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Ambiente

Un sindaco contro le cave

Nel vercellese, un giovane amministratore sceglie di dire basta al consumo di territorio. Fatti due conti, conviene anche per le casse del Comune

Tratto da Altreconomia 134 — Gennaio 2012

Andrea Chemello, 35 anni, è il sindaco del Comune di Tronzano Vercellese (www.comune.tronzanovercellese.vc.it). Quand’è chiamato a spiegare perché ha deciso di dire basta alle cave, elenca dei numeri: il suo Comune ha 3.602 abitanti, una superficie di quarantanove chilometri quadrati e 5.820.000 metri cubi di ghiaia pronti per essere estratti, grazie alle autorizzazioni rilasciate tra il 2005 al 2011. Per questo “Mai più cave” è il messaggio scritto in calce alla delibera approvata il 5 novembre scorso dal consiglio comunale di Tronzano, che chiede alla Regione Piemonte di stralciare il territorio comunale dall’elenco dei “Poli estrattivo di notevole interesse giacimentologico”.  Tronzano è nella pianura alluvionale “costruita” nei secoli dalla Dora Baltea. “Sottoterra c’è uno strato di 30 metri continuativi di ghiaia purissima, pulita -racconta Chemello-. È una zona estremamente ricca, proprio perché qui scorreva l’antico alveo della Dora abbiamo un’acqua pregiata”.

Qualità dell’acqua ed attività estrattiva non sono attività “concorrenti”?
“Sì, e di fatti il Piano territoriale delle acque fa a pugni con il Dpae, il Piano regionale delle attività estrattive. Questo documento spiega che in zona c’è ghiaia buona, ma l’altro individua il bacino della Valledora come bacino di ricarica delle falde di tutta la regione. Se ognuno guarda al proprio compartimento, senza tener conto dell’altro, non c’è pianificazione. In Comuni poco distanti dal nostro, a Cavaglià (Bi) e ad Alice Castello (Vc), alcune vecchie cave sono state trasformate in discariche. Sono profonde 30 metri, 35 metri, a diretto contatto con la falde. Ad Alice Castello, la falda era ad 1-2 metri dal fondo della discarica. Quando la falda si è alzata, è andata a lambire i primi metri di rifiuti: si è formato il percolato, che è entrato in contatto con l’acqua di falda.
Già nel ‘94 il Dipartimento di scienze della terra del Politecnico di Torino pubblicò uno studio secondo il quale cavare poteva mettere in serio pericolo le falde, perché in questa zona c’è un acquifero unico e indifferenziato, separato da lenti di argilla. È come se fosse un unico, grande bidone, e là sotto l’acqua di muove. L’atrazina che è stata trovate nell’acqua non dipende dall’attività di cava, ma se è scesa fino a 100 metri di profondità ciò significa che le falde sono in comunicazione. E la cava è un veicolo maggiore per questa messa in comunicazione tra le falde. È come se tu hai un taglio su un braccio: il rischio di infezioni è più facile. I bambini delle elementari lo capiscono subito, quest’esempio”.

In consiglio comunale alcuni consiglieri di minoranza hanno posto l’accento sui mancati introiti legati allo stop all’attività di cava. 
“Nel primo semestre 2011 abbiamo incassato circa 13 mila euro. La ghiaia in Piemonte costa molto poco, 47 centesimi per metro cubo. In Veneto, invece, chi cava paga 1,50 euro. Il cavatore è tenuto a versare nelle casse comunali 33 centesimi e 14 alla Regione, in base a quanto dichiara di aver cavato. Noi abbiamo un bilancio di 3,5 milioni di euro, e siamo praticamente in mutande, ma anche l’assessore al Bilancio della mia giunta, visti gli introiti esigui, ha capito che può farne a meno. Fossero pure 60-100mila euro all’anno, che mi permettono di avere un bilancio più florido, se questi incassi contribuiscono a creare una situazione non sostenibile, costi per mitigazione ambientale e sanitaria elevati, sarebbe un non senso. Non devo pensare solo a ciò che c’è oggi, ma prevedere ciò che potrebbe avvenire in futuro. Il costo della manutenzione e della sostituzione del filtro a carboni attivi, che permette di mantenere la potabilità dell’acqua, gravano sulle bollette. Sono costi che i cittadini andranno a sostenere. Se lo sfruttamento di questi giacimenti di ghiaia, anche per realizzare opere pubbliche, crea un danno i cui costi, anche sanitari, saranno evidenti tra venti o trent’anni, poi voglio vedere qual è la spesa per rimediare, e per quanti anni. Purtroppo si pensa sempre a quello che avviene nell’immediato”.

Nella delibera votata il 5 novembre, il consiglio comunale pone cinque domande alla Regine Piemonte. Di che cosa si tratta?
“Il Comune è l’ente delegato in materia di autorizzazioni a cavare: la legge per noi è molto chiara. Eppure abbiamo posto questa domanda, sindaco, giunta e consiglio comunale, perché a Tronzano il consiglio non ha mai deliberato in materia di autorizzazioni. Prima del mio mandato, queste venivano concesse da un funzionario comunale.
Così chiediamo alla Regione, qualora l’organo preposto sia effettivamente il consiglio, e questo non si è mai espresso, se le autorizzazioni in essere siano o meno legittime. E, se non lo sono, come sanare questa situazione”. 

Le autorizzazioni, se sono legittime, scadranno nel 2017.
“Finita questa mole enorme di materiale, quasi 6 milioni di metri cubi, è tempo di smettere di cavare. Non si porta via più un metro cubo dal nostro territorio” sottolinea Chemello.
E il Movimento Valledora (www.movimentovalledora.org), che da anni lavora sul tema di cave e discariche, ha sottolineato questa scelta scrivendo che si apre “un nuovo capitolo in Valledora”. Pochi giorni dopo, anche il Comune di Santhià (Vc) ha fatto un passo in questo senso. In consiglio ha infatti bocciato a fine novembre la richiesta d’ampliamento di due cave, una presso cascina La Mandria (3.990.000 metri cubi) e una presso Cascina Alba. Quest’ultima, “condivisa” tra Santhià e Tronzano, avrebbe dovuto scendere fino a 47 metri di profondità. —

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