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Tasse versus erogazioni

Le fondazioni non sono tutte uguali. Esistono quelle "politiche", finite al centro di numerose recenti inchieste, e quelle di origine bancaria, che hanno preso distanza dalle accuse di opacità rivolte alle prime. Eppure, il governo non pare intenzionato ad intervenire sulla normativa che regola le prime, mentre la recente disciplina fiscale per le fondazioni bancarie rischia di colpire i beneficiari, per la maggior parte soggetti del Terzo settore 

Tratto da Altreconomia 168 — Febbraio 2015

Il governo Renzi ha scelto la “via fiscale” per dare un segnale alle fondazioni bancarie. La Legge di Stabilità 2015 ha alzato la tassazione sui dividendi che queste ogni anno queste incassano grazie alle partecipazioni detenute nelle banche di origine o in altre società. Tecnicamente, l’esecutivo ha cancellato -con l’articolo 44, comma 26- una sorta di agevolazione fiscale che dal 2003 permetteva agli enti non commerciali che producono utili da dividendi -universo composto soprattutto dalle fondazioni di origine bancaria- di pagare le tasse solo sul 5% delle somme incassate. Ciò accadeva privilegiando l’utilizzo che di queste risorse veniva fatto, perché andavano a finanziare attività benefiche. L’agevolazione è scesa dal 95 al 22,26%, quindi la quota imponibile Ires è passata dal 5 al 77,74%. A conti fatti, le fondazioni ora devono pagare una tassa pari al 21,37% degli utili complessivi, anziché l’1,37% di prima.

“L’inasprimento della tassazione -spiega Gianpaolo Barbetta, docente di Scienze politiche e sociali all’Università Cattolica di Milano– risponde a diverse esigenze. Da un lato quella forte di far cassa da parte del governo, e quindi di raschiare ‘tutti i barili possibili’. Una seconda ragione riguarda le fondazioni in quanto tali. L’intervento interessa una categoria di redditi rappresentata dai dividendi, che provengono in buona parte dalle banche partecipate. In questo senso -prosegue Barbetta- l’intervento può rappresentare un incentivo a modificare la composizione del portafoglio delle fondazioni, riducendo la quota delle azioni e aumentando quella delle obbligazioni, con ciò allontanandole ancora di più dalla proprietà delle banche. Inoltre, non è da escludere che il governo preferisca distribuire esso stesso le risorse che attualmente distribuiscono le fondazioni e questa sarebbe la motivazione più preoccupante”.

La protesta delle fondazioni, avviata a fine ottobre, ha dato vita a una campagna di pressione sul governo nata dal basso, dal terzo settore, battezzata #menotassepiùerogazioni e fatta propria anche dall’Acri, l’associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria.
È stato inutile, come priva di risultati è stata la mobilitazione del mondo della cultura, dei teatri, delle cooperative sociali, delle associazioni di volontariato, dei centri di servizio al volontariato, cioè di quei soggetti cui le fondazioni destinano in parte le proprie risorse. Che adesso andranno allo Stato: solo in Lombardia, la Regione dove ha sede la più patrimonializzata tra le fondazioni bancarie (che è Cariplo, vedi box) la previsione per il 2015 è di una riduzione delle erogazioni complessive per almeno 20 milioni di euro.
In totale, i proventi destinati nel 2013 alle attività filantropiche sono stati pari a 884,8 milioni di euro, e il 67,1% -570 milioni di euro circa- sono andati a soggetti privati, tra cui anche quelli del terzo settore.

Secondo i dati diffusi da Acri, il gettito fiscale pagato complessivamente dalle 88 fondazioni era di 100 milioni di euro nel 2011, e nel 2015 arriverà a 360 milioni per effetto del provvedimento inserito nella Legge di Stabilità e dell’aumento degli oneri sui rendimenti derivanti dagli investimenti finanziari -altra grande fonte di reddito per le fondazioni che investono i propri patrimoni sui mercati finanziari-, passati dal 12,5% al 20% nel 2012 e poi al 26% nel luglio 2014.

La Legge di Stabilità 2015 ha scritto l’ennesimo capitolo di una storia di tensioni, pressioni e trattative tra governi e fondazioni. Prima del 1990, le fondazioni erano enti pubblici morali e creditizi, poi -dopo un processo legislativo guidato da Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi e due sentenze della Corte Costituzionale- sono state scorporate dalla banca originaria e sono diventate enti privati con scopi filantropici. La loro governance è sempre complessa, anche se ciascun statuto regola ogni fondazione in totale autonomia. In tutte, hanno un ruolo importante gli enti pubblici locali, che esprimono parte delle figure che le governano.

Le fondazioni hanno un patrimonio che è in parte ancora costituito dalle azioni delle banche da cui sono nate. Ognuna di loro lo gestisce e lo fa fruttare sia grazie ai dividendi che le banche di cui sono azioniste staccano a fine anno, sia tramite investimenti sul mercato finanziario. Grazie a questo capitale e agli investimenti, le fondazioni producono utili che vengono erogati per attività definite filantropiche. La maggior parte degli utili viene destinato a fondo perduto alle organizzazioni del terzo settore -associazioni di volontariato, cooperative sociali, fondazioni non bancarie- tramite bandi o erogazioni di contributi, ma anche a soggetti pubblici locali nel territorio in cui operano.
Il governo non ha mai visto di buon occhio i legami che ancora le fondazioni continuano ad avere con le banche di origine. Tredici detengono una partecipazione più alta del 50% nella banca d’origine, e solo 21 sono non ne hanno più in mano.

