Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti

Una legge pro polizie private?

Sulla Voce della Campania è comparso l’articolo riportato qui sotto, secondo il quale sarebbe in preparazione una nuova normativa per favorire la nascita di polizie private. Pubblicamente, nessuno ha mai parlato di progetti del genere. Se davvero a livello governativo…

Sulla Voce della Campania è comparso l’articolo riportato qui sotto, secondo il quale sarebbe in preparazione una nuova normativa per favorire la nascita di polizie private. Pubblicamente, nessuno ha mai parlato di progetti del genere. Se davvero a livello governativo si sta studiando qualcosa del genere, saremmo di fronte a un evento assai preoccupante, un’autentica svolta nella stessa concezione della sicurezza e dell’ordine pubblico. Questo articolo è stato inoltrato ad alcuni parlamentari, che cercheranno di approfondire la questione.
DIETRO IL PACCHETTO-SICUREZZA – L’ITALIA DEI RAMBO
(di Rita Pennarola – La Voce della Campania)
http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta1&id=68

Circondata dalla più assoluta riservatezza sta per essere varata al
ministero degli Interni la modifica alle leggi sulla pubblica sicurezza
che aprirebbe la strada alla nascita di polizie private mercenarie, con
più ampi poteri, sull’onda delle diverse emergenze, dal terrorismo al
tifo violento fino ai reati commessi da extracomunitari. Scenari da
paura, con un’Italia sempre più simile all’Iraq.

C’era una volta l’Iraq. E c’era una volta il business dei contractors,
quell’esercito privatizzato con licenza di uccidere civili, sparare in
faccia a donne e bambini, devastare villaggi e città in nome di una
guerra combattuta a colpi di milioni e milioni di dollari.

Oggi l’Iraq, l’Afghanistan sono qui, nelle città italiane, negli stadi e
sulle autostrade, nelle ville private del nord est non meno che nelle
oscure periferie dell’hinterland napoletano. Stanno per entrare in
azione, anche in Italia, eserciti di contractors armati fino ai denti.
Arriva la privatizzazione della polizia in forme assolutamente
legalizzate. La Voce è in grado di rivelare il contenuto di un
protocollo d’intesa ancora top secret redatto al ministero dell’Interno
nei primi giorni di novembre e riguardante alcune sostanziali modifiche
al Tulps (Testo unico leggi pubblica sicurezza), destinate a generare –
secondo non pochi addetti ai lavori – squadroni di guardie giurate sul
modello dei Blackwater americani, alle dipendenze di società private di
vigilanza o di investigazioni (prossime peraltro alla unificazione,
proprio in vista del mercato d’oro collegato alle misure anti violenza
ed anti terrorismo).

