Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente

Ue, il mercato delle emissioni di carbonio è pronto per la pensione

Per l’Unione europea la lotta ai cambiamenti climatici passava per la creazione di un mercato dei crediti di carbonio. Dopo sette anni, però, i tentativi di recuperare dal collasso l’Emission Trading Scheme (ETS) non sono più credibili. Alcune realtà della società civile hanno così promosso un appello, che incolliamo sotto
 

L’Emission Trading Scheme (ETS) non ha ridotto le emissioni di gas a effetto serra, ma ha funzionato come un sistema di sussidi per i settori inquinanti dell’industria. Tuttavia, i prezzi del carbonio -volatili e sempre più bassi- sono una caratteristica dell’ETS, e come se non bastasse i mercati di carbonio sono particolarmente suscettibili alle truffe.
Varie associazioni e gruppi europei, tra cui l’italiana
Re:Common, pensano così che sia giunto il momento di cestinare il mercato dei crediti di carbonio. Questo l’obiettivo dell’appello, che tutte le realtà della società civile italiana possono sottoscrivere a questo link

***

Dopo sette anni di fallimenti, i tentativi dell’Unione europea di recuperare dal collasso lo schema ETS (Emission Trading Scheme) non sono più credibili. Crediamo che lo schema ETS debba essere abolito entro il 2020, per lasciare spazio a misure efficaci in materia climatica.
Lo schema EU ETS, il principale strumento della politica europea per affrontare i cambiamenti climatici, è stato introdotto nel 2005 e ha costituito la base del più grande mercato di crediti di carbonio al mondo.[i] L’ETS include i sistemi di ‘cap and trade’ e di ‘offsetting’ che permettono ai partecipanti di comprare e vendere permessi di emissione e crediti di riduzione del carbonio (offsets) per raggiungere gli obiettivi di riduzione fissati o semplicemente per fare profitto sul mercato. L’idea è di ridurre le emissioni derivate da gas a effetto serra abbattendo i costi collegati all’azione grazie a un sistema di incentivi per innovazioni tecnologiche favorevoli al clima e quindi muovere l’industria in una direzione che consenta la riduzione delle emissioni.
Ma lo schema si è rivelato fallimentare. Il chiodo fisso dell’Europa sul ‘prezzo’ come spinta al cambiamento ha vincolato il sistema economico alla dipendenza da un’industria inquinante come quella estrattiva – con le emissioni derivate da combustibili fossili in evidente aumento tra il 2010 e il 2011.[ii] E il fallimento sarà più ampio visto che l’ETS viene utilizzato come modello per altri mercati di carbonio proposti per Paesi come il Brasile e l’Australia e per la definizione di altri mercati di “servizi degli ecosistemi” su biodiversità, acqua e terra.
I governi dell’Unione europea e la Commissione europea sono determinati a mantenere l’ETS come pilastro centrale delle politiche europee sul clima, avviando la sua terza fase nel 2013. Questo nonostante siano evidenti dei fallimenti strutturali che non possono essere aggiustati:
 
    •    L’ETS non ha ridotto le emissioni di gas a effetto serra. L’eccesso di permessi di emissione distribuiti a titolo gratuito, e il prezzo molto basso dei titoli di riduzione delle emissioni (offsetts) derivati da progetti realizzati nel Sud del mondo, hanno creato una situazione in cui non c’è alcun obbligo per le aziende più inquinanti a ridurre le proprie emissioni. Il sistema di offsetting – e della logica della compensazione – ha portato a un aumento delle emissioni a livello globale: le fonti più conservatrici stimano che tra un terzo e due terzi dei crediti di carbonio acquistati nello schema ETS “non rappresentino reali riduzioni di emissioni di carbonio”.[iii] Le riduzioni di emissioni registrate in UE dopo il 2008 sono attribuibili alla crisi economica – e la maggior parte degli studi concorda nel riconoscere scarsa evidenza di un collegamento causale tra queste riduzioni e lo schema ETS.[iv] Il trasferimento di impianti industriali nei Paesi del Sud del mondo avrebbe anche contribuito a ridurre le emissioni interne all’UE. Uno studio pubblicato dall’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti d’America stima che le “emissioni importate” – collegate a impianti industriali europei all’estero ma non contate come emissioni europee – in alcuni Paesi europei aumenterebbero le emissioni complessive anche del 30%.[v]
 
