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Università in provetta – Ae 70

I corsi di laurea in Biotecnologie negli ultimi anni sono esplosi. Un piccolo esercito di studenti che impara tra l’altro ad avere fiducia negli ogm, ma anche come comunicare al meglio, in futuro, il proprio lavoro. Sempre che dopo la…

Tratto da Altreconomia 70 — Marzo 2006

I corsi di laurea in Biotecnologie negli ultimi anni sono esplosi. Un piccolo esercito di studenti che impara tra l’altro ad avere fiducia negli ogm, ma anche come comunicare al meglio, in futuro, il proprio lavoro. Sempre che dopo la laurea non restino a spasso

Nicola ha discusso la tesi a luglio, si è goduto un po’ di meritato riposo, poi si è guardato intorno e ha capito che era meglio fare le valigie. Con i suoi 25 anni e una laurea in Biotecnologie agrarie in tasca, Nicola Costa sta percorrendo la strada di molti studenti che, come lui, sperano di riuscire a occuparsi di ricerca di base, in teoria lo sbocco naturale di chi ha scelto questo settore di studi, in pratica un ambito con scarse possibilità d’impiego in Italia (soprattutto in certi campi, come l’agroalimentare). Nonostante tutto, negli ultimi anni i corsi universitari in Biotecnologie sono esplosi: a metà degli anni 90 erano nove gli atenei che, per primi, avevano istituito le lauree quinquennali, oggi sono oltre 50 -complice la riforma universitaria- con altrettanti corsi di laurea e un centinaio abbondante di indirizzi.

Le immatricolazioni aumentano (dalle 1.772 dell’anno accademico 2001-2002 alle 4.350 del 2005-2006) e gli iscritti totali sono oltre 12.500 (per il 60% donne).

Un piccolo esercito di studenti che deve fare i conti, tra l’altro, con la questione degli organismi geneticamente modificati, uno dei temi più controversi degli ultimi anni: tutti li studiano -con gradi differenti di approfondimento-, ma è soprattutto chi si occupa di biotecnologie agrarie, ambientali o alimentari a mettere le mani sugli ogm vegetali, quelli che più spaventano l’opinione pubblica e per i quali sono in corso vere e proprie “guerre” a livello politico e normativo (vedi la decisione della Wto di cui parliamo a pag. 12). Tra le università considerate all’avanguardia in questo settore ci sono Milano, Piacenza (università Cattolica), Siena, Viterbo (università della Tuscia), Roma, Napoli. A questi corsi vanno aggiunti anche quelli in Biologia e Scienze biologiche, che affrontano il tema.

Un tour tra i piani di studio delle facoltà racconta di un approccio didattico agli ogm che varia a seconda del docente, ma che in genere dà per scontata questa tecnologia che permette di modificare il Dna di una pianta o di un animale con l’inserimento di geni di altre specie, e la guarda con fiducia (con derive verso l’entusiasmo vero e proprio).

Se studiate a Milano, per esempio, vi può capitare di seguire il corso di Botanica di Francesco Sala, che è professore ordinario a Scienze biologiche e un volto molto noto del fronte pro-ogm: impegnato negli ultimi vent’anni principalmente nella ricerca di piante transgeniche (con interesse in particolare per riso e pioppo resistenti agli insetti), ed ex consulente della multinazionale del biotech Syngenta, è un esempio, non così infrequente nel mondo accademico, dell’intreccio di interessi tra università e aziende private. Gli ogm Sala li difende a spada tratta ma, assicura, lui con gli studenti è abituato a “discutere su basi scientifiche, non ideologiche”. In aula, oltre alle basi della disciplina, porta anche i risultati del proprio lavoro, tra l’altro un melo ogm resistente al coleottero “Melolontha” che ne attacca le radici e, in collaborazione con l’Istituto Pasteur di Parigi, lo sviluppo di vaccini a partire da piante transgeniche.

“Ci occupiamo di piante tipiche dell’agricoltura italiana -precisa- come il riso carnaroli modificato per resistere a un fungo parassita”.

“Praticamente ogni professore si è fatto il suo corso, ma dopo la riforma il livello dell’insegnamento è peggiorato molto”, spiega Marcello Buiatti, che insegna a Firenze e ha un punto di vista trasversale sul settore: insegna Genetica generale e Genetica della popolazione a Scienze biologiche, conduce il laboratorio di Bioinformatica a Biotecnologie ed è presidente del Centro interdipartimentale di biotecnologie di interesse agrario, chimico e industriale. Dice: “Se dovessi dare un consiglio a un giovane interessato alle biotecnologie e agli ogm in particolare, gli direi di iscriversi a Biologia, perché è un corso di laurea che fornisce una preparazione più ampia, mentre Biotecnologie forma dei tecnici che escono dall’univesità con un’immagine meccanica dei sistemi viventi, senza le basi necessarie a considerare tutte le conseguenze (soprattutto quelle impreviste) che possono derivare dall’inserimento di un gene in un organismo”.