BLACKWATER ALL’ITALIANA
Il documento, che porta la data del 16 novembre scorso, riguarda le
modifiche da apportare al Tulps ed in particolare al Titolo IV: “Delle
guardie particolari e degli Istituti di vigilanza e di investigazione
privata”. Girato in forma riservata dalla presidenza della Federpol (il
massimo raggruppamento della categoria) agli associati, il protocollo è
accompagnato da copia della missiva inviata dallo stesso Gianuario
Pellegrino, presidente nazionale Federpol, al prefetto Giulio Cazzella,
responsabile del comparto sicurezza privata al Viminale e, dunque, parte
attiva nel processo di privatizzazione spinta del sistema sicurezza nel
Paese. Nella missiva Pellegrino chiede al prefetto un incontro per
mettere a punto taluni aspetti della trasformazione, sottolineando che
le modifiche risultano “profondamente innovative”, all’interno di un
documento caratterizzato da “esaustività” e “compiutezza”. Alcune note
siglate dai vertici Federpol sottolineano la portata dei cambiamenti. In
particolare, la prima: «Il nodo, estremamente delicato, da sciogliere –
si legge nella nota – è se sia ammissibile o meno ampliare l’area di
sicurezza privata oltre i confini tradizionali degli articoli 133 e 134
del Tulps», vale a dire entro i confini che finora ne hanno limitato i
poteri, riservando i compiti di ordine pubblico esclusivamente a Polizia
e Carabinieri. E’ lo stesso Pellegrino, insomma, a mettere in guardia il
prefetto circa i pericoli che potrebbero essere connessi a tutta
l’operazione. E lo fa citando una norma diventata già, per imprenditori
senza tanti scrupoli, il nuovo eldorado della security nostrana: il
decreto ministeriale con il quale, lo scorso 8 luglio, il ministro
dell’Interno Giuliano Amato ha dettato le nuove norme per la sicurezza
negli stadi, facendo tra l’altro nascere la figura dello stewart, da
molti ritenuta ambigua e pericolosa. «L’ “occasio belli” – si legge
ancora nella nota riservata della Federpol – è data dal D.M. 8 agosto
2007, nella parte in cui prevede che i servizi di “stewart” negli stadi
siano “assicurati dalle società organizzatrici direttamente ovvero
avvalendosi di istituti di sicurezza privata autorizzati (…) senza
precisare di quale delle due tipologie tradizionali di istituti di
sicurezza privata debba trattarsi», ma «c’è anche l’ipotesi-limite della
“costituzione di corpi armati non diretti a commettere reati” (…), per
la cui attività è astrattamente ammissibile una licenza. Certamente
possono rientrare fra tali “corpi armati” gli istituti di vigilanza
composti da guardie particolari (generalmente armate), ma potrebbero
rientrare anche le attività di reclutamento, addestramento e
organizzazione di corpi di “contractors” quali quelli utilizzati in
Iraq». Eccoci quindi arrivati al punto. «Noi investigatori privati –
spara a zero uno storico esponente della categoria che preferisce
restare anonimo – abbiamo avuto sempre il cuore della nostra
professionalità nell’affiancare le Procure, nel rapporto con le
Questure, con i penalisti, con la legge e le istituzioni. Ben diverso il
settore degli istituti di vigilanza e delle guardie giurate, finora
contenuto entro limiti rigidi per quanto riguarda compiti e funzioni.
Oggi le modifiche del Tulps aprono la strada ad una unificazione di
fatto fra le due categorie e tutto questo nel segno del colossale
business targato sicurezza e antiterrorismo. Ma noi non ci stiamo».

L’investigatore della capitale parla a nome di quell’esiguo ma
battagliero manipolo di dissidenti Federpol che, oltre a sparare a zero
contro le intese governative sui rambo, contestano la recente nomina a
vicepresidente nazionale della categoria del formatore di body guard
Roberto Gobbi.

DA QUATTROCCHI A FEDERPOL
51 anni, originario di San Felice Circeo ma da sempre operante in
Liguria nel business della sicurezza privata, Roberto Gobbi era balzato
alle cronache nel 2004 come titolare della Ibsa, la società genovese –
oggi cancellata dalla Camera di Commercio – per la quale era transitato
Fabrizio Quattrocchi prima di essere rapito ed ucciso in Iraq. Per la
stessa ragione il nome di Gobbi è finito nei fascicoli d’indagine di due
procure, quelle di Genova e di Bari, che tuttora indagano
sull’arruolamento di bodyguard con licenza di uccidere. “Scuole di
mercenari”, aveva titolato lo scorso anno la Voce, aggiornando le cifre
di un settore in crescita esponenziale per l’assalto delle nuove paure
del millennio, dall’11 settembre al tifo impazzito. Uno scenario in cui
anche la morte di un giovane tifoso come Gabriele Sandri per mano della
polizia può dare la stura ad ulteriori manovre di privatizzazione
giustificate dall’ennesimo “allarme sociale”, in realtà terreno fertile
per sempre nuovi business. Lo hanno capito bene Roberto Gobbi ed il suo
socio Giacomo Spartaco Bertoletti, due vecchie conoscenze per le
inchieste della Voce. Fu il nostro giornale per primo, nel 2004. a
trovare l’incrocio fra la Ibsa ed il Parlamento Mondiale per la
sicurezza e la pace – cui fa capo anche Bertoletti – altra corazzata in
odor di security che, partita dai vicoli di Palermo, mostra una spiccata
“vocazione” ad infiltrarsi nelle istituzioni internazionali e nel giro
dei passaporti diplomatici.

