inedita di Stefano mi conquista.

3.893. È il numero di Comuni in Italia tra il 2012 e il 2015 si è consumato suolo, nonostante una diminuizione della popolazione e nonostante la crisi. Basta questo come campanello d’allarme di una politica urbanistica allo sbando? Oppure continuiamo a etichettare chi vuole tutelare il suolo come idealista, sognatore e un po’ utopista?

Intuisco in quel gesto un che di sovversivo pur senza essere eroico, un atto personale che può far bene a tutti e che non muove da convenienze economiche, ma dal coraggio di cercare un’altra pagina per la propria vita. Non è detto che Stefano abbia in testa la fissa di voler cambiare il mondo, ma sicuramente ha deciso di cambiare il modo in cui starci (lui non lo sa, ma è così che invece il mondo cambia!). Un attimo prima di prendere quella decisione, molti gli avranno dato del matto, dell’idealista, di chi fa cose che non stanno né in cielo né in terra: un piccolo (inutile) utopista. Ma lui ha dato retta al brivido dell’illusione che gli ha indicato la strada, perché in fondo le illusioni non esistono per essere realizzate, ma per accelerare la realizzazione di ciò che è realizzabile nonostante ti dicano che è impossibile (Agnes Heller). E quei 15 chilometri in bici sono diventati realtà perché Stefano ha avuto il coraggio e la libertà di esplorare lo spazio della scelta critica. Non ha mortificato la sua illusione sul nascere. Non si è arreso anzitempo. Non ha ascoltato chi lo dissuadeva invocando la normalità (ma cosa è poi la normalità?).

Io credo che Stefano sia l’archè del buon cittadino, ovvero colui che mette un piede fuori dal cerchio dell’apatia, lascia le comode certezze per seguire un’idea. Ma, soprattutto, ragiona con la sua testa, immaginando caparbiamente che un modo migliore per vivere possa esistere. Senza saperlo, Stefano ci ha dato la dimostrazione che le utopie sono il motore di ogni innovazione personale e civile. Una società senza utopie si ferma e soffoca, ripiegando su un possibile sempre più ristretto, sempre più piccolo e sempre più distante dal necessario e dall’importante.
Non dobbiamo aver paura di sognare perché il sogno è la grande speranza che ci muove verso traguardi che razionalmente neppur intuiamo. Ogni buona cosa nasce dal coraggio dell’utopia. Almeno di questo è convinto lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano: “Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare”.

Paolo Pileri è professore associato di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Che cosa c’è sotto” (Altreconomia, 2016)

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