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Teatro al podere – Ae 90

Tra le colline dell’Appennino bolognese c’è il “Teatro nelle case” delle Ariette, una storia di zappe e recitazione La neve ha piegato il grande noce. Ma lui è ostinato e sta ancora in piedi come un vecchio orgoglioso. Gli inverni…

Tratto da Altreconomia 90 — Gennaio 2008

Tra le colline dell’Appennino bolognese c’è il “Teatro nelle case” delle Ariette, una storia di zappe e recitazione


La neve ha piegato il grande noce. Ma lui è ostinato e sta ancora in piedi come un vecchio orgoglioso.

Gli inverni sono rigidi e umidi nella valle del rio Marzatore, invisibile affluente del torrente Samoggia. Paola cerca di spingere le galline a rientrare nel pollaio. Stefano scova un uovo

che una delle sei oche ha nascosto fra la paglia. La pony Luna, la pecora e il montone si dividono, quasi tranquillamente, la stessa mangiatoia. Sette gatti e due cani osservano il rito di ogni sera nella grande aia della casa rossa del podere delle Ariette: bisogna pur convincere gli animali che sta per arrivare la notte. Attenzione: questa scena, in una piccola e stretta valle del primo Appennino bolognese, colline dolcissime alle spalle di un grande paese chiamato Bazzano, potrebbe essere una prova teatrale.

“Abbiamo sempre cercato di portare il teatro nei luoghi della vita quotidiana”, mi aveva spiegato Stefano Pasquini, 47 anni, attore, contadino, fra i fondatori del Teatro delle Ariette. E così non so più se adesso sono lo spettatore di un piccolo spettacolo allestito per me o se davvero Stefano e Paola Berselli, 49 anni, attrice, contadina, compagna di Stefano (nella foto della pagina accanto sono nella cucina della loro casa), stanno semplicemente accudendo i loro animali. Mi erano già venuti bei dubbi quando durante un loro spettacolo (quello sì, almeno pensavo, che era teatro: avveniva in una malga, c’era chi cantava, chi suonava, chi recitava poesie e chi sfornava una tigella dopo l’altra) li ho visti impastare farine, offrire salame, formaggi e vino e, alla fine, vendere le uova, le zucchine e le melanzane dei loro campi. Ora, incerto sul da farsi in mezzo al pollaio, so che attorno alla casa rossa ci sono tre ettari e mezzo di terreni. Più di due ettari sono coltivati a cereali, foraggi, ortaggi, fragole, alberi da frutto. Il resto è bosco.

Mi faccio raccontare delle loro piccola economia che accoppia zappe e teatro. Seguo Stefano nell’orto invernale: cogliamo cavoli neri e le ultimissime carote. Poi lo ascolto mentre mi dice che quando furono invitati al festival estivo di Volterra con il loro “Teatro da Mangiare?” (uno spettacolo che si apre con l’Internazionale, l’annuncio di un anno cruciale -il 1989- e va avanti con la preparazione appassionata di superbe tagliatelle) furono convinti dalla “proposta antieconomica” di quell’offerta: andare a recitare attorno a un tavolo per quindici persone da sfamare e guadagnare quello che era possibile con un biglietto.



Una storia gentile, quella delle Ariette. Stefano e Paola erano giovani eredi di quella stagione che a Bologna fu il ‘77. Volevano fare i musicisti e gli attori. Ma gli anni 80 furono impietosi.

Nel 1989 non crolla solo il Muro di Berlino, ma anche il loro desiderio di fare teatro. Fu una scelta lacerante. La casa del nonno di Stefano, in questa valle ai confini della provincia di Modena, era vuota. Gli attori lasciarono i palcoscenici e provarono a fare i contadini. Ci riuscirono? La famiglia di Paola veniva da questo mestiere. I vicini della valle del Marzatore li chiamarono “i professori”. Ma Stefano e Paola imparano, creano una minuscola azienda biologica, zappano, arano, seminano.

E cominciano a preparare le tagliatelle: si viene anche a mangiare nella casa rossa delle Ariette. Conoscono anche Maurizio Ferraresi, un impiegato dell’Unipol con bei sogni nascosti.

E il teatro rispunta fra gli ortaggi e le galline del piccolo podere. “È stata la campagna a farmi capire il teatro”, ricorda Stefano. Si può riprendere un cammino interrotto?

Si può ripartire da un’altra parte?

Sì, perché nella valle del Samoggia sono nate storie, relazioni, amicizie solide, belle serate di cene e vino.

Il teatro rinasce nelle cucine degli amici, nelle sale da pranzo, nei forni dei panettieri, nelle stanzette dei calzolai, negli ospedali di provincia, nelle scuole. Persino nei campi.

Fra il favino appena seminato. Fra le graminacee che aiutano le lucciole a tornare nelle notti

di primavera.

