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Ambiente / Approfondimento

Le università italiane all’opera per raggiungere la decarbonizzazione

Elettricità, climatizzazione, mobilità: da Genova a Torino gli atenei stanno affrontando la sfida della neutralità climatica attraverso inventari delle emissioni, iniziative di riduzione e riqualificazione. In nove sono a buon punto

Tratto da Altreconomia 231 — Novembre 2020
Lo Smart energy building (Seb) dell'Università degli Studi di Genova. Si tratta di uno dei rari edifici accademici italiani carbon free ed energeticamente indipendenti. Si trova nel Campus di Savona dal 2017 © Archivio Seb Savona

Fotovoltaico, energia geotermica, recupero dell’acqua piovana, torrette per la ricarica dei veicoli elettrici sono alcune caratteristiche dello Smart energy building (Seb) dell’Università degli Studi di Genova. Situato nel Campus di Savona e operativo dal febbraio 2017, il SEB è uno dei rari edifici accademici in Italia energicamente indipendente e carbon free. Costruire un edificio climaticamente neutrale è un bel successo ma una sfida ancora più grande è condurre tutti gli atenei italiani a una completa decarbonizzazione. Ed è proprio l’obiettivo al 2050 della Rete delle università per lo sviluppo sostenibile (Rus), che si è proposta di fare da guida ai 74 atenei aderenti in questo percorso (circa il 90% delle università italiane).

La Rus, nata nel 2015 per volontà della Conferenza dei rettori delle università italiane, ha lo scopo di promuovere i Sustainable development goals, obiettivi Onu di sviluppo sostenibile al 2030. Il raggiungimento della neutralità climatica degli atenei si inserisce anche nella cornice del Green Deal con il quale l’Unione europea si è impegnata alla decarbonizzazione entro il 2050, in linea con gli impegni dell’Accordo di Parigi per la lotta al riscaldamento globale. Il primo passo nel percorso verso la neutralità climatica è conoscere l’impronta di carbonio degli atenei, ovvero la quantità di emissioni di gas serra generate in un anno da attività e strutture. Per questo a marzo 2019 il Gruppo di lavoro cambiamenti climatici della Rus, coordinato dal professor Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano (ed editorialista di Altreconomia), ha elaborato le linee guida per la redazione degli “inventari” delle emissioni. Ogni anno gli atenei aderenti registreranno le emissioni di CO2, che rappresenta il 99% dei gas a effetto serra generati dalle strutture universitarie, in relazione a tre ambiti: consumi diretti di energia, consumi indiretti e mobilità.

Fino a oggi sono nove su 74 le università che hanno terminato l’inventario: solo queste generano in un anno 213.667 tonnellate di CO2, quantità analoga all’impronta di carbonio di 38mila persone in Italia. Se questi nove atenei erano già abituati a monitorare i propri consumi -Ca’ Foscari a Venezia ha iniziato per prima a calcolare la carbon footprint nel 2012- per gli altri si tratta di un nuovo esercizio, attualmente in corso. Nel frattempo, il Gruppo di lavoro sta mettendo mano alle linee guida dei piani di mitigazione che solo poche università hanno per ora definito e approvato.

Purtroppo lo Smart Energy Building di Savona non è rappresentativo della realtà universitaria del Paese, fatta in gran parte di vecchi edifici energivori con alta dispersione di calore e strutture da riqualificare. “A livello mondiale i campus a minore impatto ambientale, spesso in Nord Europa e negli Stati Uniti, sono di nuova costruzione, situati in zone con ampi spazi verdi e dotati di una rete energetica indipendente”, spiega Giacomo Magatti, referente dell’ufficio sostenibilità dell’Università degli Studi Milano Bicocca.