    •    L’ETS ha funzionato come un sistema di sussidi per i settori inquinanti dell’industria. Le prime due fasi dell’ETS (2005-2007, 2008-2012) hanno distribuito permessi di inquinare a titolo gratuito sulla base delle emissioni storiche, agendo di fatto come un sussidio per l’industria più inquinante. La distribuzione di un numero di permessi troppo elevato ha favorito il continuo utilizzo delle stesse tecnologie eliminando qualsiasi incentivo a una transizione verso sistemi di produzione a basse emissioni. Uno studio di CE Delft stima che i costi collegati al raggiungimento degli obiettivi di riduzione definiti dal ‘tetto’ fissato dall’ETS siano stati trasferiti interamente ai consumatori, garantendo un extra profitto alle aziende che ha raggiunto i 14 miliardi di euro tra il 2005 e il 2008.[vi] I grandi produttori di energia elettrica sono tra quelli che hanno potuto usufruire in pieno della possibilità di trasferire i costi ai consumatori aumentando i prezzi in bolletta, con extra profitti tra 23 e 71 miliardi nella seconda fase di implementazione dell’ETS.[vii] La lobby della grande industria ha garantito a oltre il 75% del comparto manifatturiero di continuare a ricevere permessi di emissione a titolo gratuito almeno fino al 2020 (generando extra profitti per le aziende e non per le casse dei governi di circa 7 miliardi di euro l’anno). Ogni tentativo di mettere fine a questo sistema è stato bloccato dalla lobby dei settori industriali che ne beneficiano. Nella fase III, solo il settore energetico dovrà iniziare a comperare i permessi di emissione, e già sono previste delle eccezioni per aziende nei Paesi di nuova annessione (Europa Centrale e dell’Est) inclusi Stati fortemente dipendenti dal carbone per la produzione di energia. Niente di cui stupirsi, in quanto lo schema ETS è stato disegnato per favorire l’industria. British Petroleum (BP), con il sostegno del governo inglese, è tra le aziende che hanno esercitato la lobby più forte a favore dello schema ETS.[viii]
 
    •    Prezzi del carbonio volatili e sempre più bassi sono una caratteristica dell’ETS. I prezzi del carbonio sono da sempre instabili, e in caduta dal 2008. Il minimo storico si è raggiunto nel dicembre 2012, con il prezzo dei permessi di emissione a 5,89 euro e quello dei crediti di riduzione del carbonio (offsets) a 0,31 euro.[ix] Secondo gli analisti, non ci sarebbe prospettiva di aumento dei prezzi a un livello che possa incentivare qualsiasi cambiamento nella produzione di energia. Anche nel caso in cui si riuscisse a  generare un aumento prevedibile dei prezzi – esattamente l’opposto di ciò che l’ETS dovrebbe generare – non basterebbe a incentivare i cambiamenti strutturali necessari ad affrontare i cambiamenti climatici in assenza di altre misure.
 
    •    L’ETS aumenta i conflitti ambientali e sociali nei Paesi del Sud del mondo. Lo schema ETS permette alle aziende di utilizzare crediti di riduzione delle emissioni (offsets) generati da progetti ‘di riduzione’ realizzati nei Paesi del Sud del mondo. Ogni tonnellata di carbonio addizionale ‘salvata’ genera un credito che permette che un’altra tonnellata di carbonio sia emessa in atmosfera in un altro luogo del pianeta. Il Meccanismo di sviluppo pulito delle Nazioni Unite (CDM) è il più grande schema di offsetting esistente e ha causato conseguenze ambientali e sociali molto gravi alle comunità che vivono sui territori dove vengono realizzati i progetti, incluse violazioni dei diritti umani, sfollamento, conflitti e distruzione ambientale.[x] Nonostante l’evidenza degli effetti negativi, l’utilizzo degli offsets nell’ETS è aumentato dell’85% nel 2011.[xi] Numerose aziende che hanno utilizzato gli offsets hanno inoltre venduto  i permessi di emissione (ottenuti a titolo gratuito) acquistando crediti di carbonio attraverso il meccanismo CDM a un prezzo molto più basso e incassando la differenza.
 
    •    I mercati di carbonio sono particolarmente suscettibili alle truffe. Per creare dei certificati di carbonio commerciabili, sono necessarie approssimazioni e procedure di calcolo poco affidabili e spesso non verificabili – e quindi truccabili – per misurare le emissioni avvenute o non avvenute. Nel 2010 è stata svelata una truffa nello schema ETS che andava avanti da tempo e che è costata ai governi più di 5 miliardi di euro in IVA non pagata.[xii] Un tribunale tedesco ha decretato l’arresto di sei persone responsabili di una truffa di 300 milioni di euro per una vendita di crediti di carbonio avvenuta attraverso Deutsche Bank, mentre altri tribunali a Londra hanno decretato l’arresto di altre undici persone coinvolte.[xiii]Grandi aziende produttrici di acciaio come ThyssenKrupp e Salzgitter sono segnalate tra quelle che hanno più approfittato di crediti di carbonio fasulli quando nel 2010 il WWF – tra le organizzazioni favorevoli al mercato del carbonio – ha chiesto senza successo che ‘l’Unione europea smetta di utilizzare crediti di carbonio fasulli’.[xiv] Poche settimane dopo, crediti di carbonio del governo austriaco e ceco sono stati rubati, spingendo le autorità a sospendere le compravendite sul mercato ETS.[xv] Nel 2009, le Nazioni Unite sono state costrette a squalificare la principale agenzia di verifica dei progetti CDM,  mentre nel 2011 è stata sospesa l’Ucraina accusata di avere truccato al ribasso la propria dichiarazione delle emissioni di gas a effetto serra.[xvi]
 
