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Altre Economie

Un brindisi al paesaggio

In Irpinia alcune varietà antiche e pregiate resistono ai colpi del “mercato” vinicolo e all’avanzata del cemento. È il progetto “Chicchi di memoria"

Tratto da Altreconomia 135 — Febbraio 2012

Sciascinoso, Mondonico, Piedirosso, Aglianicone. Se nessuno di voi ha mai bevuto un vino con questo nome, non fatevene una colpa, perché non esistono: sono tutti antichi vitigni irpini, che nessuno vinifica e perciò rischiano la scomparsa.
Sono, però, “chicchi di memoria”: non nascono lungo filari ordinati, su impianti di vite a “cordone speronato”, ma sono il frutto di veri e propri alberi, vecchi anche più di cent’anni. Viti “franche di piede”, “ovvero con le radici ben piantate nella terra d’Irpinia” racconta Peppino Beatrice, contadino che lavora in vigna e animatore, con altri, della condotta Slow Food “Irpinia Colline dell’Ufita e Taurasi” (www.condottaufitataurasi.it). Sono sopravvissute alla filossera, la mosca che dalla metà dell’Ottocento ha decimato le vigne italiane, ma rischiano di essere sopraffatte dal “mercato”, che negli ultimi anni ha scoperto i vini della provincia di Avellino, e in particolare le tre Docg (Denominazione di origine controllata e garantita), il Greco di Tufo e il Fiano di Avellino, entrambi bianchi, e il Taurasi, rosso da uve aglianico.
“Molte sopravvivono solo perché un figlio ha voluto mantenere le vigne piantate dal padre. Siamo appena in tempo a salvarle, a condizione che non sia solo questione di affetto” racconta Peppino: il suo sogno è quello di potersi versare un bicchiere, un giorno, da una bottiglia su cui campeggi la scritta “Questo vino ha salvato il paesaggio!”.
Un sogno condiviso: mentre ci arrampichiamo in auto lungo la Ss 90 “delle Puglie”, che taglia il territorio tra i comuni irpini di Bonito, Mirabella Eclano e Taurasi, mi racconta il “censimento” dei vitigni antichi promosso dalla condotta di Slow Food, un primo passo per “valorizzare ciò che resta dell’antico paesaggio agrario” spiega. Nel lungo periodo, mi racconterà più avanti Franco Archidiacono, fiduciario della condotta, intorno alle vigne storiche potrebbero nascere anche un Parco e un percorso turistico.
Lo meritano senz’altro le colline che attraversiamo, tutte dominate dalla vite. Belle, anche se spoglie in una giornata di fine dicembre. Anche questo, però, è un paesaggio a rischio: i tre comuni ricadono nella Docg del Taurasi, la cui produzione negli ultimi anni ha conosciuto una massificazione. Molti degli impianti che vedo scorrere oltre il finestrino sono nuovi, fitti di viti basse ad alto rendimento. La maggior parte fanno capo a due gruppi importanti, Feudi di San Gregorio e Mastroberardino. Quello che cerchiamo noi, invece, è lo “starsete”, un tipo di impianto in cui la vite corre in alto, molto più in alto rispetto alla testa dell’osservatore, arrampicata a un palo in legno, a un tronco o ad un albero da frutto. “Da noce a noce, o da pero a noce -elenca Peppino-. Da olmo a olmo, o da olmo a pioppo”. E spiega: “Niente era lasciato al caso. Alcuni di questi terreni, argillosi, avevano bisogno di buoi per essere lavorati, e le foglie di olmo erano un buon alimento per gli animali”. Sotto lo starsete la famiglia contadina coltivava la terra. “Siamo lungo la ‘via del grano’. Da qui passava anche la via Appia, la consolare che univa Roma a Brindisi, e al Passo di Mirabella sono visibili i resti della città romana di Aeclanum” racconta Peppino.
Ha le mani grandi quest’uomo che si occupa da oltre vent’anni di conoscere e tutelare la biodiversità in vigna. I suoi occhi si illuminano quando mi racconta di aver scoperto “l’ultimo ceppo di Tendiglia, o Tentiglia: è un vitigno caratterizzato da un acino molto piccolo, che per questo catturava più sole, ed era usato per dare colore. Dobbiamo salvaguardare quest’unica pianta, altrimenti non lo avremo. Mai più”.
