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Un visto, una vita

Il Belgio ha garantito a due famiglie siriane l’ingresso nel Paese per "ragioni umanitarie", una possibilità prevista dal codice comunitario dei visti del 2009. Hanno così potuto viaggiare in aereo, e l’associazione “Syrie-Un visa, une vie” ha speso circa 7mila per portare in Europa dodici persone (meno di 600 euro a testa)

“Lo scorso inverno ho visto le immagini di alcuni bambini siriani morti di freddo in un campo profughi. Per me è stato uno choc. Ho deciso di fare qualcosa”. Anne-Laure Losseau è una giovane mamma belga, giurista di formazione ed ex avvocato. Fino a qualche mese fa non sapeva quasi nulla del diritto d’asilo, eppure in poco tempo ha trovato un modo per scardinare le regole della Fortezza Europa.
Ha riunito un gruppo di amici nell’associazione “Syrie-Un visa, une vie” (Siria-Un visto una vita) e ha permesso a due famiglie siriane, dodici persone in tutto, di raggiungere l’Europa in sicurezza, evitando loro la pericolosa traversata del Mediterraneo su un barcone. “Il Belgio è molto accogliente con chi richiede asilo -riflette Anne-Laure-, a patto però che i profughi riescano ad arrivare fino a qui”. Come in un perverso gioco dell’oca, solo chi riesce a superare con successo tutti gli ostacoli e non viene costretto a fare troppi passi indietro riesce ad arrivare alla meta tanto ambita.

Perché chi fugge da una guerra, non può semplicemente imbarcarsi su un aereo con un visto turistico? “Per ottenere questo tipo di visto bisogna provare la volontà di ritornare al proprio Paese d’origine. Impossibile nel caso della Siria”, spiega Anne-Laure. La sola soluzione praticabile è il cosiddetto “visto umanitario” che permette, in alcuni casi particolari, di viaggiare liberamente e di soggiornare temporaneamente nel Paese che lo concede. Una possibilità prevista dal codice comunitario dei visti del 2009 ma “in Belgio il visto umanitario è un favore e non un diritto” spiega Anne-Laure.
 
Grazie all’aiuto di Ghazi el Rass, farmacista siriano residente di Belgio e attivista, l’associazione “Syrie-Un visa, une vie” è entrata in contatto con le famiglie di due bambine che avevano urgente bisogno di un’operazione chirurgica: Marwa, ferita da una scheggia di una bomba, e Haifa, affetta da una malformazione cardiaca.
“Convincere le famiglie non è stato facile -racconta Anne-Laure-. Si trovavano ancora in Siria e hanno dovuto passare senza documenti la frontiera con la Turchia. Una situazione molto pericolosa, soprattutto per bambini così malati”. Inoltre non ci sono garanzie né sui tempi (fino a sei mesi d’attesa) né sul buon esito della pratica. In questo caso, i visti sono arrivati dopo soli 11 giorni di attesa: la richiesta era stata presentata il 30 giugno 2015 all’ambasciata belga ad Ankara.

Il costo dell’intera operazione -biglietti aerei più visti- è di circa 7mila euro: poco meno di 600 euro a testa per mettere in salvo 12 persone in condizioni di relativa sicurezza.
“Una cifra irrisoria se si pensa a quanto chiedono i passeur per portare i profughi in Europa -riflette AnneLaure-. E comunque, queste famiglie hanno comunque dovuto superare il confine con la Turchia”.
Marwa e Haifa sono state operate, i loro fratelli e sorelle hanno iniziato a frequentare la scuola. Mentre il progetto “Syrie-Une visa une vie” è in fase di stand-by. “Molte realtà da diversi Paesi europei ci stanno contattando per capire come replicare la nostra esperienza -conclude Anne-Laure-. In questo momento noi ci stiamo prendendo cura delle famiglie che abbiamo fatto arrivare in Belgio, aiutandole ad ambientarsi qui. Ci stiamo domandando come fare per continuare al meglio il nostro lavoro”.

Foto “Syrie-Un visa, une vie”

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