«Benché finora sui media come responsabile della società sia apparso
solo Roberto Gobbi – scrivevamo a maggio 2004 – la Ibsa Italia è di
proprietà del milanese Giacomo Spartaco Bertoletti, 63 anni, fondatore e
direttore anche di un mensile dedicato alle arti marziali, Samurai,
nonché titolare della relativa casa editrice (la srl Sport Promotion, 50
mila euro come capitale sociale) insieme alle figlie Katia, Tatiana e
Natascia. Ibsa Italia fa parte della catena IBSSA, International
Bodyguard Security Service Association, fondata in Francia nel 1994 ma
con sede principale a Budapest ed associati in 90 paesi del mondo».
Nella home page di Sport Promotion-Ibssa esisteva in quel periodo il
richiamo ad un unico link, quello che riportava al Nuovo parlamento
mondiale fondato da tal Monsignor Senator Viktor Busà, autoproclamatosi
Arcivescovo ortodosso della Chiesa Russa Autocefala e più volte indagato
da diverse procure della repubblica.

Ma torniamo ad oggi e al duo Gobbi-Bertoletti saldamente in sella, come
abbiamo visto, alla strategica Federpol. Tutto si deve al sospirato
rilascio della nuova licenza dalla prefettura di Genova nel 2006, «un
fatto inspiegabile – ringhiano negli ambienti – dal momento che a Gobbi
la licenza pareva essere stata ritirata dopo l’apertura delle indagini
sulla scomparsa di Quattrocchi».

Security e courtesy solutions è il nome della nuova “macchina da guerra”
messa in campo proprio nel 2004, ma entrata a pieno regime in attività
dopo che lo stesso Gobbi aveva fatto piazza pulita di tutte le altre
società che a lui facevano capo: nomi ingombranti come le tristemente
famose Ibsa ed Ibsa Italia, certo, ma anche sigle dall’aspetto innocuo
come la Stars Gym snc o l’impresa individuale Roberto Gobbi
assicurazioni. In Security e courtesy solutions srl Roberto Gobbi – che
mette in società anche suo figlio, il ventenne Giorgio – propone in
primo luogo i suoi servigi di investigatore privato, attivo nei settori
civili e penali, ma nella brochure illustrativa viene indicato anche il
ruolo chiave degli “stewarts” che la S. e C. è in grado di fornire a
chiunque avesse problemi di sicurezza personale o collettiva. Evidente,
dunque, il richiamo al decreto ministeriale Amato e, soprattutto, alle
modifiche al Testo Unico che il vicepresidente nazionale Federpol Gobbi
si accinge a varare attraverso il protocollo in attesa di firma al
Viminale ed, in particolare, attraverso le intese col prefetto Cazzella.

Sorpresa: per realizzare anche su piazze estere un oggetto sociale tanto
ambizioso («Security e Courtesy Solutions è avvalersi di professionisti
motivati, culturalmente preparati a svolgere un’attività internazionale,
in grado di rapportarsi adeguatamente ai più diversi interlocutori e di
proporsi con riservatezza»), la società targata Gobbi e Bertoletti può
contare su un capitale sociale di appena 10 mila euro.

