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Ambiente / Attualità

In Umbria i cittadini si mobilitano contro la trasformazione dei cementifici in inceneritori

A Gubbio i gestori di due impianti hanno chiesto alla Regione l’autorizzazione per potere bruciare combustibile solido secondario. Il Coordinamento regionale Rifiuti Zero, insieme a diverse associazioni, ha proposto linee guida opposte, “Verso rifiuti Zero”. Il rischio infatti è che la città diventi “l’inceneritore di rifiuti dell’Umbria”

© Gary Chan - Unsplash

Gubbio non vuole altre emissioni nocive. Divampa in questi giorni in provincia di Perugia il conflitto tra i cittadini e i due cementifici, Colacem e Barbetti, che hanno chiesto alla Regione Umbria l’autorizzazione per potere bruciare combustibile solido secondario (CSS). In pratica un agglomerato di rifiuti, che può includere fino a 53 tipologie di materiali, tra cui plastica, legno, vernici, pneumatici, pellicole fotografiche. La sigla nasce nel 2012 con il Governo Monti, quando il CDR (combustibile da rifiuto) viene ribattezzato appunto CSS, occultando la natura di rifiuto per accentuare quella di risorsa. Un regalo, secondo molti, all’industria del cemento, che riceve addirittura incentivi per utilizzare il CSS al posto dei combustibili tradizionali. Il paradosso è che la combustione nei cementifici, i cui impianti non sono progettati per questo, potrebbe portare rischi ancora maggiori per l’ambiente e per la salute rispetto a un inceneritore costruito ad hoc.

Giovanni Vantaggi, medico per l’ambiente, presidente della sezione provinciale di Perugia di ISDE Italia, è stato medico di base a Gubbio per oltre 30 anni e porta dati stringenti: “Fino al 2002, in un comune di 32.000 abitanti si contavano circa 100 casi all’anno di tumore, negli anni seguenti sono aumentati gradualmente fino a 170 all’anno nel 2015 (fonte RTUP Università di Perugia). E il 2002 è l’anno in cui i cementifici hanno iniziato a bruciare il pet-coke, residuo della lavorazione del petrolio, considerato tossico fino ad allora. Tra i miei pazienti sono aumentati i tumori al polmone al colon, al seno. Ho avuto casi di sarcoma, prima sconosciuti. Il CSS non è meno dannoso per la salute: secondo la varietà di prodotti che lo formano la combustione può comportare l’emissione di micropolveri, diossina, metalli pesanti”. Il problema è che tutto è assolutamente legale, se si rispettano i parametri consentiti. Eppure continua Vantaggi “i limiti di legge sono valori puramente convenzionali. Tra l’altro, per un cementificio che effettua combustione di rifiuti, sono tollerati valori superiori di sostanze nell’aria rispetto a un inceneritore; per le polveri, ad esempio, 30 microgrammi per metro cubo, ossia il triplo. A Gubbio poi sullo stesso territorio insisterebbero due impianti, con effetti cumulativi devastanti”.

In Umbria si brucia già troppo. La Regione, con 174.375 tonnellate nel 2018, si colloca al terzo posto per l’incenerimento di rifiuti speciali non pericolosi (fonte ISPRA- Rapporto Rifiuti Speciali 2020). Secondo i dati del Rapporto Airt 2019, l’Umbria è anche al secondo posto in Italia per tassi di incidenza di tumore (688 casi ogni 100.000 abitanti). Due dati che sarebbe semplicistico correlare, ma su cui è il caso di riflettere.

Contro le richieste dei cementifici è sceso in campo il Coordinamento regionale Umbria Rifiuti Zero, insieme a molte associazioni del territorio. Anche il sindaco Filippo Stirati si oppone con fermezza e il Consiglio comunale ha appena votato a maggioranza (con la sola astensione dei tre consiglieri della Lega) una mozione in cui si dice chiaramente no all’incenerimento del CSS. La decisione spetta però alla Regione (che aveva contemplato nel Piano regionale di gestione dei rifiuti del 2009 il trattamento termico degli stessi). Si dovrà seguire la procedura completa di Autorizzazione integrata ambientale (Aia), accogliendo possibili contestazioni dei cittadini, invece di quella semplificata, richiesta dalle due aziende.

Anna Rita Guarducci è presidente del Coordinamento: “Siamo nati nel 2010 come ‘Cittadini in Rete’ contro la costruzione dell’inceneritore di Perugia. Cerchiamo di informare, facciamo progetti nelle scuole. Tra le ultime iniziative i repair cafe, dove cittadini e tecnici si incontrano per recuperare e riciclare materiale elettronico”. Secondo Guarducci, Gubbio rischia di diventare “l’inceneritore di rifiuti dell’Umbria”. Con altre 20 associazioni e comitati il CRURZ ha presentato alla Regione una proposta di linee guida “Verso rifiuti Zero” per una scadenza importante: il nuovo Piano d’ambito regionale che dovrà essere approvato entro il 2020. Rispetto agli obiettivi europei la Regione, in cui la gestione dei rifiuti è divisa in quattro ambiti territoriali, si colloca bene per l’indice complessivo di riciclaggio (58%), ma è la plastica l’anello debole (solo il 21% riciclata, dati Arpa 2018). “C’è ancora molto da fare. I nostri obiettivi: migliorare la raccolta differenziata domiciliare, ossia il porta a porta, sostenere le filiere che promuovono l’economia circolare, fino ad arrivare a ‘zero fuoco’”.

Ed è una vera mobilitazione che, partendo dal “caso Gubbio” , il CRURZ ha organizzato in questi giorni per sensibilizzare l’opinione pubblica: un ciclo di webinar sull’economia circolare iniziato il 9 luglio con Enzo Favoino (Zero Waste Europe), l’incontro a Gubbio “No CSS” il 10 luglio, la petizione online e il firma-day l’11 luglio in sette città umbre per sostenere la proposta presentata alla Regione. Proprio mentre un caso analogo sta esplodendo in provincia di Livorno, a Stagno, dove si protesta per il progetto di nuova “bioraffineria” di Eni per trattare Plasmix e CSS.

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