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Interni / Reportage

Terremoto, un anno senza lo Stato. La risposta dell’auto-organizzazione solidale

Il 24 agosto 2016 un terremoto ha devastato l’area lungo la Valle del Tronto, tra i comuni di Accumoli, Arquata del Tronto, Amatrice e le sue sessantanove frazioni. Da allora quasi nulla è cambiato. Tra chi resiste, anche le Brigate di Solidarietà Attiva e i comitati di cittadinanza locali

© Arianna Pagani

Nella frazione di Fornara, a pochi chilometri dal comune di Acquasanta Terme, in provincia di Ascoli Piceno, enormi cavi d’acciaio e supporti metallici abbracciano, da quasi un anno, un’antica fortezza dell’undicesimo secolo. Castel di Luco è immerso nell’alta valle del fiume Tronto, tra due aree naturali, il Parco Nazionale dei Monti Sibillini e i Monti della Laga ed è l’unico castello in travertino su base circolare di tutta Europa. “La notte del 24 agosto è stata tragica -afferma Francesco Amici, abitante di Acquasanta e proprietario del piccolo castello- ma la cosa ancora più tragica è che da quel giorno non è successo niente”.

Lo scorso 24 agosto, un terremoto della scala 6.0 ha devastato l’area lungo la Valle del Tronto, tra i comuni di Accumoli, Arquata del Tronto, Amatrice e le sue sessantanove frazioni. Le vittime sono state 298 e gli sfollati 6.000. Dopo le successive scosse del 26, 30 ottobre e 18 gennaio il numero degli sfollati è salito a 40mila. A un anno dal terremoto quasi nulla è cambiato. Le macerie e i detriti ancora non sono state rimossi. La maggior parte degli abitanti dei comuni tra l’Amatriciano e il Piceno vive ancora negli alberghi lungo la costa. L’assegnazione dei SAE, i moduli abitativi d’emergenza, è appena iniziata. Nella zona di Amatrice e delle sue sessantanove frazioni ne sono stati consegnati solo ottanta su quattrocento richieste.

“Nessuno ci ha chiesto cosa vogliamo. Questo terremoto poteva essere un’occasione per l’Italia per sperimentare una nuova economia e nuovi stili di vita basati sulla sostenibilità e la tutela del territorio”, ripete Francesco, quasi rassegnato. Con una mano indica le zone di acqua sulfurea, dove, racconta “gli eserciti si fermavano per curarsi con queste sorgenti naturali e i templari avevano innalzato degli altari”. Quest’omone, con gli occhi azzurri e le spalle robuste, conosce e ama profondamente il suo territorio. “Qui, abbiamo risorse naturali e storiche che potrebbero far vivere tutti”. Si riferisce all’oro bianco, il travertino, un tempo scolpito e inciso dagli artigiani locali, oggi venduto in blocchi in Cina, per essere poi importato in Italia già trasformato. “Negli anni ottanta abbiamo sacrificato questi saperi e perso un popolo di scultori per fare, a valle, delle orrende fabbriche con la Cassa del mezzogiorno che oggi sono chiuse e abbandonate”. Francesco ha scelto di restare su queste terre e di lottare accanto alle Brigate di Solidarietà Attiva (BSA), cercando di coinvolgere e attivare la popolazione locale.

Le Brigate di Solidarietà sono un gruppo di volontari proveniente da tutta Italia, che sostengono le fasce più deboli tra i cittadini terremotati. Nate nel 2009 dopo il sisma dell’Aquila, le BSA, grazie a donazioni di associazioni, centri sociali e privati, raccolgono beni di prima necessità, distribuiti gratuitamente alle vittime del terremoto, attraverso staffette alimentari casa per casa e allo spaccio popolare, aperto quasi tutti i giorni. Dopo i terremoti del 24 agosto, 26 e 30 ottobre e 18 gennaio, sono presenti in tutto il cratere, con due “campi base” ad Amatrice e Norcia e altri due poli logistici a Colli del Tronto e Fermo.