VIENI AVANTI, KAMIKAZE
Se Gobbi ha optato per un repulisti generale delle vecchie sigle prima
di far decollare la nuova “creatura”, Bertoletti permane in ruoli di
vertice nella IBSSA, la corazzata che non fa mistero di rappresentare
uno fra i principali “vivai” di eserciti fai-da-te al soldo di
multinazionali ed holding da un capo all’altro del pianeta, con
epicentri sui territori di guerra. Ecco Bertoletti, ad esempio,
menzionato più volte nella “Leadership of IBSSA” Romania, in qualità sia
di socio fondatore che di membro del comitato esecutivo. «IBSSA – viene
dettagliato – è l’associazione ufficiale della forza lavoro addetta alla
sicurezza privata, degli operatori, delle risorse umane, delle compagnie
tecniche e dei membri individuali professionisti». Si occupa di
«organizzare, coordinare, dare assistenza, supporto tecnico e sviluppo
ai suoi membri in tutto il mondo nel campo della sicurezza in tutte le
sue modalità». Più precisamente lo fa «con 1400 membri in 80 Paesi nei 5
continenti».

«Circa l’80 per cento dei membri – si legge più avanti – rappresentano
le diverse compagnie o organizzazioni di security, fra cui esperti di
“polizia e sicurezza internazionale, noti body guards”, ma perfino, fra
i membri onorari, «ministri, top leaders di organizzazioni
internazionali e altri Vip». «Sarà per questo tipo di strani gemellaggi,
con uomini come Bertoletti che siedono in società al vertice Federpol e
contemporaneamente in sigle come la IBSSA – tuona un altro dissidente –
che negli ultimi tempi, anche sull’onda dei cambiamenti legislativi in
atto, cominciano ad arrivare in Federazione richieste di personale
paramilitare per la protezione, ad esempio, di addetti ai pozzi
petroliferi in luoghi di conflitto. Un assurdo, dal momento che siamo
investigatori privati e non organizzatori di truppe mercenarie».

L’infaticabile Bertoletti, nel frattempo, prosegue anche nella sua
attività di istruttore delle arti marziali, propagandata anche
attraverso il sito sportpromotion.it. Che oggi rimanda al link
www.kamikazeweb.com.

MAI DIRE SAYA
Mentre sale l’onda delle polemiche dentro e fuori la Federpol e qualcuno
parla della creazione di una “polizia parallela”, c’è chi si sta già
domandando se esista una qualche relazione fra le modifiche al Tulps e
quanto vagheggiato dal vero artefice di corpi militari parallelo, quello
stesso neonazista e massone conclamato Gaetano Saya che proprio con
queste accuse è stato rinviato a giudizio dalla Procura della Repubblica
di Genova. Lo stesso ufficio investigativo che aveva sentito Roberto
Gobbi nell’ambito delle indagini sulla vicenda Quattrocchi. Esiste un
nesso fra le due inchieste? Di sicuro, gli stessi sono i pm: Francesca
Nanni e Nicola Piacente, tutti incredibilmente controdenunciati da Saya
per presunti «reati di cospirazione, falso, calunnia, diffamazione,
minacce e violenza ad un corpo politico ed altri vari reati, fra cui
favoreggiamento al terrorismo islamico», si legge sull’autobiografia di
quest’ultimo dettata a Wikipedia.

Trait d’union fra la Dssa di Saya e la Ibssa (vedi la Voce di ottobre
2005, inchiesta “Lo Stato parallelo”) di Bertoletti sarebbe
un’associazione “umanitaria” macedone nella quale sedevano il presunto
complice di Saya Riccardo Sindoca e lo stesso Busà, nel cui Parlamento
mondiale troviamo il leader Ibssa George Popper. Oggi però, tutti pronti
a rifarsi una verginità.

Mentre Gobbi e Bertoletti davano vita alla Security e courtesy solutions
(http://www.securityecourtesy.it/courtesy.htm), Saya si spostava alla
guida di un’altra agenzia di security, la Sicherheitsdienst, che rievoca
fin dal nome i famigerati eccidi razziali dei nazisti. Non a caso la
società ha sede in Germania «dove peraltro – rivela Saya – ha già
trasferito la sua sede anche la Dssa». Heil Saya…
Del resto, i rapporti fra una certa parte delle forze militari e
paramilitari con la destra estremista non rappresentano una novità. A
rastrellare consensi nelle falangi armate dei rambo sarebbe oggi
Alternativa Sociale, il partito fondato da Alessandra Mussolini con
Roberto Fiore, Adriano Tilgher e Luca Romagnoli. Lo dimostra, per fare
un solo esempio, la fedeltà assoluta dichiarata dal segretario nazionale
del sindacato guardie giurate, il beneventano (trapiantato a Rimini)
Mario Fusco, nominato dalla nipote del duce responsabile per la
sicurezza dell’Emilia Romagna.

