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Ambiente

Tenersi stretto l’acquedotto

In Val d’Illasi (Vr) gli enti locali consorziati gestiscono, con successo, sorgenti e serbatoi. Ritenuti ribelli, è stato intimato loro di riconsegnarli —

Tratto da Altreconomia 148 — Aprile 2013

La cornice alla parete protegge un foglio ingiallito: è lì da ottant’anni, da quando -nel 1933- i Comuni consorziati di Selva di Progno, Badia Calavena, Tregnago, Illasi e Colognola ai Colli terminarono la costruzione di 67 chilometri d’acquedotto. Che porta in Val d’Illasi, a Est di Verona, l’acqua delle montagne della Lessinia, che la incorniciano a Nord. Quella del Consorzio, però, non è una “storia gloriosa”. È anche il presente: la cornice è appesa negli uffici del Co.vi.se. (Consorzio Val d’Illasi servizi, www.covise.it), che occupano tre stanze al piano terra dal Comune di Illasi. Tre impiegati gestiscono una rete di adduzione di 80 chilometri, tengono sotto (tele)controllo sorgenti e serbatoi, e portano acqua potabile nella rete degli enti consorziati. Nel 2012, il Consorzio ha distribuito 2,82 milioni di metri cubi d’acqua, con una dispersione del 3%, che è stata fatturata ai sei Comuni consorziati a un prezzo che varia dai 32 ai 58 centesimi di euro al metro cubo: “La tariffa tiene conto degli ammortamenti degli investimenti, quindi quella applicata ad ogni singolo ente dipende dall’incidenza delle spese in conto capitale, oltre che dal costo dell’energia elettrica, che può arrivare anche a 350mila euro all’anno su un fatturato di un milione circa” spiega l’ingegner Arrigo Tagliaro,  direttore del Consorzio. Il costo dell’energia e il tempo “atmosferico” sono le variabili che incidono sul fronte delle spese: negli anni di siccità, il Co.vi.se. è costretto a pompare acqua da pozzi di pianura, spingendola verso l’alto (nel 2012, circa il 25% di quella distribuita). Per statuto, gli utili devono essere re-investiti nella rete: “Nel 2012 abbiamo ammodernato 2,5 chilometri di rete” racconta Tagliaro.
Potrebbero essere gli ultimi: a gennaio 2013, infatti, l’Autorità di Ambito territoriale ottimale ha intimato ai Comuni “ribelli” di consegnare le reti al gestore d’ambito, Acque veronesi (www.acqueveronesi.it), una società consortile per azioni a totale controllo pubblico, il cui primo azionista è -con il 46,95%- Agsm, la municipalizzata del Comune di Verona. “La situazione attuale sfugge alla regolazione -spiega ad Ae Mauro Martelli, commissario straordinario dell’Autorità d’ambito-: nostro compito è tutelare l’ente, ed abbiamo ricevuto mandato dall’assemblea dei sindaci di agire in tutte le sedi. Non è, però, una volontà vessatoria”. Nel suo discorso, Martelli fa riferimento ai concetti di territorialità e cessione di sovranità, e spiega che tutti i Comuni della Provincia hanno dovuto fare o stesso. Tranne in Val d’Illasi: “Già nel 2006 presentammo un ricorso al Tribunale amministrativo regionale contro l’affidamento del servizio, perché Acque veronesi, a nostro avviso, non poteva ottenerlo senza gara, cioè in house: Agsm, per quanto società a totale controllo pubblico, non è un ente locale” racconta Paolo Tertulli, sindaco di Illasi, uno dei quattro Comuni che gestisce ancora il servizio in economia. Tertulli contesta una gestione “pubblica ma lontana dalla comunità, il cui management è troppo influenzato dalle correnti leghiste, i giorgettiani e i tosiani”.
“So benissimo che per un piccolo Comune è difficile, complice anche il Patto di stabilità (vedi Ae 146) gestire i servizi in economia -spiega Tertulli-, ma credo sia importante valutare l’ipotesi di continuare a gestire il servizio idrico integrato in forma consortile e associata”. Ha dalla sua il comitato Acqua bene comune Verona (acquabenecomuneverona.org) e il Gruppo consumo critico della Val d’Illasi, che dopo aver raccolto le firme per la legge d’iniziativa popolare del 2007 e per il referendum del 2011 (nel Comune di Illasi 400 su un migliaio di elettori) continua a promuovere iniziative sul territorio. Quando spiega che cosa ha in mente, Paolo Tertulli cita Stefano Rodotà e l’articolo 43 della Costituzione, “quello che spiega che “a comunità di lavoratori o di utenti”può essere affidato il controllo di imprese “che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. Perché non provarci anche in Val d’Illasi?”. A marzo i Comuni della valle hanno avviato uno studio di fattibilità relativo all’aggregazione del Co.vi.se. e del Consorzio depurazione acque Verona Est. L’obiettivo è capire se è possibile e sostenibile dar vita ad un terzo gestore d’ambito (oltre ad Acque veronesi, ce n’è uno anche nell’area del Lago di Garda). Martelli, commissario  dell’Ato, rimanda al mittente il piano: “Con 30mila abitanti serviti, il piano degli investimenti sarebbe insostenibile: le tariffe rischiano di schizzare”. Tertulli replica che “attraverso lo studio avanzeremo anche delle ipotesi in merito alla tariffazione”. Quello che spaventa di più, appunto, sono i numeri: il Co.vi.se., intanto, mette in discussione quelli del Piano d’Ambito, ovvero gli investimenti da realizzare sulla rete. E lo fa in modo empirico: “L’ingegnere incaricato di redarre il Piano è stato qua una mezza giornata -racconta uno degli impiegati del Consorzio-: la sua conoscenza delle nostre reti credo fosse quanto meno superficiale”. Secondo Tagliaro, il direttore, il piano d’ambito sarebbe un “libro dei sogni”. Per questo i Comuni della valle non vogliono affidare le proprie reti ad Acque veronesi: non vogliono che siano trasformate in asset da dare in pegno alle banche per “finanziare” il gestore d’ambito. Mauro Martelli non è d’accordo: “Verona copre il 60% del fatturato e abbisogna del 30% degli investimenti: i piccoli Comuni non dovrebbero aver paura”. Che è timore di finire in mano alle banche: perché per una società pubblica l’accesso al credito è sempre difficile, e Cassa depositi e prestiti (vedi a p. 21) latita. —