Invece in Italia le università spesso sorgono in siti storici: si pensi al cinquecentesco Palazzo Poggi, sede dell’Alma Mater Studiorum di Bologna o alla Ca’ Granda, ex ospedale del diciottesimo secolo che oggi ospita la Statale di Milano. Purtroppo “la stessa Bicocca, costruita negli anni Novanta nell’ex polo industriale Pirelli, è nata vecchia da un punto di vista energetico”, sostiene il professor Valter Maggi che dal 2013 è referente del progetto “Carbon management” e insieme a Magatti si occupa del calcolo dell’impronta di carbonio dell’ateneo: nel 2018 è stata di 51.548 tonnellate di CO2, il 38% delle quali da attribuire a elettricità e climatizzazione.

Nel 2018 l’impronta carbonica dell’Università Bicocca è stata di 51.548 tonnellate di CO2, il 38% delle quali da elettricità e climatizzazione

In Bicocca è stato istituito un bando pubblico attualmente aperto per l’efficientamento degli edifici che richiede “una riduzione minima del 30% dei consumi energetici in dieci anni e l’autoproduzione di energia da fotovoltaico, con l’obiettivo di diventare almeno in parte produttori della nostra energia”, continua il professor Maggi.

All’energia da fonti rinnovabili certificate fornita da Global power fa affidamento completo da alcuni anni l’Università degli Studi di Genova che, secondo le stime dell’ateneo del 2019, è riuscita a ridurre del 74% rispetto al 2015 le emissioni indirette derivanti dai consumi energetici. “L’energia rinnovabile è un elemento imprescindibile per il raggiungimento della neutralità climatica che l’Università di Genova si è impegnata a conseguire per il 2030, ovvero 20 anni prima del target europeo annunciato con il Green Deal”, racconta la professoressa Adriana Del Borghi, delegata del rettore alla sostenibilità ambientale e referente dell’ateneo per la Rus. Il 25 settembre 2019, il consiglio di amministrazione dell’Università di Genova ha deciso di aderire all’iniziativa di dichiarazione di emergenza climatica lanciata dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) sottoscrivendo una lettera d’intenti con la quale si impegna a raggiungere la decarbonizzazione in dieci anni: c’è ancora molto da fare, soprattutto per riqualificare gli edifici storici di Genova. L’ateneo genera 26.426 tonnellate di CO2 all’anno e un nuovo piano di mitigazione, attualmente in fase di elaborazione, specificherà gli interventi da condurre durante il nuovo rettorato 2020-2026, cruciale per gli obiettivi al 2030.

“Solo con tecnologie avanzate potremo ridurre le emissioni di macchinari energivori usati nei laboratori scientifici e indispensabili per la ricerca” – Andrea Tartaglino

L’Università degli Studi di Torino, come quella di Genova, fa parte dei nove atenei che hanno già stilato l’inventario delle emissioni richiesto dalla Rus. È anche la seconda università italiana (dopo l’Alma Mater Studiorum di Bologna) e 41esima nel mondo nel Greenmetric world university ranking, classifica internazionale lanciata nel 2010 dall’Università dell’Indonesia che valuta gli atenei in base alla loro sostenibilità ambientale in diversi ambiti: infrastrutture, rifiuti, energia, acqua, trasporti e educazione. “L’Università di Torino nel 2016 ha fondato il primo Green Office in Italia che promuove le azioni di sostenibilità all’interno dell’ateneo”, racconta l’ingegnere Andrea Tartaglino, da 20 anni energy manager presso l’università torinese, che attualmente sta lavorando al nuovo piano energetico. Esso conterrà interventi che la maggioranza degli atenei italiani dovranno affrontare nei prossimi anni come l’istallazione di fotovoltaici, la coibentazione delle pareti e l’efficientamento del sistema di illuminazione.