NESSUNO E’ PREFETTO…
Noi intanto torniamo a Roma, al ministero degli Interni, perchè è qui
che, proprio nelle prossime settimane, si dovrà scioglire il nodo sul
nuovo Testo unico della pubblica sicurezza. Nel mirino delle polemiche
che stanno infiammando Federpol ci sono i due alti esponenti delle
istituzioni che, per conto del ministro Giuliano Amato, seguono la
trattativa fino al varo finale: il viceprefetto Massimo Pinna e, come
abbiamo visto, il prefetto Giulio Cazzella, considerato il vero “uomo
sicurezza” del Viminale. E’ lui, nella sua veste ufficiale di «Direttore
dell’Ufficio per l’Amministrazione Generale del Dipartimento della
Pubblica Sicurezza» a rappresentare il ministero anche in occasioni come
il convegno tenutosi in occasione di EXA 2006, la kermesse di Brescia
dedicata agli armieri di tutto il mondo, uno fra i massimi appuntamenti
internazionale del settore per i produttori di fucili, pistole, ma anche
missili, cannoni e mine. Ed è ancora il prefetto Cazzella a tenere corsi
d’intelligence in occasione del master organizzato dall’Università di
Reggio Calabria (vedi box di pagina 6).
Una carriera, la sua, che tocca punte massime negli anni in cui è al
fianco dell’allora capo della Polizia Gianni De Gennaro. E’ stato
proprio quest’ultimo, il 17 maggio scorso, a spiegare dinanzi alla
Commissione Affari costituzionali del Senato, nel corso dell’audizione
conoscitiva su ruoli e trasformazione dei servizi segreti, che
«l’ufficio del prefetto Cazzella, e in particolare l’ufficio per gli
affari della polizia amministrativa, ha un rapporto di forte
collaborazione con i Servizi per quanto concerne il commercio
internazionale delle armi».

Compiti delicatissimi, dunque, non meno di quelli che il prefetto
Cazzella potrebbe aver svolto per i fatti del G8 di Genova. Benchè
infatti il suo nome non sia mai comparso in articoli o indagini
riguardanti quelle tragiche vicende, l’8 agosto 2001 è lo stesso De
Gennaro, nella sua veste di direttore generale del dipartimento pubblica
sicurezza, a chiedere ed ottenere che il prefetto Cazzella sia al suo
fianco durante l’audizione parlamentare a Camere riunite dinanzi al
governo Berlusconi, all’indomani delle violenze sanguinarie.

