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“Una sana disobbedienza”. Il Collettivo della ex Gkn resiste alla strategia della consunzione
La rabbia e l’orgoglio sono i sentimenti degli operai del Collettivo di fabbrica e dei tanti cittadini solidali che hanno dato forza, dal 2021 in poi, alla più lunga e più creativa lotta operaia degli ultimi decenni. Ai ritardi, alle negligenze e alle ambiguità del paludato potere politico, si oppone il massimo grado di autonomia. È l’ennesimo momento decisivo
È il tempo della rabbia e dell’orgoglio ma, per quanto siamo a Firenze, Oriana Fallaci stavolta non c’entra per niente. La rabbia e l’orgoglio sono il momento-Gkn, i sentimenti degli operai del Collettivo di fabbrica e dei tanti cittadini solidali che hanno dato forza, dal 2021 in poi, alla più lunga e più creativa lotta operaia degli ultimi decenni.
La rabbia è per i ritardi, le negligenze, le ambiguità del potere politico che dovrebbe sostenere il progetto di conversione industriale concepito dal Collettivo di fabbrica insieme con un gruppo di tecnici e professionisti solidali; l’orgoglio è per la lotta che prosegue, per il piano industriale che ora cerca un salto di qualità, verso una maggiore indipendenza finanziaria, visto che i ritardi, le incertezze, i silenzi degli enti pubblici, in testa la Regione Toscana, hanno fatto vacillare le intenzioni di quei soggetti finanziatori che avevano promesso sostegno e investimenti solo pochi mesi fa.
La rabbia e l’orgoglio si sono combinati sabato 18 ottobre quando a Firenze, alla periferia occidentale della città, il Collettivo di fabbrica ha organizzato un altro importante corteo, l’ennesimo, partito stavolta dall’attuale polo universitario, un tempo sede del grande stabilimento Fiat fiorentino di cui la fabbrica di semiassi Gkn era l’erede diretta. Al corteo hanno partecipato diecimila persone, nella valutazione degli organizzatori -“Oops, we did it again”, il commento diffuso via social-, quattromila secondo le stime sempre al ribasso della questura.
È stato un corteo con sorpresa: nel transitare nei pressi dell’aeroporto Amerigo Vespucci c’è stata un’inattesa digressione, quando un gruppo di manifestanti è entrato nell’atrio dello scalo per una momentanea occupazione, trovando però reparti di polizia schierati e pronti a colpire con i manganelli. Ne è scaturita un’ampia discussione mediatica e politica sulla violenza e sui limiti della protesta, con un prevedibile seguito di denunce alla magistratura e forse processi, nonostante solo la polizia abbia sostenuto di avere subito violenze (una decina di agenti feriti, a dire della questura) durante un confronto diretto e a volti scoperti durato forse più di un’ora, chiuso con il deflusso volontario e disciplinato dei presunti e disarmati aggressori.
Qualcuno, all’inizio, ha provato a puntare il dito sui “soliti gruppi violenti” che si infiltrano e prendono possesso di manifestazioni pacifiche ma le immagini riprese nell’atrio dell’aeroporto mostrano Dario Salvetti, il volto più noto del Collettivo di fabbrica, che al megafono si prende “tutta la responsabilità” della disobbedienza compiuta. A freddo, giorni dopo, Salvetti conferma: “Noi da quattro anni non facciamo altro che mettere i nostri corpi a disposizione della lotta in tutte le forme possibili, anche con atti di disobbedienza. È successo quando siamo entrati nel Consiglio comunale di Firenze e nella sede della Regione Toscana, quando ci siamo accampati in piazza Indipendenza, quando siamo saliti sulla torre di San Niccolò e altre volte ancora. Stavolta la celere ha deciso di fare un cordone e di manganellare, e siccome non stiamo scherzando, banalmente i nostri corpi sono rimasti lì a prendersi le manganellate”.
La rabbia, dunque, cresciuta a dismisura quando ci si è accorti che l’agognato Consorzio di sviluppo industriale per la piana fiorentina, l’ente pubblico (al 70% della Regione Toscana, il resto dei Comuni di Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Calenzano e della Città metropolitana di Firenze) nato in estate e in predicato di acquisire e poi gestire lo stabilimento abbandonato da Gkn, è rimasto inattivo, e tale resterà ancora uno o due mesi, perché il Consiglio regionale, prima di sciogliersi in vista delle elezioni del 12 e 13 ottobre scorsi, ha “dimenticato” di nominare il revisore contabile, il che ha impedito al Consorzio di compiere qualsiasi atto. “Perdere mesi in questo modo -denuncia Salvetti- per un progetto industriale può essere mortale”.
La sensazione, nel Collettivo di fabbrica, è che ci sia una strategia della consunzione: la Regione, da un lato, compie atti importanti, come la legge sui Consorzi industriali e la nascita dell’ente per la piana fiorentina, dall’altro prende tempo, forse addirittura boicotta l’ente stesso, senza assumersi un impegno preciso, senza dire se voglia davvero procedere con l’acquisto, l’affitto o l’esproprio con indennizzo, come la legge prevede, degli ottantamila metri quadrati della ex Gkn di Campi Bisenzio. La disponibilità dell’area è considerata il requisito essenziale per l’avvio della conversione industriale, con il varo effettivo della nascente cooperativa Gff e del suo progetto di produzione di pannelli solari e cargo-bike: 12 milioni di euro di investimento previsto, per oltre cento posti di lavoro.
