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United colors della fame – Ae 38

Numero 38, aprile 2003Immagini forti, scioccanti. La nuova campagna Benetton sposa la battaglia del Programma alimentare mondiale. Perché i privati hanno maggiore capacità comunicativa. Ma serve davvero?Il cucchiaio è un pugno diretto nello stomaco. Lo vedremo ancora per tutto aprile,…

Tratto da Altreconomia 38 — Aprile 2003

Numero 38, aprile 2003

Immagini forti, scioccanti. La nuova campagna Benetton sposa la battaglia del Programma alimentare mondiale. Perché i privati hanno maggiore capacità comunicativa. Ma serve davvero?

Il cucchiaio è un pugno diretto nello stomaco. Lo vedremo ancora per tutto aprile, quel cucchiaio, per strada sui manifesti, nei quotidiani e nelle riviste. Immagine grottesca e drammatica che lega guerra e fame a un uomo senza volto.

Poi quella foto farà parte della galleria di immagini più o meno forti (e criticate) che da una dozzina d'anni costituisce la strategia di comunicazione della multinazionale &endash;tutta italiana- Benetton.

Quel cucchiaio lo “indossa” Moustapha, che ha 49 anni, ed è il segno indelebile della barbarie della guerra civile in Sierra Leone: entrambe le mani amputate. Moustapha è testimonial della campagna che Benetton ha lanciato per World Food Program, Programma alimentare mondiale, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa degli affamati del mondo. Partita a metà febbraio da Parigi, la campagna è attiva in 30 Paesi. Nove mesi di preparazione, 15 milioni di euro per la diffusione sui cartelloni e sulla stampa. Le altre immagini provengono da Afghanistan, Cambogia, Guinea: sono raccolte anche in un numero speciale della rivista Colors dedicato alla fame, e fanno parte di un più vasto progetto concepito e realizzato da Fabrica, il centro di comunicazione voluto dalla famiglia Benetton.

Non è la prima volta che Benetton lega il suo marchio all'Onu. Nel 1996 per il summit della Fao, nel 1998 per il cinquantesimo anniversario della dichiarazione dei diritti dell'uomo, nel 2001 era stata la volta dell'anno dedicato al volontariato. Il rapporto col World Food Program parte da queste esperienze, ma è stata l'agenzia Onu, che ha sede a Roma, a rivolgersi ai Benetton e a chiedere la realizzazione di una campagna dedicata alla fame.

Non un'iniziativa di “fund raising”, tuttavia, quanto un modo &endash;discutibile- di riportare lo scempio della fame (e gli 800 milioni di affamati nel mondo) all'attenzione dell'opinione pubblica e della politica internazionale. Il Wfp vuole legarsi all'iniziativa privata poiché &endash;ci spiega la portavoce Marina Catena- i privati hanno una maggiore capacità comunicativa.

E Benetton è uno degli esempi più efficaci.

Infatti 15 milioni di euro sono un investimento, e non una donazione. La strategia di marketing della famiglia di Ponzano Veneto è storicamente giocata sull'impegno civile, che associato al marchio diventa uno slogan pubblicitario estremamente efficace. Il meccanismo è consolidato: immagini forti, spesso scioccanti, riconoscibili nello stile e riconducibili ad un'unica mente creativa. La pubblicità rimane impressa nella mente, e questo è il primo risultato utile. Il secondo è l'identificazione del marchio con il “valore” che l'immagine reca in sé. A partire dalla fine degli anni 80 abbiamo visto sfilare fotografie contro il razzismo, poi contro la guerra, la mafia, i pregiudizi, l'Aids. Cormorani immersi nel petrolio e i volti dei condannati a morte negli Stati Uniti, barche cariche di immigrati clandestini. E infine il legame alle iniziative delle Nazioni Unite.

La raffinatezza di questa strategia permette di omettere il protagonista reale della campagna, ovvero i prodotti (maglioni e magliette) che si riconoscono sotto lo slogan “United Colors of Benetton”, che non manca mai sui cartelloni e nei quotidiani. Giusto accanto al cucchiaio di Moustapha.

Come sempre, anche questa campagna di Benetton ha suscitato dure critiche. Rivolte agli industriali veneti ma anche allo stesso Programma alimentare, per il legame (sempre più frequente nelle istituzioni internazionali) con attori economici potenti come le multinazionali. Ma è chiaro che anche la provocazione e la polemica fanno parte, da sempre, del gioco promozionale.

Solo che stavolta per Benetton l'accusa si è estesa. Attraverso la società finanziaria 21 Investimenti, infatti, la famiglia gestisce un fondo (il Fondo Giada) che detiene il 28% (non il 44% come sembrava in un primo momento) di una società (StradaBlu) che ha armato una nave diretta verso il cosiddetto “teatro delle operazioni” di guerra contro l'Iraq. Si trattava di ospedali da campo, si sono giustificati da Ponzano Veneto, e i Benetton non hanno gestione operativa della società armatrice, ma solo la partecipazione finanziaria. Niente marchio, niente legami, dunque. Solo soldi.!!pagebreak!!