    •    Risorse pubbliche dissipate dalla creazione di mercati che non sono in grado di raggiungere obiettivi di interesse pubblico. I contribuenti europei sono costretti a coprire i costi collegati alla definizione dell’impianto legislativo, dei regolamenti  e dei calcoli quantitativi richiesti dai mercati di crediti di carbonio, come anche i costi di implementazione delle misure anti-truffa, contro i furti, gli scandali di corruzione e l’evasione fiscale. Le industrie coperte dallo schema ETS guadagnano per continuare a inquinare, mentre gli esecutivi destinano le entrate pubbliche a compensare l’eccesso di emissioni o la generosa distribuzione di permessi di emissione gratuiti alle aziende europee. Il governo spagnolo dovrà acquistare più di 159 milioni di crediti di carbonio  per raggiungere i propri obiettivi fissati nel Protocollo di Kyoto.[xvii] In un momento in cui i cittadini si stanno facendo carico delle conseguenze della crisi economica e delle misure di austerità, le scarse risorse pubbliche vengono spese in maniera frivola a favore di grandi aziende e del settore finanziario che sono all’origine di molti dei problemi che hanno portato alla crisi.
 
    •    Il sistema ETS ci vincola a un sistema economico incentrato sull’utilizzo dei combustibili fossili. Lo schema ETS rinforza la logica della sovra-produzione e del consumo basati sull’utilizzo di combustibili fossili. Permette un incremento dell’inquinamento promuovendo progetti di ‘sviluppo pulito’ che nella pratica danneggiano le comunità locali e l’ambiente. Centrali a carbone, gas di scisto, tecniche di frattura idraulica (fracking) e la costruzione di grandi infrastrutture distruttive sono in aumento in Europa.[xviii] L’ETS non solo accresce il debito ambientale e climatico che il Nord industrializzato deve al Sud del mondo, ma contribuisce ad aggravare la crisi climatica globale a svantaggio dei gruppi più vulnerabili. Persino l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) ha ammesso che almeno due terzi delle riserve globali conosciute di petrolio dovrebbero essere mantenute nel sottosuolo se la comunità internazionale vuole darsi la possibilità di raggiungere l’obiettivo di fermare il surriscaldamento del pianeta a 2°C[xix] (un obiettivo in ogni caso insufficiente). Lo schema ETS, se continuasse ad operare, renderebbe questo proposito irrealizzabile.
 
    •    Lo schema ETS impedisce che altre misure efficaci contro i cambiamenti climatici vengano messe in pratica mentre allo stesso tempo rafforza false soluzioni  come nucleare, grandi dighe, agro-combustibili, piantagioni industriali. Ad esempio, scoraggia una regolamentazione che in qualche modo potrebbe interferire con il prezzo del carbonio. Invece di promuovere una filosofia di “rifiuti zero”, incoraggia schemi di cattura del metano automatizzati che richiedono un aumento dei rifiuti organici e lasciano senza lavoro i milioni di persone che vivono della raccolta e separazione dei rifiuti e del loro riutilizzo. Inoltre la logica della compravendita di certificati di emissioni e quindi inquinamento si sta estendendo ad altri ambiti, come quello della biodiversità e della gestione dell’acqua[xx], favorendo la mercificazione e finanziarizzazione delle capacità, funzioni e dei cicli della natura. I rischi sono alti e non vanno sottovalutati. Evitarli significa riconoscere che l’ETS è il disastroso precedente che realmente è. Non riuscire a fermare l’ETS significherebbe permettere un aumento dei profitti delle aziende a svantaggio delle popolazioni locali, inclusi i popoli indigeni e le comunità che dipendono dalle foreste, dei piccoli produttori agricoli e  delle donne residenti nei luoghi dove verrebbero realizzati i progetti di offsetting, oltre che delle comunità che vivono vicino alle fabbriche e agli impianti che comprano i crediti di carbonio.
 
Insistere nel cercare di aggiustare un sistema che non funziona dal principio distoglie l’attenzione e le risorse dalla definizione di politiche giuste ed efficaci. Esportare i fallimenti dell’ETS in altri Stati nel nome della ‘leadership’ europea porterebbe a un’ulteriore ondata di interventi nei Paesi del Sud del mondo, aumentando il debito sociale e ambientale del Nord verso di loro. Nonostante i politici europei che si apprestano a rivedere lo schema ETS sembrino intenzionati ad aggiustarlo entro la fase successiva al 2020, le organizzazioni firmatarie di questa dichiarazione affermano che c’è un’unica opzione possibile che possa portare a un beneficio per il clima: abolire lo schema ETS una volta per tutte.
 
La lotta contro l’ETS è la lotta per la giustizia sociale, ambientale e climatica. E’ una lotta che vuole trasformare il nostro sistema energetico, finanziario, dei trasporti, agricolo, produttivo, della distribuzione, della gestione dei rifiuti. Chiediamo alle organizzazioni della società civile e ai movimenti di sottoscrivere questa dichiarazione e di unirsi alla lotta per abolire l’ETS.
 

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.