Molti corsi di laurea, migliaia di iscritti, ma studi che, spesso, non trovano applicazioni pratiche. Riccardo Bocci è consulente dell’Istituto agronomico per l’Oltremare e tra gli autori del libro Grano o grane. La sfida ogm in Italia: “Gli studenti ricevono una formazione molto specialistica -conferma-, studiano le ricerche più innovative del momento, che però hanno pochi collegamenti con la realtà”, dal Golden rice ricco di beta-carotene alla banana che produce vaccini, alla patata modificata per ottenere una frittura più croccante.

In mezzo ai corsi tecnici che gli studenti si trovano ad affrontare, iniziano a diffondersi anche quelli, più insoliti in questo settore, di comunicazione: perché è evidente lo scollamento tra chi gli ogm li studia e chi, all’esterno, continua a non fidarsi del “cibo di Frankenstein”.

“Troppo spesso gli scienziati pensano che la gente tema gli ogm perché non li conosce”, ribatte Andrea Cerroni, professore di Sociologia della scienza e comunicazione scientifica al corso di Biotecnologie dell’Università di Milano Bicocca. “Ma è un atteggiamento sbagliato -dice-. È più importante, semmai, dare alla gente gli strumenti per capire le fonti dell’informazione e per poter scegliere. Gli scienziati devono imparare a uscire dal loro laboratorio”. Con un bagaglio del genere, i neolaureati in Biotecnologie o in Scienze biologiche faranno comunque fatica a trovare lavoro, per lo meno in patria: lo sbocco principale è la ricerca, ma in Italia se ne fa poca, soprattutto in ambito agroalimentare dove le aziende non hanno interesse a investire sugli ogm perché, ti spiegano, in Italia non c’è mercato (migliore la situazione per i biotecnologi farmaceutici e medici). Alternative: cercare un impiego in università come dottorandi, assegnisti o borsisti (destino di gran parte dei neolaureati, secondo una ricerca dell’Associazione nazionale biotecnologi), tentare di diventare informatori scientifici o farmaceutici, oppure giocarsi la carta dell’estero.

Per il momento Nicola sta sostenendo colloqui in università francesi e britanniche: “Cerco un dottorato che mi permetta di continuare i miei studi sulle patologie delle piante”, racconta. Il rischio, come capita a molti, è quello di essere poi costretti a stabilirsi definitivamente oltrefrontiera: “Io non vorrei. Però…”.

La Wto “condanna” l’Europa

La Wto ha bocciato le misure europee anti-ogm. La decisione, arrivata poche settimane fa, dà ragione a Stati Uniti, Canada e Argentina, che nel 2003 si erano appellati all’Organizzazione mondiale del commercio contro la moratoria decisa dall’Unione Europea nel 1998: la sospensione di nuove autorizzazioni alla commercializzazione di ogm è stata considerata dalla Wto come lesiva dei trattati di commercio internazionale. Dopo il ricorso all’apposito Dispute settlement body, l’Unione Europea aveva parzialmente corretto il tiro, concedendo l’autorizzazione alla vendita di un mais Bt (modificato per resistere ai parassiti) di Syngenta, ma la mossa non metteva di fatto fine alla moratoria. Ora, una volta che la sentenza della Wto sarà stata ufficializzata, l’Ue potrà ricorrere in appello e solo dopo una seconda condanna potrebbe essere sottoposta a sanzioni.

Vita sotto brevetto

Vietato brevettare il corpo umano, ma non “un’invenzione relativa a un elemento isolato dal corpo umano”. A febbraio il Parlamento ha ratificato il decreto del Consiglio dei ministri di dicembre che recepiva la direttiva europea sulla “protezione giuridica delle innovazioni biotecnologiche”. Una norma, varata nel 1998, di dubbia liceità morale e giuridica, tanto da spingere Olanda e Italia a presentare un ricorso che la Corte europea di giustizia ha respinto nel 2001. Subito dopo, l’Italia ha avviato il processo di recepimento alle Camere dove sono stati introdotti emendamenti migliorativi (come i vincoli per utilizzo o modifica dell’identità genetica di varietà o razze autoctone o incluse in disciplinari a marchio “Dop” o “Igp”), incapaci però di mettere in discussione il principio della brevettabilità del vivente o di circoscriverla con rigore.

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