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Opinioni

Un clima adatto alla tortura

Il rapporto del Senato Usa sulle pratiche della Cia conferma che i trattamenti inumani nei confronti dei prigionieri sono inutili per ottenere informazioni. Nonostante questo, la messa al bando è lontana.
In Italia, intanto, il medico Giacomo Toccafondi, salvato dalla prescrizione nel processo d’Appello sulle violenze all’interno del carcere di Bolzaneto durante il G8 del 2001, dopo quasi 14 anni è stato "sospeso" per 6 mesi dall’Ordine, ma non radiato

Tratto da Altreconomia 167 — Gennaio 2015

Tocca tornare a scrivere di tortura. Ha fatto scandalo la pubblicazione negli Stati Uniti, da parte del Senato, di un rapporto riguardante i metodi utilizzati dalla Cia dopo l’11 settembre 2001 nella cosiddetta “guerra al terrorismo”. Il rapporto mette nero su bianco e racconta con dovizia di particolari ciò che già era noto sul piano storico, grazie a una miriade di denunce e indagini indipendenti. È la sostanza vera del post 11 settembre: accantonamento dello stato di diritto e quindi stato d’eccezione permanente. Il novero degli abusi comprende antiche e moderne tecniche di pressione fisica e psicologica sui prigionieri;  rapimenti arbitrari; detenzione illegale. Siamo insomma all’uso programmato e sistematico della tortura.
Il presidente Barack Obama ha commentato il rapporto nel modo più ovvio, attingendo alla sempreverde retorica dell’America patria della democrazia: “I duri metodi adottati dalla Cia sono contrari e incompatibili con i valori del nostro Paese”. Ma sono parole di legno dato che gli Usa non nascondono più la pratica degli omicidi mirati e tengono ancora aperta la prigione di Guantanamo, a Cuba.
Molti hanno sostenuto che la pubblicazione del rapporto è un segnale di salute per le istituzioni statunitensi, che hanno scelto di lavare in pubblico i panni sporchi. Vero. È  altrettanto vero, tuttavia, che di arresti arbitrari, prigioni “segrete” e torture si parla e  si ha prova da oltre un decennio, senza che vi siano stati interventi significativi per interrompere simili pratiche. Perciò il rapporto del Senato è solo un mezzo scandalo. Semmai, dovrebbe far riflettere il tono della discussione avviata dopo la sua pubblicazione. Per un Obama che parla, con una buona dose di ipocrisia, di “tradimento dei nostri valori”, ci sono negli Stati Uniti esponenti politici di primo piano che difendono la Cia ed esprimono insofferenza per l’operazione-verità compiuta dal Senato. Un’operazione -sostengono- che mette a repentaglio la sicurezza dei soldati statunitensi all’estero. La “sicurezza”, o meglio una certa idea di sicurezza, torna così a prevalere sullo stato di diritto e sul rispetto dei diritti umani.

Un altro filone di discussione non è meno allarmante. Si cita cioè il rapporto del Senato statunitense perché arriva alla conclusione che la tortura è una pratica inutile: non consente di avere informazioni attendibili, non aiuta -quindi- nella lotta al terrorismo. Ma questa è una verità nota da decenni e ormai riportata negli stessi manuali di istruzione per gli agenti statunitensi delle varie agenzie per la sicurezza. Perché tanta enfasi su un punto così scontato? Vogliamo forse riaprire una discussione anacronistica?
La vera questione da affrontare è allora un’altra. Dobbiamo domandarci per quale ragione la tortura, inutile per le investigazioni, incompatibile con i valori democratici, sia tutt’altro che debellata ed anzi prosperi nel mondo, tanto da obbligare un’organizzazione come Amnesty International a lanciare una nuova campagna internazionale per la sua cancellazione. Juan Mendez, avvocato argentino e Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla tortura, ha detto di recente che la lotta contro la tortura è difficile perché si deve combattere contro il clima di consenso che la circonda. L’argomento secondo il quale è lecito torturare per finalità democratiche e di salvezza di vite umane, è ancora diffuso e sostanzialmente accettato. Il dibattito seguito al rapporto del Senato statunitense in fondo lo dimostra, ed è impossibile dimenticare, per citare un esempio italiano, un editoriale del 2006 pubblicato in prima pagina sul Corriere della Sera, firmato da Angelo Panebianco e intitolato “Il compromesso necessario”.
La tortura è ancora uno strumento politico e ideologico usato da governi, eserciti e polizie sia contro i “nemici”, per spaventarli e minacciarli, sia rispetto ai comuni cittadini, spinti a fidarsi e ad accettare l’utilizzo di strumenti forti con la promessa di sicurezza e stabilità. Lo stato di eccezione è quasi sempre applicato con l’implicito consenso popolare. È sotto questa luce che andrebbe considerata anche la discussione in corso nel Parlamento italiano attorno alla legge che introdurrebbe il reato di tortura nel nostro ordinamento. Vertici e sindacati di polizia non hanno mai nascosto la propria avversione e le principali forze politiche hanno quindi optato per un’ipotesi di mediazione che svilisce la nozione di tortura consolidata nel diritto internazionale. Tale reato, in Italia, non sarebbe specifico del pubblico ufficiale e nemmeno sottratto al possibile intervento della prescrizione.
Per combattere quel “clima di consenso” di cui parla Juan Mendez ci vorrebbe ben altro. —
 

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