L’onda del referendum
Una metropoli verso la ripubblicizzazione del servzio idrico integrato: è Torino. “Grazie ad una deliberazione di iniziativa popolare, la Smat spa, la società che gestisce l’acquedotto torinese, potrebbe diventare una società speciale consortile. Il documento è stato approvato questo pomeriggio dal Consiglio comunale”, spiega un comunicato stampa del Comune di Torino, diffuso dopo che -lo scorso 4 marzo- era stata votata la delibera promossa dal Comitato acqua pubblica Torino (acquapubblicatorino.org, vedi Ae 139). A metà marzo, poi, è stata la volta di Piacenza: dopo la scadenza dell’affidamento ad Iren spa, allo stesso modo dei loro omologhi di Reggio Emilia (vedi Ae 146), anche i sindaci del piacentino -riuniti nell’Assemblea locale dell’Atersir (Agenzia territoriale dell’Emilia-Romagna per i servizi idrici e rifiuti)- hanno deciso all’unanimità di sospendere le procedure di gara e di avviare un tavolo di discussione provinciale per valutare la fattibilità della ripubblicizazione. Al tavolo siederà anche un rappresentante del comitato Acqua bene comune Piacenza (acquabenecomune piacenza.blogspot.it). Anche il consiglio comunale di Vicenza, intanto, ha dato mandato alla giunta -in collaborazione con Acque Vicentine spa, il Consiglio di bacino Bacchiglione e il Forum italiano dei movimenti per l’acqua di avviare un percorso che miri a trasformare il gestore del servizio idrico integrato in una società di diritto pubblico, senza scopo di lucro e aperta alla partecipazione dei cittadini.

La cooperativa e le sorgenti
I 140 abitanti di Vallecchia, una frazione di Castelnuovo Magra (Sp), hanno un acquedotto in comune. Le famiglie (73) sono socie della Società cooperativa di Vallecchia, nata nel 1952, che gestisce due distinti acquedotti: “Il più piccolo serve alcune case sparse, l’altro il borgo” racconta Alberto Corona, da un anno presidente della coop. E aggiunge: “Un pezzo per volta, stiamo sostituendo le vecchie tubazioni in acciaio. Per finanziare gli investimenti, d’estate organizziamo due eco-sagre in paese. Non fatturiamo il consumo: ogni persona paga 50 euro all’anno”. Secondo Corona, la municipalizzata spezzina Acam spa “non ha intenzione di ‘subentrare’, anche perché versa in condizioni critiche”. A Vallecchia preferiscono bere acqua di sorgente, e non quella del fiume Magra.

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