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Ambiente

Trivelle, la genesi dell’emendamento che ha allungato la vita ai giacimenti

A metà dicembre 2015 il Governo presenta una modifica alla legge di Stabilità messa a punto dal dicastero dello Sviluppo economico guidato allora da Federica Guidi. Si tratta della "clausola di salvaguardia" per i titoli già "rilasciati" che sposta alla "durata di vita utile" il termine delle concessioni e sulla quale voteranno gli italiani. La proposta dell’esecutivo, però, era accompagnata da una relazione tecnica che negava "effetti finanziari"

Un punto chiave del dibattito pubblico sul referendum del 17 aprile in merito alla durata delle trivellazioni in mare entro le 12 miglia dalla costa è rimasto ancora senza risposta. Si tratta cioè della “genesi” di quella “clausola di salvaguardia” ai “titoli abilitativi già rilasciati” -tradotto, alle piattaforme già in funzione- per tutta la “durata di vita utile del giacimento”, dovuta a una modifica della legge di Stabilità 2016 messa a punto dal Governo e proposta durante una lunga domenica di dicembre all’attenzione della commissione Bilancio della Camera dei deputati. Il concetto di “vita utile” venne bollato come un “autentico inganno” dal comitato No Triv, un falso accoglimento dello spirito referendario, tanto che sia la Cassazione sia la Corte Costituzionale confermarono la chiamata alle urne. 
 
Tutto il resto è noto, eccetto il percorso di quell’emendamento al testo della Stabilità -che era già stato approvato dal Senato- che viene illustrato ai commissari nella seduta fiume (terminerà alle 23.25) di domenica 13 dicembre 2015 dal viceministro dell’Economia Enrico Morando (il numero era 16.293, che aggiungeva il comma 129-bis). L’esecutivo ci tiene particolarmente, tanto che, il giorno seguente, è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianclaudio Bressa a “raccomandarne” l’approvazione (così riportano i resoconti sommari), ottenendo il via libera dalla commissione.
 
Se Morando lo presenta e Bressa ne caldeggia l’approvazione, nessuno dei due ne è l’autore. Il primo, interpellato da Ae, si limita a sintetizzare la prassi: “Le proposte di partenza provengono volta per volta dai ministeri competenti e dagli organi di coordinamento quali ad esempio la presidenza del Consiglio. In questo caso -ha affermato il viceministro all’Economia- immagino si trattasse del ministero dello Sviluppo economico (Mise, ndr), anche se non è detto che sia così nel caso specifico, diciamo che è vero in generale”.
 
L’emendamento destinato a diventare il cuore del quesito del 17 aprile, dunque, proveniva dal Mise all’epoca guidato da Federica Guidi. Non solo. La procedura prevede infatti che ai commissari chiamati ad approvare o meno le proposte emendative venga sottoposta una relazione “illustrativa” e una “tecnica” in grado di tradurre il linguaggio normativo o ragionieristico in modo comprensibile. L’illustrativa sintetizza il contenuto, la tecnica dà conto di eventuali “effetti finanziari”. Sono documenti fondamentali, una sorta di carta di identità di un emendamento apparentemente tecnico. Sul punto Morando aggiunge un dettaglio importante: “Solitamente la relazione tecnica viene predisposta ed elaborata dal ministero competente (quindi dal Mise, ndr) e poi inviata alla Ragioneria generale dello Stato la quale poi può decidere, se quella relazione è convincente, di apporre il proprio bollino, o al contrario, se è negativa, di ordinare il reperimento di una copertura diversa”.
 
Eppure, nonostante sia più volte citata negli allegati alla Stabilità, la “relazione tecnica” dell’emendamento che ha introdotto il concetto di “vita utile del giacimento” non è mai stata pubblicata (“È la prassi”, hanno spiegato dalla segreteria della commissione Bilancio della Camera). I presentatori, cioè il Mise, spendono 21 parole: “Le disposizioni di cui ai commi 129 bis e 129 ter disponendo modifiche prevalentemente di carattere procedurale non determinano effetti finanziari”. Il Ragioniere generale, Daniele Franco, approva ed esprime parere favorevole.

 
C’è un però, al di là dell’uso disinvolto degli avverbi –“‘Prevalentemente’ che cosa significa? Ha effetti o non ha effetti”, ragiona a voce alta un ragioniere di un ente locale cui abbiamo sottoposto il documento-. E il “però” guarda a quanto gas e petrolio decideranno di estrarre le compagnie in campo d’ora in avanti, dopo la garanzia di quella “clausola di salvaguardia” resa ormai orfana di una data certa di scadenza.
 
