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Opinioni

Un’alleanza per la legalità

A Reggio Emilia istituzioni, parti sociali, sindacato, associazioni, professioni e chiesa si uniscono in una rete contro le mafie. Sarebbe miope non farlo, a giudicare dai numeri della Direzione antimafia

Tratto da Altreconomia 133 — Dicembre 2011

La mafia non esiste, continua a ripetere qualcuno al Nord, convinto che un tema così delicato rischi di danneggiare il proprio territorio. Un pensiero diffuso, ma non più condiviso come qualche anno fa. A Reggio Emilia, per esempio, grazie al lavoro svolto dalle forze dell’ordine e dalla magistratura e alla conoscenza del fenomeno mafioso prodotta dagli studi del professor Enzo Ciconte, il Comune, gli imprenditori, le associazioni di categoria, le cooperative, le associazioni, hanno maturato la consapevolezza che le organizzazioni mafiose sono presenti sul territorio. E che costituiscono una seria ed attuale minaccia per l’economia e la sicurezza sociale. Per contrastarle e impedire che questi gruppi criminali si radichino, il 5 novembre, presso la Camera di Commercio, è stata presentata l’Alleanza reggiana per una società senza mafie. Ne fanno parte più di trenta soggetti provenienti dal mondo istituzionale, delle parti sociali, del sindacato, dell’associazionismo, della chiesa, delle libere professioni, che si sono impegnati su quattro obiettivi specifici: promuovere azioni di sensibilizzazione culturale ed educativa; realizzare iniziative finalizzate a contrastare le mafie sul versante economico e sociale; monitorare l’efficacia delle azioni intraprese; partecipare a un tavolo congiunto per coordinare le iniziative e confrontarsi sulle tematiche che emergono dal territorio. L’idea dell’Alleanza è nata nel marzo del 2010, quando a Reggio Emilia si svolse una manifestazione nazionale contro la ‘ndrangheta e le massonerie deviate. Dal palco di piazza Prampolini, Vincenzo Linarello, presidente del Consorzio calabrese di cooperative Goel, lanciò la proposta di un patto reggiano per la legalità. Lo hanno preso in parola, dando vita a questa rete che “costituisce un laboratorio di idee e di azioni concrete da condividere e realizzare, ma anche un’opportunità per mettere in comune strumenti utilizzati per contrastare le infiltrazioni mafiose e promuovere legalità”, come hanno affermato i promotori. A presentare l’Alleanza sono intervenute diverse realtà (tra le altre, Addio Pizzo, Avviso Pubblico, Libera, Narcomafie), ma anche un imprenditore siciliano ribellatosi al racket, Rosario Barchitta. Le sue parole sono state chiare e nette. Un monito per tutti i presenti: “Sulla bilancia della vita io ho messo da una parte la paura e, dall’altra, la dignità, e ho capito che quest’ultima pesava più della prima. Pagare il pizzo ai mafiosi vuol dire perdere la dignità. Io ho provato vergogna a pagare e oggi, dopo aver denunciato, mi sento un uomo libero e felice”. Vincenzo Linarello ha esortato i presenti ad “impicciarsi di quello che succede nella propria comunità. Occorre essere capaci di fare rete evitando di esporre singole persone -ha aggiunto-, tutelare la libertà di mercato, garantire un’azione trasparente sia nelle istituzioni che nelle imprese”. Giovanni Tizian, giornalista di Narcomafie, ha illustrato uno spaccato della presenza mafiosa nel territorio reggiano, affermando: “Oggi il pizzo viene pagato. Non si versa una somma di denaro, ma si accetta l’imposizione di forniture e di determinati servizi”. Un messaggio chiaro: chi vuole cercare e trovare le mafie in Emilia Romagna -e nel settentrione in generale, aggiungiamo- non deve inseguire l’odore della polvere da sparo, ma quello dei soldi. Il 2010, per l’Emilia Romagna, si è concluso con 206 denunce per estorsione, 19 denunce per usura, 1.296 operazioni finanziarie sospette. A questi dati, forniti dalla Direzione investigativa antimafia, si devono aggiungere quelli relativi all’anno 2010 -forniti dal Ministero dell’Interno- sul versante del contrasto al narcotraffico, e quelli dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati. Il Viminale attesta che l’anno scorso sono stati sequestrati più di mille chilogrammi di droga -tra cui 94 chili di cocaina e 120 di eroina (il 13% del totale nazionale)- in 1.706 operazioni di polizia; 2.814 sono state le persone segnalate all’autorità giudiziaria e 20 i decessi per assunzione di sostanze stupefacenti. Sul versante dell’attacco ai patrimoni mafiosi si è registrata, dal 1982 al 2010, la confisca di 83 beni immobili e di 24 aziende. Numeri preoccupanti, che giustificano la nascita di un’alleanza per la legalità. E che richiederebbero anche l’apertura di una sezione della Direzione investigativa antimafia in Emilia Romagna, come ha recentemente detto la vice presidente della Regione, Simonetta Saliera. Al contrario, nella cosiddetta legge di Stabilità, il Governo ha stabilito che entro il 2013 questo strumento investigativo, pensato e voluto da Giovanni Falcone agli inizi degli anni Novanta e grazie al quale sono stati confiscati miliardi di euro di beni, dovrà subire un taglio di bilancio di 13 milioni di euro. A ciò si aggiunga la proposta di chiudere i centri Dia di Lecce, Trieste e Trapani, territorio del latitante numero uno di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro. —

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