La doppia scintilla che ha dato vita al progetto “Chicchi di memoria irpina” (www.condottaufitataurasi.it/chicchi-di-memoria.html) si è innescata tra l’estate e l’autunno del 2011. La prima si è sprigionata a Bonito, dopo la notizia che un imprenditore avrebbe voluto realizzare nell’area del Piano d’insediamento produttivo (Pip) sul confine con Mirabella una centrale elettrica alimentata a biomasse. Proprio a ridosso di alcune delle storiche starsete, e nei pressi di una frana. Nel paese nasce un comitato spontaneo, che in pochi giorni raccoglie 650 firme (su meno di 2mila residenti) e chiede al sindaco un referendum consultivo sul progetto, che è poi naufragato (comitatoperbonito.blogspot.com).
Nel frattempo, a fine settembre a Cassinetta di Lugagnano (Mi) era nato il forum “Salviamo il paesaggio, difendiamo i territori”, tra i cui promotori c’è anche Ae (www.salviamoilpaesaggio.it/blog). La cui filosofia di fondo è declinata nel progetto: “L’assunto da cui partiamo -spiega Franco Archidiacono- è che parte del territorio dell’Irpinia, e nello specifico della media Valle del fiume Calore, sta resistendo alla cementificazione ed è caratterizzato da poderi e da un paesaggio agricolo in cui si conservano tracce di vigneti ‘secolari’ per produzioni di vino limitate all’autoconsumo”. Una realtà  che va tutelata: “Siamo in un limbo, tra affetto e dismissione” racconta Peppino Beatrice. Il censimento di questi “patriarchi di provincia” è partito in autunno. Sono 7, per il momento, le “particelle” analizzate, per cui sono state elaborate schede “utilizzando le mappe catastali, analisi cartografiche e ortofoto” spiega Archidiacono. Un vero e proprio studio di analisi territoriale e paesaggistico, l’attività istruttoria propedeutica all’istituzione di un Parco urbano d’interesse regionale, sulla base della legge numero 17 del 2003 della Regione Campania. A inizio gennaio, di ritorno a Milano, ricevo una e-mail di Franco: “A voi il documento che viaggia verso la nostra GRANDE IDEA”, scritto così, in maiuscolo. In allegato c’è l’atto con cui la Regione ha istituito un Parco urbano intercomunale denominato “Media Valle del Calore”, nei comuni di Luogosano, Lapio e Sant’Angelo all’Esca e Taurasi: “Abbiamo una grande possibilità di integrare le due cose ed essere più ‘spendibili’ quando andremo a parlare con i sindaci dei comuni di Bonito e Mirabella”, aggiunge Franco.    
Potrà senz’altro “spendere”, Slow Food, anche il vino prodotto da una delle due cantine che hanno scelto di far parte del gruppo di lavoro, l’Azienda agricola “Contrade di Taurasi” della famiglia Lonardo (www.contradeditaurasi.it).
È una bottiglia da cullare, e si chiama Grecomusc’, o Rovello bianco. “Abbiamo iniziato a vinificarlo nel 2003.
Prima credevamo fosse un clone del Greco di Tufo, anche se guardando l’acino sembra una cosa differente -racconta Sandro Lonardo, titolare dell’azienda agricola e responsabile di cantina-. Grazie a una collaborazione con l’Università di Napoli, scoprimmo che si trattava di un vitigno indigeno, che non ha niente a che spartire con il Greco”. Oggi se ne producono circa 3mila bottiglie all’anno, ed è nata una Comunità del cibo di agricoltori custodi dell’antico vitigno Grecomusc’, perché i ceppi da cui provengono gli acini trasformati in vino nella cantina dei Lonardo, poche centinaia in tutto, sono sparsi nel territorio di Bonito, Mirabella Eclano e Taurasi. “Stiamo ancora sperimentando -aggiunge Flavio Castaldo, di formazione archeologo prestato all’enologia, genero di Lonardo-: dal 2007, ad esempio, vinificavamo il Grecomusc’ in purezza. Abbiamo selezionato le piante, con l’aiuto dei produttori. D’altronde -aggiunge- si vendemmia, e si vinifica, solo una volta all’anno”. Sono i tempi della natura.
