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Diritti / Approfondimento

Aperta e inclusiva: quando l’università accoglie gli studenti

Sono oltre 26mila gli iscritti con disabilità e Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA). Ma la vera sfida oggi è offrire servizi che considerino tutti coloro che possono avere delle difficoltà, abbattendo le discriminazioni

Tratto da Altreconomia 219 — Ottobre 2019
Una immagine dei laboratori di “Teatro a rotelle”, una delle iniziative promosse dai Servizi alla disabilità e Dsa dell’Università di Verona per favorire l’inclusione tra gli studenti con disabilità dell’ateneo - © Università di Verona

Un sito internet dove le informazioni si possono ascoltare, oltre che leggere, e in diverse lingue. Un libro proposto in formato digitale e tradotto in Braille. Un palazzo storico dotato di ascensori e di bagni accessibili a tutti. L’università, sempre più meticcia, riapre le porte accogliendo la sfida dell’inclusione, iniziando da servizi come questi che sono essenziali alla frequentazione dei corsi da parte di una popolazione studentesca sempre più complessa e sfaccettata.

Da vent’anni, infatti, la legge (17/1999) tutela le persone che hanno delle disabilità garantendone i diritti anche all’interno delle università, con servizi specifici, sussidi tecnici e didattici e il tutoraggio specializzato. E dal 2010, la legge 170 tutela anche le persone con Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA). Ma nella complessità del presente, “la vera sfida è che questi servizi non rispondano solo alle esigenze degli studenti e studentesse con disabilità e DSA, ma che favoriscano lo sviluppo di un contesto universitario che considera e accoglie tutti coloro che possono incontrare delle difficoltà”, aggiunge la professoressa Laura Nota, delegata del rettore per la disabilità dell’Università di Padova e direttrice del Centro di ateneo per la disabilità, la riabilitazione e l’integrazione (unipd.it/inclusione-e-disabilita). Come gli studenti stranieri o quelli che lavorano: “La popolazione studentesca è sempre più eterogenea e quindi ragionare in termini di inclusione significa fare riferimento alle diversità che abitano l’ateneo”, specifica Giorgio Gosetti, docente di Sociologia del lavoro all’Università di Verona e delegato del rettore per il diritto allo studio. Si passa così dal concetto di “inserimento”, che -secondo Laura Nota- pur garantendo la presenza delle persone con disabilità nei contesti comunitari prevede “il dare enfasi a condizioni speciali”, all’“integrazione”, ovvero l’idea di “fare insieme”. Fino al più recente approccio dell’“inclusione”, che “si occupa di tutte e tutti, per abbattere discriminazioni e diseguaglianze e dare valore alle unicità grazie a servizi di qualità, in un’ottica multidisciplinare”.

Facendo un passo indietro, la figura del docente delegato dal rettore per la disabilità e i DSA -l’unico previsto obbligatoriamente per legge nelle università italiane- ha il ruolo di “coordinamento, monitoraggio e supporto” alle iniziative a favore dell’integrazione, come spiega Marisa Pavone, docente di Didattica e pedagogia speciale all’Università di Torino (unito.it) e presidente della Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità (Cnudd). Oltre alle associazioni delle persone con disabilità, l’interlocutore principale della Cnudd -un ente nato nel 2001 all’interno della Crui, la Conferenza dei Rettori delle Università italiane, per favorire lo scambio di buone prassi e creare sinergie tra le università italiane-, è il ministero dell’Istruzione (Miur), “con cui condividiamo politiche e progettualità a favore dell’inclusione” e da cui gli atenei ricevono dei finanziamenti sulla base del numero di studenti iscritti.

415% è l’aumento del numero di studenti con disabilità iscritti negli atenei italiani tra il 1999 (erano 4.709) e il 2017 (sono 19.580)

Nell’anno accademico 2017/18, l’Università di Torino -che integra queste cifre con un fondo proprio- ha ricevuto dal Miur circa 400mila euro, di cui 220mila per gli studenti con disabilità e 170mila per quelli con DSA. “L’Università di Torino, al luglio 2019, aveva 811 studenti con disabilità e 1.313 con DSA: quest’ultimo è il numero più alto tra tutti gli atenei in Italia”, osserva Pavone. Ma c’è una differenza tra gli iscritti e chi richiede poi i servizi, spiega. “Solo 301 persone con disabilità -che nei casi più gravi non pagano le tasse- hanno usufruito dei servizi, a fronte di 893 con DSA”. A livello nazionale, invece, nel 2017 erano 19.580 gli studenti con disabilità -quasi quadruplicati rispetto ai 4.709 del 1999- e 6.515 quelli con DSA, in rapida crescita (erano 1.457 nel 2012).