POLIZIOTTI NELLA BUFERA
Anno nero, il 2001, per la Polizia di Stato. E non meno fosco il 2007,
quando proprio i fatti criminosi relativi al G8, con gli assalti ai
pacifisti inermi nelle caserme Diaz e Bolzaneto, si avvicinano uno dopo
l’altro all’ora del redde rationem. Uno sbocco tutt’altro che immune da
ulteriori tentativi di depistaggio: «La Signoria Vostra – scrive qualche
settimana fa il pm del processo Enrico Zucca al procuratore capo di
Genova – e il procuratore generale sono già stati più volte messi a
conoscenza, anche con lettera riservata, dell’aperto tentativo
proveniente da funzionari di “alto livello” appartenenti alla polizia di
stato e diretto al discredito personale e professionale del
sottoscritto». Zucca come De Magistris e Forleo? Zucca “reo” di far
parte di quel pool di magistrati che aveva disposto le intercettazioni
destinate ad iscrivere nel registro degli indagati l’ex capo della
Polizia Gianni De Gennaro per istigazione e falsa testimonianza?
Rimosso dal vertice e sostituito dal suo vice Antonio Manganelli, De
Gennaro ha trovato subito posto su un’altra, accogliente poltrona: «la
commissione d’inchiesta per il G8 – alza i toni il penalista ed ex
deputato del Prc Giuliano Pisapia – può servire a chiedere a Giuliano
Amato, sotto giuramento, perchè Gianni De Gennaro sia oggi il capo di
Gabinetto del ministro degli Interni di un governo di centro-sinistra».
Anche la recente promozione di Giovanni Luperi, imputato per le violenze
di Genova a capo dipartimento analisi dell’Aise (l’ex Sisde), di certo
non aiuta. Così come nuovo allarme suscita la morte del giovane tifoso
della Lazio Gabriele Sandri per mano di un poliziotto. E comincia il
solito balletto delle ricostruzioni e dei periti balistici. Come per la
morte di Carlo Giuliani. E come per Mario Castellano, ucciso a Napoli
esattamente un anno prima di Carlo, il 20 luglio del 2000, perchè girava
in motorino senza casco. Tanti i tentativi messi in atto per scagionare
il giovane poliziotto, Tommaso Leone, a cominciare dal solito colpo che
doveva essere sparato in aria e che invece si era andato a conficcare
nel polmone del ragazzo. Oggi sono in pochi a ricordare quella brutta
pagina. Ma, forse proprio per questo, la giustizia ha fatto fino in
fondo il suo corso e Leone, dopo la prima assoluzione, è stato
condannato con sentenza definitiva. «Tutto ciò – commenta
l’investigatore privato dissidente – da Castellano a Giuliani fino a
Sandri e a tanti altri, accade con corpi di polizia e carabinieri
addestrati e controllati dallo Stato. Cosa succederà se poteri tanto
delicati saranno affidati per legge alle milizie private?».

COSSIGA DOCET
Che i servizi di intelligence e security in questo periodo “tirino”, e
anche molto, con una domanda in crescita esponenziale, lo dimostrano
anche i master su argomenti specifici del settore che cominciano ad
essere organizzati perfino da atenei italiani. E’ il caso
dell’Università di Reggio Calabria che per l’anno accademico appena
iniziato scende in campo con il “Master in intelligence” organizzato
dalla facoltà di lettere. Grandi nomi fra i relatori, a cominciare dal
presidente del Comitato scientifico: lui, Francesco Cossiga, la cui foto
campeggia su manifesti e locandine accanto alla scritta “1992: crolla la
Repubblica. Lui lo sapeva già”. E ancora, il generale Carlo Jean,
docente alla Luiss e per un periodo incaricato della supervisione nel
settore rifiuti-inceneritori in Campania e indagato per questa attività
ed ex P2 già consigliere di Cossiga presidente; poi Giuseppe Cossiga,
Giorgio Galli, Sergio Mattarella, Rosario Priore, il vicedirettore di
Panorama Pino Buongiorno, il direttore di Limes Carlo Caracciolo, il
caporedattore dell’Espresso Gianluca Di Feo. Con loro, il prefetto
Giulio Cazzella (vedi articolo principale), che a metà febbraio terrà
una session su “Intelligence e relazioni istituzionali, con particolare
riferimento alla cooperazione con le Forze di polizia e le altre
Amministrazioni pubbliche” ed il prefetto della capitale Carlo Mosca,
che a inizio dello stesso mese intratterrà gli studenti sul tema
“Visioni e valori. Il problema della definizione del concetto di
sicurezza nazionale, tra politica e diritto”. Accreditati di una lunga e
cordiale affinità, i prefetti Cazzella e Mosca (quest’ultimo a lungo
capo di gabinetto del ministro al Viminale) siedono insieme anche
nell’organigramma di un’altra sigla. Si tratta della Anfaci,
Associazione nazionale dei funzionari dell’amministrazione civile
dell’interno, che ha fra i suoi consiglieri lo stesso prefetto Cazzella
e presidente onorario il pio Carlo Mosca. Proprio le sue spiccate
inclinazioni religiose gli avrebbero sbarrato la strada lo scorso giugno
quando si doveva nominare in quattro e quattr’otto il successore di
Gianni De Gennaro al vertice della Polizia: «le perplessità su Mosca –
scriveva Italia Oggi il 23 giugno – sarebbero legate esclusivamente a
motivi caratteriali. Chi lo conosce bene dice di lui che è troppo
cattolico, fin troppo mattutino, troppo Opus Dei, uno che ai fallimenti
risponde con frasi tipo: “Hai provato a impegnarti di più e a dire una
preghiera”? Un carattere non proprio militar style».