È il teatro nelle case, nei luoghi della vita di ogni giorno. È teatro per venti persone. Si recita attorno a una tavola. “È qualcosa che va contro ogni legge di mercato”, dice di nuovo Stefano.  Nel 1996 nasce l’associazione del Teatro delle Ariette. Tra il 1999 e il 2000, in nove mesi, Paola, Stefano e Maurizio costruiscono, con le loro mani, un Deposito, un edificio rurale a uso teatrale: è in alto, quasi sul crinale della collina, è un territorio dove davvero saltano i confini fra campagna e teatro. È qui che, nella primavera del 2000, arriva Armando Punzo, regista e direttore artistico del teatro creato nel carcere di Volterra. Punzo passa la notte alle Ariette. Assaggia le loro tagliatelle, ne sono sicuro. Li vede recitare e impastare, li vede fare gli attori e i contadini. E Punzo invita le Ariette a raccontare la loro storia a Volterra. È la proposta “antieconomica” che Stefano e i suoi amici decidono di accettare. Sono ancora contadini, le Ariette. Sanno quello che mangiano. Vendono ancora i loro prodotti. Agli spettacoli, al mercato biologico di via Fioravanti a Bologna. A chi passa per la valle del Marzatore. Hanno chiuso l’agriturismo e per mangiare le loro tagliatelle occorre seguire i loro spettacoli, ma continuano ad arare i campi (ma non ce l’hanno fatta a riunire associazione teatrale e azienda contadina: sembra che non sia possibile) e ad essere circondati dagli animali. Ottocento sono state le repliche dei loro spettacoli dal 2001 a oggi. Dal 1997, in ogni novembre, quando i lavori agricoli rallentano, organizzano nella valle del Samoggia, il festival del “Teatro nelle case”: gli attori-contadini (nella foto) hanno portato spettacoli e magie in ben 55 diversi luoghi della valle. Alcuni testi raccontano storie raccolte nella valle (vedi box). “Ci piace perdere tempo”, avvertono Paola e Stefano. Ancora una ribellione al mercato. Ma questa è una bugia innocente: il loro teatro regala tempo. Attori e spettatori si confondono nella storia delle Ariette. Non si applaude e poi si va via dopo un loro spettacolo: si rimane a bere un bicchiere di vino, a parlare, ad assaggiare le tigelle. A comprare le zucche, i cavoli e le uova delle galline dei campi della casa rossa.  



Al podere delle Ariette ci sono un teatro (nel Deposito: edificio rurale a uso teatrale), un ufficio e la casa di Stefano Pasquini e Paola Berselli. Sappiate che quando rispondono al telefono possono star mangiando, curando gli animali, andando a letto. Il Teatro delle Ariette è fra le colline del primo Appennino bolognese. A Castello di Serravalle (Bo), in via Rio Marcatore al numero 2781. Info: teatrodelleariette.it, e-mail: info@tea-trodelleariette.it. Tel.: 051/67.04.373



Il fornaio e il calzolaio

Angelo Garagnani ha 73 anni, recita l’Iliade come un Benigni emiliano e impasta il pane da quasi sessanta anni. Angelo capisce che il lievito ha compiuto il suo lavoro facendo “suonare” l’impasto con un colpo del palmo della mano.

Il forno di Angelo sta a Bazzano. Nello stesso luogo da 57 anni. E da 57 anni, Angelo si sveglia quando gli altri vanno a letto. Le sue figlie continuano il mestiere del padre. Renzo Franchini, invece,

ha quasi ottanta anni. Risuolò la sua prima scarpa a dodici anni. Figlio d’arte: il suo banchino da calzolaio è lo stesso di suo padre. È grande poco più di un metro per uno. Il suo negozio ha girato tutti gli angoli della stessa, piccola piazza di Castelletto di Serravalle (Bo).

Renzo canta le “zirudelle”, gli stornelli dell’Emilia. Le Ariette raccolgono queste piccole storie. Raccontano le vite della Valle del Samoggia, un angolo d’Italia.



L’isola contadina nella valle del Samoggia

Piccole storie “neorurali” si incrociano lungo le sponde del fiume Samoggia, un affluente del Reno. Qui, negli anni, sono saliti giovani con sogni da utopia concreta. Come lasciare Bologna e venire a vivere in campagna, ad esempio. Lo hanno fatto Germana e Carlo, studenti di agraria. O Michele, che faceva il muratore tutto fare.  Adesso questi giovani hanno quarant’anni e molti figli e i tempi complicati, forse, sono alle spalle. I campi invernali regalano verze, patate, zucche. Si vende tutto ai Gruppi di acquisto solidali (Gas). Si fanno almeno 150 “cassette” di prodotti di stagione a settimana. Poi c’è lo straordinario mercato settimanale del biologico (al giovedì sera, dalle cinque alle nove, in via Fioravanti, al centro sociale XM24). Le cinque famiglie dell’associazione dei contadini biologici della Valle del Samoggia (nella foto) sono una piccola isola sconosciuta di un’Emilia nascosta e sorprendente.

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