Diritti / Inchiesta
Un anno di “gestione” Medihospes nei centri per migranti voluti dall’Italia in Albania
Il 14 ottobre 2024 la prima nave partiva dal Sud di Lampedusa verso l’Albania. L’unica costante di questi dodici mesi di operatività, caratterizzati da continui stop e riavvii, è la cooperativa sociale. Il contratto con la prefettura di Roma però non è ancora stato firmato e le promesse scritte in sede di bando restano solo sulla carta. Il colosso dell’accoglienza, intanto, accantona oltre un milione di euro nel bilancio 2024 per un accertamento della Guardia di Finanza. La nostra inchiesta continua
C’è una costante che lega il primo anno di attività dei centri per migranti previsti dal protocollo Italia-Albania. Tra stop forzati e modalità di funzionamento cambiate di continuo, chi è sempre rimasta attiva nelle strutture di Shëngjin e Gjadër è la Cooperativa sociale Medihospes.
Il “colosso” dell’accoglienza romana, a quasi 500 giorni dall’aggiudicazione della commessa da oltre 133 milioni di euro, non ha però ancora siglato il contratto con la prefettura di Roma e gli impegni presi in sede d’appalto, per ora, restano solo sulla carta.
Quello che non è rimasto sulla carta, invece, è lo shock vissuto da chi in quei centri è stato rinchiuso. “Mi sono ritrovato in una prigione di massima sicurezza, senza aver mai passato un giorno della mia vita in prigione”, racconta Mustafa, nome di fantasia, che ricorda perfettamente il giorno in cui è entrato a Gjadër. Il suono dei cancelli che si chiudono, le alte sbarre di metallo che circondano la struttura, la soffocante mancanza di libertà. “Dopo così tanti anni in Italia, non avrei mai pensato che potesse accadermi qualcosa di simile”.
Da quando il governo italiano ha deciso il 14 ottobre 2024, all’improvviso, di avviare l’operatività delle strutture, sono in totale 111 le persone (dati al 28 luglio 2025) che, come Mustafa, hanno fatto ingresso nei centri previsti dall’accordo siglato tra Roma e Tirana. Le prime a entrarvi, il 16 ottobre di un anno fa, sono stati dieci cittadini bengalesi e sei egiziani arrivati al porto di Shëngjin sulla nave Libra, assetto militare poi ceduta a metà settembre di quest’anno dal Governo Meloni all’Albania.
Dopo quel primo sbarco non sono state solo le persone migranti a vivere confusione e incertezza ma, come abbiamo già raccontato, anche gli operatori albanesi assunti da Medihospes che non avevano ricevuto alcuna formazione. “Ci è stato detto di mantenere un ruolo di osservazione durante quella operazione. Non conoscevamo altri colleghi, né avevamo una visione d’insieme sul funzionamento dei centri. Fino alla fine di dicembre non abbiamo avuto nemmeno un ufficio”, sottolinea un ex lavoratore che preferisce mantenere l’anonimato. Tutto è avvenuto velocemente. “I turni ci sono stati forniti tra le nove e le dieci della sera prima”, aggiunge.
Per tre volte il governo italiano ha tentato di trasferire le persone dalle acque internazionali in Albania ma diverse pronunce dei tribunali italiani hanno fermato di fatto la possibilità di utilizzare con quelle modalità le due strutture. Così il ministero dell’Interno guidato da Matteo Piantedosi ha deciso di cambiare strategia. L’11 aprile 2025 una parte del centro di Gjadër è stata riaperta come Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr), ovvero una struttura in cui le persone senza permesso di soggiorno vengono rinchiuse prima di essere rimpatriate.
La maggior parte delle persone portate in Albania sono state ritrasferite in Italia prima di essere espulse nel loro Paese d’origine. A parte un unico caso, in cui cinque cittadini egiziani sono stati rimpatriati direttamente da Tirana a Il Cairo.
“Contrariamente alle dichiarazioni ufficiali secondo cui alle strutture albanesi si applicherebbe la giurisdizione italiana, l’operazione di rimpatrio a partire dall’Albania svela i limiti di questa finzione legale -spiega Andreina de Leo, esperta di legislazione europea in materia di asilo e migrazioni-. L’aeroporto di Tirana non è sotto la giurisdizione italiana, né esiste alcun meccanismo per assicurare un controllo da parte dell’autorità giudiziaria italiana o la conformità agli standard legali europei durante le fasi finali e più delicate del processo di rimpatrio”. Anche le nuove modalità di funzionamento di queste strutture, insomma, lasciano alcune perplessità. Ma soprattutto fanno sì che Medihospes si ritrovi a lavorare in un contesto differente da quello previsto in sede di affidamento dell’appalto.
Un bando che ha fatto discutere per diverse ragioni. La prima è stata la scelta della prefettura di Roma di intraprendere la via della “procedura negoziata”: delle trenta offerte pervenute nei sette giorni disponibili l’ufficio locale del Viminale ne ha selezionate tre per la fase finale, tutte con sede in Italia. Due hanno rinunciato lasciando “sola” Medihospes che il 7 maggio 2024 si è vista assegnare la commessa. Un’aggiudicazione che ha fatto rumore: la cooperativa con sede a Roma è infatti molto conosciuta per le decine di appalti gestiti sul territorio italiano e perché è il braccio operativo nell’ambito dei servizi socio-assistenziali del Consorzio La Cascina, coinvolto nel 2015 dall’inchiesta giudiziaria nota come “Mafia capitale” che ha svelato un sistema corruttivo legato agli appalti nella capitale. In questi dieci anni che separano lo scandalo giudiziario che ha determinato, tra le altre cose, anche il commissariamento de La Cascina, poi valutata positivamente dal tribunale per aver “reciso definitivamente ogni rapporto con ambienti criminali”, il consorzio ha saputo costruirsi una nuova reputazione. Tanto che Medihospes a inizio luglio 2025 è stata premiata dall’Alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr) con il badge “WeWelcome 2024” sottolineando “il rilevante impegno dimostrato nella promozione di interventi specifici per l’inserimento lavorativo dei rifugiati”. Nel premio -così come sul sito della cooperativa sociale- non si menziona affatto l’attività in Albania ma solo quella sul territorio italiano che conta decine di appalti da Nord a Sud.