Cibo per la vita
Lapidario, il sito del World Food Program di dubbi ne lascia pochi: 800 milioni di persone nel mondo soffrono la fame. Più della popolazione di Stati Uniti, Canada, Russia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Giappone messi insieme. Ma altri numeri sono ancora più impressionanti: 24 mila persone al giorno muoiono per fame, malnutrizione e malattie ad esse riconducibili. Tre volte il numero delle vittime di tutte le guerre del 20°secolo.

Il Wfp è la più grande organizzazione umanitaria del mondo. È un'agenzia delle Nazioni Unite attiva dal 1963 con sede a Roma. Sfama 80 milioni di persone l'anno in 82 Stati: vittime di carestie, guerre, disastri naturali. Il Wfp dipende totalmente da donazioni volontarie, quasi esclusivamente di origine governativa. Nel 2002 ha ricevuto 1,8 miliardi di dollari, oltre 900 milioni dei quali dagli Stati Uniti. L'Unione Europea ha contribuito con oltre 178 milioni, l'Italia (al di là dell'Unione) con ulteriori 37 milioni. Bastano 22 centesimi al giorno per assicurare un pasto a un bambino affamato. Info. www.wfp.org

L'impero di famiglia
L'abbiamo detto: Benetton è un impero fatto di maglioni, certo, ma anche di immobiliari, finanziarie, Autogrill.

E autostrade: l'Opa totalitaria (vedi il numero 35 di Altreconomia) ha portato nelle mani di Schemaventotto (società controllata dai Benetton attraverso la sua “cassaforte”, la holding Edizione) oltre l'83% delle azioni della Società Autostrade. Per riuscirci hanno dovuto aumentare l'offerta (a 10 euro per azione) ma forse ne valeva la pena: il 2002 si chiude per il maggior gruppo autostradale d'Italia con un utile netto cresciuto del 27% rispetto all'anno precedente, e ricavi per 2,3 miliardi di euro.

Ma anche il settore abbigliamento non se la cava male. Due miliardi di euro il fatturato e utili (per i primi nove mesi del 2002) di 84 milioni. Altri marchi (oltre a United Colors of Benetton) sono Playlife, Sisley, Killer Loop, RollerBlade, Prince, Ektelon, The Hip Site.

Colors, il marchio diventa informazione
La fabrica della comunicazione
Non a tutti il nome Catena di Villorba dice molto. È un paese a 12 chilometri da Treviso, con la quale è collegato da un autobus che parte a ogni ora. Eppure Catena di Villorba è un centro internazionale, con partenze quotidiane verso decine di città nel mondo. A prendere il volo sono i lavori che scaturiscono da Fabrica, il “laboratorio” creativo della famiglia Benetton, un vasto complesso architettonico ristrutturato ed ampliato dall'architetto giapponese Tadao Ando.

Fabrica è il centro di ricerca e sviluppo sulla comunicazione, nato nel 1994 per volere della famiglia “multinazionale” veneta. Da qui partono tutte le campagne comunicative Benetton, passano i grafici delle linee di abbigliamento, qui viene redatta la rivista Colors (bimestrale, 350 mila copie di tiratura in 70 Paesi nel mondo, 7 edizioni e 8 lingue. Un fenomeno editoriale nuovo: come direbbe Naomi Klein è il marchio che diventa informazione). E da qui provengono la maggior parte dei creativi e dei grafici che lavorano per tutte le società che fanno capo ai Benetton. A metà tra luogo di lavoro e scuola, raccoglie in media una cinquantina di giovani provenienti da tutto il mondo, e dà loro la possibilità di sperimentare modelli di comunicazione e di creare (lavorando su progetti concreti) prodotti finiti, siano oggetti piuttosto che siti web, o immagini pubblicitarie.

Imparare con la pratica l'imperativo, insieme alla contaminazione e all'interattività. Ispiratore e direttore era stato il fotografo Oliviero Toscani, fino alla sua rottura con gli industriali di Ponzano Veneto del 2001. Il centro è strutturato in 5 dipartimenti: cinema, musica, design, media interattivi e pubblicazioni. Per entrarci si deve superare una selezione, riservata a persone tra i 18 e i 25 anni. Si inviano i propri lavori, e se questi sono ritenuti buoni si viene invitati a passare due settimane al centro. Le settimane sono il banco di prova: lo staff (una cinquantina di persone in tutto) decide poi se proporre al candidato di rimanere a lavorare per un anno (anche se c'è chi ci sta di più, e chi di meno). Tradotto vuol dire una borsa mensile (attorno ai 500 euro al mese), un appartamento a Treviso e la possibilità di entrare nel “giro” giusto.

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