“Studiare queste dinamiche è fondamentale per poter offrire dei servizi di qualità e orientare le politiche future”, dice Pavone. Perciò, la Cnudd sta collaborando con l’Istat al fine di implementare gli archivi di dati che riguardano gli studenti con disabilità e DSA. “L’Italia è ancora carente nella raccolta dati. Dobbiamo sapere, per fare un esempio, quanti sono gli studenti con disabilità sensoriali e come si sviluppano le loro carriere universitarie”. A questo lavoro si affianca una ricerca con l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (anvur.it) per trovare degli indicatori condivisi utili a capire se l’offerta formativa e di servizi è accessibile. Un aspetto importante sono i libri di testo. Nel 2013 è stato siglato, su impulso dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (uibm.gov.it), il Trattato internazionale di Marrakech sull’accesso alle opere per le persone con disabilità visive. Non è ancora stato recepito dall’Italia, e la Cnudd sta dialogando con l’Associazione italiana editori (aie.it) affinché le case editrici forniscano libri in formato digitale, da ascoltare attraverso la sintesi vocale e tradurre in Braille. Ma oltre ai libri di testo, anche le lezioni devono essere accessibili, dalle aule all’uso di strumenti multimediali e attività laboratoriali e interattive.

Dal concetto di “inserimento”, che dà enfasi a condizioni speciali, si è passati a “integrazione” e oggi a “inclusione”. Un concetto che comprende la cura di tutte e tutti

In questo senso, la consapevolezza e preparazione del corpo docenti è centrale per migliorare la qualità dei servizi. “L’università ha una popolazione interna preparata, che può mettersi a disposizione per fare formazione contenendo i costi”, osserva Giorgio Gosetti. La struttura dedicata all’inclusione nell’Università di Verona -che da “Centro disabili” ha cambiato nome in “Servizio inclusione e accessibilità”- è supervisionata da un comitato scientifico con sei docenti di altrettante aree disciplinari e segue oltre 500 studenti l’anno grazie al personale dedicato, ai tutor e ai docenti “che condividono progetti, percorsi formativi e varie iniziative”. L’inclusione all’Università di Padova, invece, si sta costruendo a partire da percorsi di informazione culturale: sta per iniziare la quarta edizione del General course “Diritti umani e inclusione”, aperto a tutti gli studenti di tutti i corsi di laurea, con contributi di docenti di diverse discipline. “Le prime tre edizioni sono state frequentate da 200 studenti l’anno e dal personale tecnico amministrativo. Tocchiamo temi molto diversi e con un’ottica multidisciplinare -spiega Laura Nota-. Ad esempio, possiamo parlare di diritti umani chiedendoci chi ha costruito l’iPhone che abbiamo tra le mani”. Nota è anche direttrice del master di II livello “Inclusione e innovazione sociale”, partecipato da quattro atenei veneti (Verona, Ca’ Foscari e Iuav, con Padova). Un progetto nato dal Coordinamento delle università del Triveneto per l’inclusione (Uni3V) che da due anni fa rete tra gli atenei veneti e Bolzano, Trento, Trieste e Udine. Un quarto degli iscritti al master è personale interno all’università. “A loro dedichiamo da sette anni anche un corso di lingua dei segni, per condividere nuovi linguaggi inclusivi. Hanno partecipato finora 98 persone e altre 116 sono in lista d’attesa”. Secondo Nota, il loro ruolo è quello di “favorire una presa di coscienza del problema e un processo culturale che abbatta le discriminazioni”. Anche su scala internazionale. Proprio per i suoi progetti a favore dell’inclusione, da un anno Padova è in rete con le università di Granada, Bergen, Graz, Lipsia, Lione e Vilnius -per un totale di 290mila studenti, 22mila accademici e 15mila collaboratori- per il progetto “Arqus. European University Alliance” (arqus-alliance.eu). Un’alleanza che promuove il concetto di università come spazio accessibile di sviluppo personale e professionale per tutti e tutte, a sostegno di politiche inclusive per nuove comunità accademiche.

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