Tra il 2022 e il 2024 l’importo ricevuto da nove prefetture in Italia per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati è cresciuto da circa 34 a 52 milioni di euro. E la maggior parte degli appalti riguarda proprio la prefettura di Roma che l’anno scorso ha rappresentato circa il 55% dell’importo totale ricevuto. Anche grazie a queste commesse Medihospes, che a marzo 2025 contava ben 4.504 dipendenti assunti di cui l’82% a tempo parziale, registra al 31 dicembre 2024 un fatturato di 179 milioni di euro.
Gli affari crescono, insomma, ma le note preoccupanti non mancano. A bilancio, infatti, la cooperativa ha aumentato di 800mila euro una quota messa a riserva per far fronte ad alcune contestazioni fiscali da parte della Guardia di Finanza (ancora provvisorie) che si aggiungono ai 500mila euro già accantonati nel 2023.
La vicenda albanese però è particolare rispetto agli altri appalti legati all’immigrazione. Da quando è stato aggiudicato il bando nel maggio 2024, infatti, Medihospes non ha ancora siglato il contratto definitivo con la prefettura di Roma. In Italia il periodo massimo che può passare tra l’aggiudicazione e la firma, normalmente, è di 60 giorni, ma nel caso delle strutture di Shëngjin e Gjadër ne sono passati 478. Il 28 agosto 2025, infatti, la prefettura ha comunicato ad Altreconomia che il contratto non è stato ancora finalizzato. Esiste solo una “consegna anticipata” firmata il giorno prima dell’arrivo della nave Libra in Albania con a bordo i primi migranti.
“Una procedura particolare -sottolinea il professore di Diritto amministrativo dell’Università di Torino Sergio Foà-. La prefettura giustifica la mancata firma del contratto invocando l’interesse pubblico e lascia i rischi di cattiva esecuzione in capo a Medihospes”. Foà sottolinea che questo probabilmente potrebbe essere fatto per cercare di tutelare il ministero dell’Interno da un eventuale “danno da disservizio”, che potrebbe esporre la Pubblica amministrazione a una causa per cattivo utilizzo di denaro pubblico.
Questo aspetto apre a un secondo problema legato al contenuto delle promesse fatte da Medihospes in sede di appalto. In parte perché riguardavano strutture poi rimaste chiuse (oggi come detto è aperta solo una parte di Gjadër) ma anche perché ciò che c’era scritto nell’offerta diventa difficilmente realizzabile. La cooperativa (ne abbiamo scritto qui) si era impegnata a far sì che nelle strutture albanesi i trattenuti avessero accesso a Sky, Prime Video, Netflix e Dazn così come avrebbero potuto assistere ogni sera a proiezioni di film sottotitolati e un cineforum con cadenza bisettimanale per favorire un confronto tra gli ospiti. E tante altre attività di cui però nella realtà, ad oggi, non c’è traccia.
Dall’ottobre 2024 la prefettura di Roma ha comunicato ad Altreconomia di aver svolto una sola visita ispettiva nella struttura il 10 maggio 2025 non rilevando mancanze da parte dell’ente gestore. Il numero di accessi sembrerebbe esiguo rispetto a quanto segnalato dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) che, in un report del luglio 2024 riferito al Cpr di Milano, aveva ritenuto anomalo che in un anno di gestione del servizio la prefettura avesse ritenuto di effettuare “solamente quattro ispezioni sul posto”.
Anche il versante economico è delicato. Nel bilancio 2024 Medihospes sottolinea che l’appalto ha comportato al momento “un grande sforzo organizzativo e una sfida professionale elevata”, auspicando “l’avvio a regime della gestione dei centri di accoglienza e di trattenimento di cui al protocollo Italia-Albania”. Un avvio che per ora non si è ancora concretizzato, comportando, dalle carte a oggi a disposizione, in larga parte costi e non ricavi.
Medihospes ha infatti imputato nel proprio bilancio 2024 circa 1,2 milioni di euro di costi alla “succursale” albanese (“Medihospes Albania Srl”), ricavi zero, a fronte di debiti maturati in totale nei confronti dello stesso veicolo societario domiciliato a Tirana per 563mila, crediti zero. Un importo, quello dei debiti, sovrapponibile a quanto già ricevuto dalla cooperativa sociale da parte della prefettura di Roma a titolo di saldo delle fatture presentate al 31 dicembre dello scorso anno. Mentre l’ente gestore freme, il 7 ottobre di quest’anno trattenute a Gjadër c’erano 17 persone.
Questo progetto investigativo transnazionale, realizzato grazie al sostegno del Journalismfund Europe, si concentra sulla ricerca degli abusi e delle irregolarità causati dalla privatizzazione dei centri di accoglienza e detenzione per migranti in diversi paesi. Il collettivo investigativo olandese Spit e la rivista italiana Altreconomia hanno condotto un’indagine transnazionale sul mercato europeo privatizzato della migrazione in sei paesi: Italia, Albania, Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito e Grecia. Qui trovi tutti gli articoli pubblicati all’interno del progetto.
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