SANT’ANNA E IL CETO ELETTO
Qualcuno, oggi, la definirebbe una “Casta”, utilizzando un termine che
va di moda. Ma il loro intento era e resta quello di entrare a far parte
di una élite, di quel ceto eletto cui sarà affidato il compito di
guidare il Paese nelle sue più diverse articolazioni. Per compiere
meglio tale mission fondativa, gli aderenti mantengono fra loro stretti
vincoli di amicizia e solidarietà che vanno ben oltre il termine della
loro fondazione. Stiamo parlando dei Collegi Universitari italiani ed in
particolare di quello conosciuto sotto il nome di Scuola Superiore
Sant’Anna di Pisa, tutti uniti quest’anno nel rituale appello ai
contribuenti per ottenetre il versamento del 4 per mille in loro
“sostegno”.
Nella storia del Sant’Anna spicca la personalità di alcuni fra i suoi ex
allievi (non a caso riuniti in apposita associazione), in primis
l’attuale ministro degli Interni Giuliano Amato, che così provvede ad
esaltare le sorti dell’istituto: «Ci riuniamo ogni anno nei bellissimi
locali della Scuola, organizziamo seminari e discussioni, partecipiamo
anche individualmente alle attività didattiche. Molti di noi sono
professori, professionisti o imprenditori affermati. Alcuni sono o sono
stati ministri, primi ministri, amministratori della cosa pubblica ai
più diversi livelli. Abbiamo tutti, quindi, esperienze da scambiare fra
di noi e cose da dire ai più giovani».
Amato avrà dunque “scambiato esperienze”, nel corso degli anni, con ex
allievi come il numero uno di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini,
il giudice di Corte costituzionale Sabino Cassese e, in passato, anche
il vertice di Banca Generali Alfonso Desiata, recentemente scomparso.
Senza contare guest star quali, per esempio, il big di casa Piaggio
Roberto Colaninno, chiamato a Pisa per inaugurare i corsi dal presidente
della Scuola Superiore, Riccardo Varaldo. Dulcis in fundo Enrico Letta,
anche lui immancabile alle celebrazioni, così come l’altro
diligentissimo ex alunno Corrado Passera. Firmatari dell’appello sul 4
per mille sono anche collegi di chiara fede Opus Dei, come le Residenze
Universitarie Internazionali RUI o l’IPE, l’Istituto per le Attività
Educative. Insomma, invece di finanziare i missionari comboniani o le
mense per i poveri di Madre Teresa di Calcutta, perchè non foraggiare
scuole e collegi per ricchi ed aspiranti vip?
La Scuola Superiore Sant’Anna potrebbe rientrare in sfere d’influenza
diverse dall’Opus, ma non meno potenti. Disposte sugli scacchieri
internazionali dell’economia, ma operanti sui nuovi scenari del
conflitto. Al Sant’Anna è attivo infatti l’International Training
Programme for Conflict Management, «struttura – spiegano i responsabili
– che fornisce corsi di alta formazione destinati a tutti coloro che
prestano attività in missioni sul campo. Avvalendosi della competenza di
esperti che operano all’estero e della collaborazione con istituzioni
civili e militari italiane ed internazionali, l’ITPCM ha formato finora
più di 5 mila professionisti». L. Z.
Rita Pennarola
http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta1&id=68,
Dicembre 2007

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.