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Opinioni

Una crisi irragionevole

La teoria economica dominante impone la razionalità come assioma. Pertanto le crisi sarebbero dovute solo alla mancanza di informazioni. E se invece contassero anche le emozioni? _ _ _
 

Nonostante tutto quello che è successo negli ultimi 5 anni sono ancora pochi i leader mondiali che hanno il coraggio di dire ad alta voce quello che invece si dicono a porte chiuse: non sappiamo come uscire da questa palude, ma soprattutto non siamo capaci di immaginare una teoria economica in grado di darci delle risposte per il futuro.
Questa crisi ha infatti effetti profondi sulla teoria economica e soprattutto su alcuni di quelli che sono ne considerati assiomi indiscutibili. Tra questi la razionalità degli individui. La capacità di essere razionale e di fare scelte in base alle informazioni disponibili secondo una logica indiscutibile è una caratteristica che la teoria economica attribuisce all’homo oeconomicus, cioè l’approssimazione dell’individui che è al centro della teoria economica dominante.
Escludere, quindi, dalla teorizzazione economica tutto ciò che è altro dalla ragione è stata una scelta ben precisa (probabilmente dettata anche dal fatto che tutto ciò che non era razionale era considerato prerogativa solo delle donne…).
La crisi dei mercati finanziari induce a chiederci se non sia necessaria una radicale revisione anche di uno degli assiomi fondamentali della teoria.
In una recente pubblicazione della World Economic Association, una associazione di economisti nata nel 2011 per dare più spazio alle visioni alternative dell’economia, Sheila Dow -professoressa alla Stirling University– si concentra proprio sull’ipotesi della razionalità degli individui.
La professoressa Dow sottolinea quanto sia indispensabile rivedere profondamente gli aspetti del paradigma che ha causato la crisi, per metterne in luce le debolezze.
La razionalità dell’individuo viene definita in teoria economica come il tentativo logico di perseguire determinati obiettivi: tutto ciò che non segue questa definizione viene definito irrazionale.
Sulla base di questo paradigma si presume che la crisi economica sia stata determinata dalla mancanza di informazione che ha portato gli operatori del mercato a assumersi eccessivi rischi. La soluzione, da un punto di vista economico, è quindi quella di regolamentare il flusso di informazione al fine di consentire agli operatori del mercato di compiere scelte razionali totalmente informate.
Sheila Dow sostiene, invece, che per comprendere bene la crisi economica sia necessaria abbandonare la convinzione sulla razionalità degli individui, e rendersi conto che le persone agiscono per conoscenza razionale, ma anche basandosi sulle emozioni.
Il riconoscimento del ruolo delle emozioni e dei sentimenti nei processi decisionali economici è essenziale, secondo lei, per liberarsi dai limiti imposti alla teoria economica dall’ipotesi di razionalità.
Secondo il quadro teorico economico dominante, le attività degli operatori avrebbero prodotto prezzi in linea con il rischio sistemico, e avrebbe prodotto il miglior risultato possibile per la società. Questa teoria è stata gettata nella confusione totale dalla realtà. Persino Alan Greenspan, economista neo-liberista, sostiene che la crisi è cominciata quando all’euforia è subentrata la paura. La crisi dunque è avvenuta anche perché gli operatori sono in balia dei sentimenti (se fossero state donne avrebbero detto che erano tutte isteriche…).
Dow sostiene quanto sia indispensabile riportare l’economia al rango di scienza sociale, e considerare la possibilità di analisi economiche che tengano conto anche di metodologie diverse: in particolare è fondamentale considerare i sentimenti, anche collettivi. L’autrice si concentra sul “market sentiment”, “sentimento” del mercato, che non può più essere ignorato, anche se nel paradigma dominante è irrazionalità. Invece è necessario cercare di capire come le scelte vengano effettuate anche in base a emozioni e immaginazione degli operatori, che sono veri propulsori delle scelte umane. Da un punto di vista di politica economica diventa dunque centrale guardare non solo a ciò che potrebbe rendere razionali le scelte degli operatori di mercato, ma osservare cosa potrebbe influenzare il sentimento delle loro decisioni. In questo periodo caratterizzato da incertezza, sembra a volte che le decisioni di politica economica siano meno rilevanti del modo in cui esse si comunicano al pubblico e quindi al mercato.
Se il modello di uomo utilizzato nella teoria economica non è reale, è impossibile che questa sia davvero in grado di spiegare la realtà. Oggi importante chiedersi cosa sarebbe stato se il fondatore della teoria economica moderna invece che Adamo Smith fosse stata Eva Smith. —
 

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