La questione, ovviamente, è politica. Alla Regione Toscana si chiede di fare “qualcosa di sinistra”, superando l’avversione del mondo imprenditoriale per tutto ciò che sa di intervento pubblico. Tanta è la cautela, al limite della reticenza, che il caso Gkn non è stato affrontato in campagna elettorale, se non per le iniziative di Antonella Bundu, candidata presidente per Toscana Rossa, nonché storica “solidale” della lotta. Il dubbio è che il potere politico locale -Eugenio Giani è stato appena confermato alla guida della Regione, con una maggioranza allargata a Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra- non voglia creare un precedente, assecondando un progetto che sale dal basso, che è molto schierato politicamente (il Collettivo di fabbrica ex Gkn è protagonista da tempo di lotte sociali e sindacali anche oltre la propria vertenza) e che potrebbe avere implicazioni imprevedibili in futuro.
Ma un precedente, in verità, esiste già, visto che nel settembre scorso Invitalia, l’Agenzia per lo sviluppo d’impresa controllata dal ministero dell’Economia, ha acquistato a Siena lo stabilimento della Beko, chiuso dalla multinazionale degli elettrodomestici lasciando senza lavoro circa trecento dipendenti. Un caso simile alla vicenda di Campi Bisenzio, pur nella diversità di tempi, luoghi, modi della cessazione di attività e delle successive lotte sindacali. “Ai tempi dei tavoli al ministero con la presenza di Invitalia -commenta Salvetti- ci dicevano che l’intervento pubblico era impossibile senza un piano industriale privato e che lo ‘spossessamento’ con l’ acquisto pubblico dell’immobile era impossibile. Alla Beko invece è avvenuto. Senza che un piano industriale sia chiaro. Evidentemente eravamo presi in giro noi o si è aperto un precedente positivo, dovuto anche alla nostra lotta. Il sospetto è che questo precedente sia stato aperto non per aprire un nuovo capitolo pubblico delle reindustrializzazioni ma per mettere un dito nell’occhio alla Regione Toscana e alle lungaggini con cui non ha risolto la ex Gkn. Non sappiamo se la Regione Toscana ami vivere con un dito nell’occhio e non ci interessa. A noi, a maggior ragione, dopo Beko la situazione è chiara: il precedente c’è e deve valere per tutti”.
Se l’intervento a Siena è chiaramente frutto di una scelta politica della destra di governo, ampiamente pubblicizzata in campagna elettorale, l’acquisto dell’area ex Gkn, da parte del neonato ma ancora inattivo Consorzio, potrebbe essere la risposta del centrosinistra, con il vantaggio che in questo caso ci sarebbe già una destinazione d’uso per una parte dello stabilimento, visto che la cooperativa Gff prevede di prendere in affitto una discreta porzione della superficie disponibile. Per ora Giani si è limitato a dire che alla prima riunione della nuova giunta, verso metà novembre, sarà nominato il revisore dei conti del Consorzio. Niente di più.
La lotta Gkn, a questo punto, è destinata a procedere su due binari. Da un lato l’iniziativa sociale e pubblica per accrescere la pressione sulla Regione Toscana: “Abbiamo le spalle al muro -prosegue Salvetti-, e non possiamo aspettare oltre. Non vogliamo né promesse né roadmap, perché la credibilità dei nostri interlocutori è azzerata. La Regione dev’essere chiara e dire qual è la sua politica industriale, come pensa di creare un distretto delle rinnovabili a Campi Bisenzio, quanti soldi intende mettere sullo stabilimento. I non detti non sono più accettabili”. L’assemblea cittadina convocata dal Collettivo di fabbrica per lunedì 27 ottobre al Teatro Puccini ha un titolo che prelude a una nuova intesa stagione di mobilitazioni: “Una sana disobbedienza”.
L’altro filone d’iniziativa riguarda la cooperativa Gff. L’azionariato popolare entra in una fase nuova. Finora erano state chieste semplici “manifestazioni di interesse”, senza alcun versamento in denaro, e si era giunti a circa 1,5 milioni di euro “promessi”; ora si chiede a tutti di iscriversi a una piattaforma di crowdfuning -Ener2Crowd- e poi, appena il progetto Gff sarà inserito fra quelli finanziabili (a breve), di versare il denaro in un portafoglio virtuale, che resterà congelato finché il progetto non partirà; il denaro, ovviamente, sarà restituito se il progetto non andrà in porto. L’obiettivo dichiarato è di rafforzare e accrescere l’azionariato popolare, visto che le incertezze politiche hanno già causato il “rinvio” dell’impegno preso da uno degli investitori cooperativi già coinvolti (si parla di due milioni di euro a questo punto in forse). Un’altra novità è la nascita, domenica 19 ottobre al presidio ex Gkn, della Rete nazionale delle Comunità energetiche rinnovabili e solidali (Cers), con la partecipazione dei rappresentanti di una trentina di comunità, ideali compagne di viaggio (e future clienti) della nascente Gff.
“Dobbiamo essere consapevoli -spiega ancora Salvetti-, che stiamo mettendo in campo un meccanismo difficilissimo: dobbiamo portare il nostro piano industriale al massimo grado di autonomia, perché fuori dall’autonomia c’è la palude. Dopo ogni ritardo, il piano industriale dev’essere rivisto e aggiornato. È un gioco di logoramento che non possiamo sopportare. Abbiamo sempre detto che è molto difficile arrivare a produrre pannelli solari senza l’intervento pubblico, e per questo vogliamo che la Regione e il Consorzio vadano fino in fondo, ma non possiamo aspettare in eterno e se mai arriveremo, con la nostra autonomia, a costruire qualcosa, qualsiasi cosa del nostro progetto, sarà un monumento al loro immobilismo. Il nostro compito, ora, è sottrarci al logoramento con tutti gli strumenti necessari”. È una chiamata a raccolta: servono sottoscrizioni, soldi, ma anche partecipazione e disponibilità alla disobbedienza. Al Collettivo lo chiamano “metodo Flotilla”: a un certo punto, dicono, arriva il momento di mettere le barche in mare.
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