L’obiettivo delle Brigate di Solidarietà Attiva, tuttavia, non è solo quello di assistere la popolazione ma di informarla, aiutandola a coordinarsi in comitati di cittadinanza locali per trovare soluzioni che rispondano alle reali esigenze del territorio e che vadano oltre l’emergenza, attraverso il mutualismo. Lo sportello legale gratuito ne è un esempio. Grazie alla collaborazione con gli avvocati dell’associazione Alterego-Fabbrica dei diritti di Roma, è stato realizzato un vademecum legale, con il nome originale “OISSA”, distribuito gratuitamente ai terremotati, per spiegare i cavilli burocratici della ricostruzione e rendere comprensibile a tutti quali sono i propri diritti. Nei magazzini di questa rete di volontari non ci sono solo prodotti alimentari, ma anche lavatrici, ferri da stiro, fieno e mangimi per gli animali. “Abbiamo cercato di coprire tutto il territorio, anche i paesini più remoti di montagna, difficilmente raggiungibili”, chiarisce Verouska, coordinatrice delle attività delle BSA nella zona dei comuni del cratere colpiti dai sismi.

© Arianna Pagani
© Arianna Pagani

Sulla strada che collega la frazione di San Cipriano al centro di Amatrice, una freccia indica l’ingresso per lo spaccio popolare. All’interno di due container in lamiera, Agnese, venticinque anni e una laurea in architettura, mette in ordine gli scaffali delle dispense alimentari. Accanto a lei c’è Daniele, disoccupato e originario di Livorno. Entrambi hanno scelto di dedicare il loro tempo e le loro vacanze alle Brigate di Solidarietà Attiva.

“Noi non possiamo pensare di ricostruire come abbiamo fatto negli ultimi cinquant’anni”, spiega Daniele. “Se si continua ad accettare quello che si impone dall’alto, continueremo a morire sotto le macerie”. Dall’ingresso del container, si affaccia un’anziana signora. Si chiama Clara e ha perso la sua casa con la seconda scossa di terremoto del 26 ottobre scorso. Oggi vive in una casetta donata da un’associazione nella frazione di Ferrazza, a circa quattro chilometri da Amatrice, insieme al marito novantenne. “Sono fortunata perché non sono stata costretta ad andare nell’hotel -dice la donna- ma tutti gli altri anziani quali soluzioni avevano?”. E aggiunge, con le lacrime agli occhi: “dobbiamo rassegnarci, io la mia casa non la rivedrò mai più”.

Secondo la ricerca collettiva “Emidio di Treviri”, sul post-sisma del Centro Italia, realizzata da un gruppo di scienziati sociali, antropologi, architetti, psicologi e urbanisti, diverse persone sono morte dopo il terremoto a causa di infarti e di suicidi e anche il numero di persone che prendono psicofarmaci è aumentato notevolmente per il trauma e lo sradicamento dai territori. È la prima volta che più di cento dottorandi, ricercatori e professori universitari si sono impegnati a coordinarsi in maniera orizzontale per costruire un’inchiesta sociale critica sul post-sisma e sulla gestione del governo e della protezione civile.

Come spiega Francesco Pastorella, coordinatore dei comitati cittadini dell’area del cratere: “C’è un disegno politico di desertificazione perché conviene di più fare quattro palazzi che ricostruire i paesi sperduti che però costituiscono la nostra storia. Non possiamo far morire i borghi più belli d’Italia e permettere alla burocrazia di allontanare la popolazione dai propri territori”.

Oltre all’auto organizzazione e alla solidarietà c’è, però, l’aspetto economico. In giro per frazioni e borghi, le Brigate di Solidarietà Attiva hanno incontrato numerosi contadini e allevatori inginocchiati dal terremoto e dalla burocrazia post sisma. Per far ripartire in tempi brevi queste aziende agricole, le BSA hanno ideato la filiera antisismica: un progetto che mette in contatto i piccoli produttori con i vari clienti, distribuendo i loro prodotti artigianali in tutta Italia. Grazie alla filiera corta, il tenace caseificio Nibbi è riuscito a vendere pasta, vino, patate e yogurt, mentre ricostruivano una parte dell’impianto caseario distrutto dal terremoto. Amelia, giovane trentenne che gestisce l’azienda agricola biologica, ha scelto di restare ma di rinunciare ai contributi dello Stato, perché “la burocrazia uccide i piccoli imprenditori e se avessi preso i soldi non sarei mai ripartita dopo un anno” e a settembre ricomincerà a pieno ritmo la produzione. “Dobbiamo unirci, perché uniti siamo più forti”, conclude la donna.

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