Come ha già spiegato Greenpeace, infatti, delle 88 piattaforme operanti in Italia entro le 12 miglia dalla costa, ben “26 […] da anni ‘erogano’ così poco da rimanere costantemente sotto la franchigia; ovvero, sotto la soglia di produzione (50mila tonnellate per quanto riguarda il petrolio, 80 milioni di standard metri cubi per il gas) che esenta i petrolieri dal pagamento delle royalties”. 
 
Il combinato disposto del crollo prezzo del petrolio -coerentemente a quello del gas- e della cancellazione di una fine certa della concessione, potrebbe eventualmente spingere una compagnia a “diluire” l’estrazione nel tempo, restando sempre al di sotto della soglia che fa scattare il pagamento delle royalties
Per non parlare del rinvio a data da definirsi dello smantellamento e del ripristino ambientale dei siti produttivi.
 
Lo scenario di un’estrazione volutamente “sotto soglia” e del rinvio del ripristino ambientale è stato sottoposto al ministero dello Sviluppo economico, lo stesso che a dicembre 2015 aveva invece negato ogni effetto finanziario dell’emendamento alla Stabilità nell’apposita relazione tecnica. 
 
Il nuovo regime di concessione sarà comunque vincolato da termini e controlli, in particolare in relazione al buon governo del giacimento -ha risposto il Mise ad Altreconomia-. Le norme vigenti impegnano il concessionario a presentare all’autorità di vigilanza (l’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse presso la Direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche) ogni anno il piano di produzione che viene valutato anche sotto l’aspetto dei corretti livelli produttivi, che devono essere tali da consentire il recupero di tutte le riserve nei tempi previsti, senza accelerazioni suscettibili di produrre danno irreversibili al giacimento per accelerare il profitto, senza rallentamenti per godere surrettiziamente di regimi di esenzione.
Lo smantellamento e ripristino dei siti interessati dalle attività produttive rimane fissato alla fine della vita utile del giacimento”.
 
Il Mise assicura vigilanza (il decreto direttoriale di riferimento è del 15 luglio 2015), ma ogni verifica è di fatto collegata a doppio filo al concetto di “durata di vita utile del giacimento”. Chi lo stabilirà? Chi cioè disegnerà i confini del “buon governo del giacimento”, come l’ha definito il ministero?
 
“Sarà il concedente (lo Stato, ndr) a stabilire quali sono i tempi di vita utile del giacimento sulla base dell’indicazione del concessionario (le aziende, ndr) -ha spiegato ad Ae una fonte del ministero-. Questo regime normativo è abbastanza nuovo ma è evidente che il gestore dell’impianto deve fare l’analisi della vita residua del giacimento in base alle condizioni tecniche ed economiche di oggi. Oggi può dire che alle condizioni attuali quel giacimento durerà fino al 2040. Fra tre anni potrà dire che dura fino al 2030 o al 2050, perché nel frattempo alcuni livelli produttivi si sono rilevati migliori e si possono mettere in produzione oppure il prezzo dell’olio è calato del 30%. Tutti questi fattori consentono di dire che la vita utile del giacimento è un elemento variabile nel tempo. L’amministrazione pubblica fotografa l’ipotesi di vita utile e poi ne fa monitoraggio nel corso del tempo”.
 
Dal giorno dopo il referendum è successo qualcosa? “Premesso che si sta ancora approfondendo la ‘nuova’ normativa, posso dire che sì, in parte qualcosa è avvenuto -prosegue il dirigente del ministero-: abbiamo cioè ricevuto degli studi tecnici ed economici che hanno permesso ad alcuni concessionari di formulare una certa ipotesi di vita utile. I nostri uffici tecnici sul territorio, in contraddittorio con le aziende, forniranno una loro valutazione sulla vita utile al centro, al ministero, e, con l’ausilio della Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie, valuteranno le considerazioni e stimeranno la vita utile. Quella del concessionario, quindi, sarà solo una proposta”.
 
Dunque gli “effetti finanziari” potrebbero esserci -seppure il funzionario del ministero definisca “più che altro teorica” l’ipotesi di future estrazioni sotto soglia-, contrariamente a quanto scritto con 21 parole in quella “relazione tecnica” già dimenticata.
 
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