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“Ultima neve”, perché lo sci non ha frenato lo spopolamento nell’Appennino centrale

Il documentario di Veronica Macchiavelli dà voce ai comitati e alle associazioni attive nell’area colpita dai terremoti del 2016 e 2017, dove il governo immagina la “ricostruzione” anche degli impianti di risalita, nonostante la riduzione delle precipitazioni. L’obiettivo, a quasi dieci anni dal sisma, è quello di stimolare una riflessione sul futuro di coloro che vivono nell’area del cratere
Nell’Appennino centrale, l’area tra Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo colpita dai devastanti terremoti dell’estate 2016 e dell’inverno del 2017, dove sono ancora oltre diecimila i nuclei familiari che ricorrono all’assistenza abitativa, c’è un enorme problema legato alla spesa pubblica.
È legato all’utilizzo dei fondi del Contratto istituzionale di sviluppo (Cis) aree sisma e del Fondo complementare aree sisma del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per ricostruire o rinnovare gli impianti di risalita al servizio di stazioni sciistiche costruite cinquant’anni fa, in cui ormai nevica davvero poco.
In poco più di mezz’ora, il documentario “Ultima neve” racconta che cosa sta accadendo, dando voce agli attivisti impegnati sui territori, i conflitti ambientali collegati alla scelta di tornare a investire in questo settore, nonostante la neve scarseggi sempre di più (come ricorda Stefano Odoardi, animatore del progetto di Parco culturale e ambientale “Nuova montagna dei Fiori”, nel comprensorio dei Monti Gemelli negli ultimi dieci anni si è potuto sciare complessivamente per un paio di mesi).
La regista Veronica Macchiavelli (che è anche ricercatrice del gruppo Emidio di Treviri e a questo territorio ha dedicato la propria tesi di dottorato, “Commissariare lo sviluppo. Il laboratorio di governance per i territori marginali nel post disastro dell’Appennino centrale”), con Cecilia Fasciani alle riprese e al montaggio e il supporto di Davide Olori per la scelta del soggetto, ha attraversato i Monti Sibillini, l’Appennino reatino e l’area dei Monti Gemelli, al confine tra piceno e teramano, per ricostruire anche la nascita di un turismo legato agli impianti di risalita, con immagini d’epoca che descrivono il momento pionieristico in cui s’era immaginato di costruire ex novo località come Frontignano, “la nostra Innsbruck a due passi da Macerata” come la raccontava negli anni Ottanta il giornalista Maurizio Costanzo.
Tra i tanti problemi introdotti nel documentario, Augusto Ciuffetti, storico dell’economia dell’Università politecnica delle Marche, ricorda che lo sci ha trasformato profondamente il territorio ma non ha rappresentano una forza in grado di rispondere al declino dell’economia tradizionale, quella agro-silvo-pastorale. La popolazione ha preso proprio in quegli anni ad abbandonare la montagna, anche sulla spinta di quel boom edilizio: gli impianti, costruiti quasi ovunque tra gli anni Settanta e Ottanta, hanno portato la realizzazione di interventi immobiliari e tante persone a diventare manovali o imbianchini, per poi scegliere la via dell’emigrazione una volta terminata la fase di infrastrutturazione di aree come Frontignano di Ussita (MC), Sarnano (MC), Terminillo (RI) o San Giacomo (TE).
La produzione del documentario è di All’erta – Osservatorio conflitti ambientali nel cratere e le prime proiezioni si sono svolte il 18 aprile a Rieti, con le attiviste di Balia del Collare impegnate contro il raddoppio della stazione sciistica sul Monte Terminillo, e il 10 maggio ad Ascoli Piceno, con i comitati impegnati per contrastare l’intervento agli impianti dei Monti Gemelli, che ha a disposizione risorse pubbliche per 12 milioni di euro.
L’obiettivo, a quasi dieci anni dal terremoto, è quello di stimolare una riflessione sul futuro di coloro che vivono nell’area del cratere, provando ad accendere una riflessione culturale, anche sul ruolo delle aree protette (Parco nazionale dei Monti Sibillini, Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga), dando voce anche a chi -come la sindaca di Ussita (MC), Silvia Bernardini- ritiene che gli impianti “non hanno violato la montagna”, tanto che dopo la realizzazione degli stessi venne istituito il Parco nazionale.
Il problema, come ricorda Marcello Nardoni, già presidente del Club alpino italiano di Ascoli Piceno, è che “un parco da solo non è sufficiente ad arginare nuovi progetti”, mentre dovremmo interrogarci sulla scelta di alimentare con decine di milioni di euro “un’economia fragile, di strutture che ad oggi resterebbero inutilizzate per buona parte del tempo”, come sottolinea Marco Ciarulli, presidente di Legambiente Marche.
Il problema è che “la neve è stata messa al centro di tutto”, anche forzando l’iter amministrativo, come nel caso di Bolognola (MC), dove si è cercato di far passare un impianto realizzato ex novo, la seggiovia quadriposto “Castelmanardo Express”, come semplice sostituzione di uno esistente: il progetto è stato bocciato, grazie alla mobilitazione civica e anche al parere negativo del Parco nazionale.
“Ultima neve” ha senz’altro la capacità di suscitare domande, di interrogare chi il territorio lo abita. Comunità, come ricorda Chiara Caporicci, presidente dell’associazione Cosa Accade Se Abitiamo di Ussita (MC), che vivono “un conflitto interno, come è emerso nella riflessione sulla costruzione di Frontignano durante la scrittura collettiva della nostra guida ‘Ussita. Deviazioni inedite raccontate dagli abitanti’, quando alcuni hanno indicato in quel periodo ‘gli anni d’oro’ del territorio. Emerge, in molti, la percezione degli impianti come bene collettivo, perché portano lavoro”.
È una contraddizione -spiega Caporicci- perché sono privati, anche quando sono stati costruiti sopra i pascoli gestiti dalle comunanze agrarie, tema che Emidio Di Treviri ha esplorato e approfondito anche ripubblicando il libro “Le comunanze picene. Proprietà collettive tra passato e futuro”, di Joyce Lussu. Un testo che, insieme al documentario, invita a immaginare quale modello economico proporre nel cratere, nel 2025, “se uno estrattivo ad uso e consumo di realtà esterne o -sostiene Ciuffetti- capace di leggere il territorio e riprodurre le risorse naturali, nell’interesse collettivo che storicamente ha prevalso”.
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