Lo Smart energy building (Seb) dell’Università degli Studi di Genova. Si tratta di uno dei rari edifici accademici italiani carbon free ed energeticamente indipendente. Si trova nel Campus di Savona dal 2017 © Archivio SEB Savona

Nei prossimi mesi inizieranno i lavori del nuovo polo del Campus di Grugliasco (TO), che ospiterà i dipartimenti di Chimica, Scienze della vita e Biologia dei sistemi in uno spazio di 121mila metri quadrati, con un parco urbano di 40mila metri quadrati e un’area adibita alle attività sportive affidate al Cus Torino. “Sarà un edificio climaticamente neutrale e certificato LEED, sistema statunitense di classificazione dell’impronta ecologica degli edifici”, spiega l’energy manager. Ma l’ateneo torinese, con un’impronta di carbonio di 23.081 tCO2eq/anno, è composto in totale da 120 edifici, molti dei quali da riqualificare. Grazie ai tre trigeneratori, che producono dallo stesso combustibile energia elettrica e calore, l’ateneo ottiene da una decina d’anni un importante risparmio energetico. Ma, conclude Tartaglino, “per raggiungere la decarbonizzazione è necessario investire nell’innovazione: solo attraverso tecnologie avanzate potremo ridurre le emissioni dei macchinari energivori usati nei laboratori scientifici e indispensabili per la ricerca”.

L’altra grande sfida per la mitigazione delle emissioni di gas serra degli atenei è la mobilità. Se infatti riscaldamento e luce sono responsabili di buona parte delle impronte carboniche, la quota di emissioni legate alla mobilità spesso è quella preponderante: a Genova rappresenta il 54,7% delle emissioni totali dell’ateneo, a Bicocca il 61%, a La Sapienza di Roma il 57%.

Nel Piano strategico energetico e ambientale 2017-2030, La Sapienza prevede l’istallazione di colonnine di ricarica per veicoli elettrici, sconti per abbonamenti a car sharing e una app per monitorare e incentivare la mobilità sostenibile. La Bicocca, invece, ha aderito a “Forestami”, progetto del Comune di Milano che mira a piantare tre milioni di alberi nel territorio cittadino entro il 2030 e sta pianificando un aumento delle piste ciclabili. Secondo Giacomo Magatti “il problema della mobilità racchiude in sé una fondamentale sfida per raggiungere la neutralità climatica che è quella del cambiamento dei comportamenti”. Gli interventi strutturali di riqualificazione sono importanti tanto quanto quelli di sensibilizzazione che hanno il compito di diffondere un nuovo tipo di cultura, indispensabile per una società decarbonizzata. La strada è ancora lunga ma se l’Università di Genova riuscirà a tenere fede ai suoi impegni tra dieci anni avremo il primo ateneo carbon free e un modello da seguire.

In dettaglio
Riduzione delle emissioni: come vanno le cose in Europa

Molte università europee hanno elaborato dei piani di riduzione delle emissioni in linea con il target Ue annunciato dal Green Deal al 2050. Alcune hanno preso impegni ancora più sfidanti: il Politecnico di Madrid ha dichiarato che raggiungerà la neutralità climatica nel 2040, l’Università Cattolica di Lille nel 2035, la Freie Universität di Berlino addirittura nel 2025. Ma il Green Deal non ha ancora portato a un’armonizzazione delle politiche climatiche delle università europee: ogni ateneo ha preso impegni singoli in base alle politiche nazionali.

A ottobre 2019, 20 università del Regno Unito (Brexit a parte) hanno siglato un accordo per l’acquisto di 50 milioni di sterline di energia rinnovabile da parchi eolici in Scozia e in Galles. Inoltre sotto la pressione del National Union of Students, 77 atenei britannici (più della metà del totale) si sono impegnati a disinvestire dai combustibili fossili. In Svezia 37 università e istituti superiori hanno firmato il Chalmers Climate Framework, un documento con cui si impegnano in una completa decarbonizzazione per il 2045 rispettando la scadenza nazionale. La Chalmers University of Technology di Göteborg, principale promotrice dell’iniziativa, sta lavorando per estenderla oltre i confini nazionali, a cominciare dalla IDEA League, alleanza nata nel 1999 che unisce la Chalmers ad altre quattro università scientifiche europee: il Politecnico di Milano, l’Università Tecnica di Aquisgrana, il Politecnico Federale di Zurigo, l’Università Tecnica di Delft.

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