“Il Rovello bianco non lo vinificava più nessuno” racconta Peppino Beatrice. È lui a curare le vigne per conto dei Lonardo. “Per i contadini -aggiunge- è stato importante il riconoscimento offerto da Sandro, che assicura loro 100 euro al quintale di uva, 30 in più di quanto viene pagato, ad esempio, un quintale di Greco di Tufo”. Per conto di Slow Food, Peppino è il responsabile del rapporto con i produttori: “Abbiamo instaurato relazioni personali, basate sul rispetto. La nostra è una cultura contadina molto povera -aggiunge-, e gli impianti, invecchiando, producono di meno. La maturazione dell’acino è più lenta rispetto al ‘cordone speronato’, e in più i contadini ad ottobre vogliono raccogliere l’uva, temono di perderla se aspettano oltre la metà del mese”. Sono abituati a vendere il proprio prodotto come uva da taglio. Serve fiducia, perché la lascino maturare in vigna. “A Natale alcuni di questi contadini sono venuti a casa mia -racconta Peppino-. Mi hanno portato gli auguri, e invitato a  tornare a potare le loro vigne. Non s’abbatteranno più”.
Apriamo una bottiglia di Grecomusc’ del 2007, e prendo atto che il progetto pilota è stato un successo. Quello dell’annata 2008 è segnalato come “vino slow” nella guida Slow Wine 2011.
Altre aziende irpine vinificano dalle starsete, ad esempio quella di Luigi Tecce, produttore di Aglianico a Paternopoli, o le Cantina Giardino di Ariano Irpino, che vinifica la Coda di Volpe rossa, un altro vitigno in via di estinzione.
Al gruppo di lavoro, intanto, si dovrebbe associare un altro produttore, le cantine “Tenuta Cavalier Pepe”, per vinificare gli antichi vitigni rossi “censiti”, ossia lo Sciascinoso, il Mondonico, il Piedirosso e l’Aglianicone (che è un aglianico, il principe del territorio, con il grappolo più grande). “Al centro del nostro progetto, però, non c’è il vino. Vogliamo partire dal territorio -spiega Archidiacono-, per arrivare poi alla bevanda. Ma questo è un obiettivo che ci siamo dati da qui a sei anni”.
“Oggi facciamo adottare un paesaggio -racconta Peppino, che tuona contro le pseudo misura di salvaguardia delle vigne storiche della Regione Campania-: il Piano di sviluppo rurale prevede un contributo di 100 euro per ceppo, ma troppa burocrazia rende certe misure inapplicabili, perché non si sposa con il contadino che vuol bene alla terra. La regola dovrebbe essere questa: per ogni ceppo ‘franco di piede’, tu che ne sei il custode ricevi un premio per la salvaguardia”. È scritto anche nel “Manifesto di resistenza contadina”, un documento votato all’unanimità in dicembre dal direttivo di Slow Food Campania, che “vuole dare voce, sostegno e opportunità a tutti quei contadini che resistono a una legislazione che privilegia sempre di più i processi di industrializzazione del cibo” ma anche “all’avanzare del cemento”.
L’idea del parco, oltre a tutelare il paesaggio porta con sé progetti di “enotrekking”. Passeggiate alla scoperta delle vigne storiche, con degustazione finale. Tutto ruota intorno al vino, la vera ricchezza della verde Irpinia.  —

I divi dell’Irpinia
La sperimentazione in cantina è uno dei tratti principale dell’azienda “Contrade di Taurasi”, che per esaltare le caratteristiche organolettiche tipiche del vino ha scelto, ad esempio, di utilizzare lieviti autoctoni, cioè selezionati nel mosto d’uva. L’azienda della famiglia Lonardo è anche tra quelle che promuovono l’associazione Diversi vignaioli irpini, “Divi”: riunisce undici piccole realtà che non superano le 50mila bottiglie di produzione ed i 5 ettari di vigneto e hanno scelto di far rete per organizzare in comune iniziative e spedizioni (info: tenutasarno1860@virgilio.it). “È un percorso accidentato -racconta Flavio Castaldo-: dopo dieci mesi siamo riusciti a far partire la prima spedizione comune”.
Per conoscere queste terre, il mese ideale è l’agosto, quando il centro storico di Taurasi, dominato dal castello sede dell’Enoteca regionale, si risveglia: a cavallo di Ferragosto è in programma la Fiera enologica, organizzata dalla Pro Loco (www.prolocotaurasi.it, nel 2012 dovrebbe cadere tra l’11 e il 15).

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