“Siamo molto preoccupati  dalla situazione economica che si è venuta a creare, che per noi, a causa della retroattività della norma, solo per la parte afferente il 2014, si traduce in un maggior esborso di circa 14 milioni di euro -commenta Luca Remmert, presidente della Compagnia di San Paolo, la seconda fondazione italiana per dimensioni e il primo azionista di Intesa Sanpaolo-. Grazie ad una gestione prudenziale e diversificata degli investimenti e di un controllo dei costi di gestione virtuoso, la Compagnia di San Paolo, a differenza di altre fondazioni consorelle, riesce a non mettere in atto per il 2015 riduzioni nelle erogazioni al territorio. Anzi, in un momento nel quale il nuovo sistema fiscale non era ancora definitivo, ha confermato, addirittura incrementandolo leggermente, l’importo delle erogazioni: 137 milioni di euro -erano 132 nel 2014-, di cui 132 milioni di euro destinati a erogazioni in senso stretto”. “Pagando più tasse -spiegano dalla Fondazione Cariplo, la più grande in Italia che opera in tutta la Lombardia- le risorse per l’attività erogativa diminuiscono. L’onere impositivo gravante sulla nostra Fondazione, dopo la crescita che aveva già avuto nel 2012 per l’aumento della tassazione, è risultato pari a oltre 42 milioni di euro nel 2013 e, ipotizzando un reddito costante, è possibile prevedere che nel 2014 e negli anni futuri possa attestarsi oltre i 60 milioni di euro annui, con un aggravio annuale di circa venti milioni annui”. La Cariplo per il 2015 aveva preventivato 143 milioni di euro di erogazioni. Ma lo stesso presidente  Giuseppe Guzzetti -che è anche presidente di Acri- ha parlato a più riprese di un ridimensionamento. Previsione che preoccupa il terzo settore lombardo, come spiega Don Gino Rigoldi, animatore e fondatore della Comunità Nuova di Milano: “Giusto tassare le grandi rendite finanziare -spiega ad Ae- ma quando si introducono tasse si dovrebbe avere capacità di discernimento. Una rendita finanziaria tout court non è paragonabile a rendite che diventano strumenti importanti di sussidiarietà”.

Dal 2008 al 2013, le fondazioni hanno erogato 7,4 miliardi di euro e accantonato per le attività future circa 1,8 miliardi di euro. Non esiste un dato certo sull’impatto delle nuove tasse sulle erogazioni, ma le previsioni parlano di una forte diminuzione dei fondi soprattutto a partire dal 2016.

È ovvio -conclude Barbetta- che una minore disponibilità economica dovrebbe indurre gli amministratori ad una maggiore selettività e quindi c’è da auspicare che vengano selezionate le cause migliori e tralasciate  le altre. Non è da escludere che accada l’inverso: che chi ha più capacità di lobbying benefici ugualmente dei finanziamenti. Ciò dipenderà da come ogni fondazione sarà in grado di rispondere alle pressioni esterne”.

Per questo le Fondazioni si stanno riorganizzando.
“Potrebbero ulteriormente concentrare le proprie scelte -spiega il direttore di Acri Giorgio Righetti– verso quei progetti a maggior impatto sociale sulle loro comunità di riferimento. Potrebbero valorizzare ulteriormente il proprio ruolo di catalizzatore sul territorio per realizzare progetti in partnership con altri soggetti. Infine accrescere i propri Mission Related Investment, ovvero quelle iniziative da sostenere non con le erogazioni ma con l’impiego dei patrimoni, in ambiti e settore contigui o coincidenti con la loro attività istituzionale, vedi i fondi di housing sociale, solo per fare un esempio. Sicché laddove diminuiscono le erogazioni aumenterebbero gli investimenti, in questo caso però all’impiego di risorse dovrebbe corrispondere, quantunque minimo, un ritorno”.
Nel frattempo stanno già diminuendo gli importi medi che a ciascun progetto vengono assegnati: se erano 43.496 euro nel 2012, sono stati 39.619 nel 2014 a sostanziale parità di progetti. Significa che nei territori le Fondazioni hanno già tagliato in maniera lineare i contributi erogati. E in maniera cautelativa stanno facendo calare gli importi per i progetti pluriennali (da 12,5% nel 2012 a 10,4% nel 2013). —
 
Tu chiamale fondazioni
La diffusione delle fondazioni di origine bancaria è concentrata soprattutto nel Centro-nord del Paese. 47 delle 88 presenti in Italia operano al Nord e detengono il 74,2% del patrimonio complessivo, 30 miliardi di euro su 39,7 totali. Quella più grande è la Cariplo, nata dalle Casse di risparmio lombarde. Al Sud e nelle isole sono presenti solo 11 fondazioni per un patrimonio complessivo di 1,9 miliardi di euro. La disomogeneità territoriale è dovuta alla distribuzione originaria delle Casse di risparmio.
L’attivo delle fondazioni -cioé gli investimenti a cui destinano gli impieghi- al 31 dicembre 2013 ammontava a 49,3 miliardi di euro ed era composto per il 96% da attività finanziarie: la loro ricchezza è rappresentata da partecipazioni finanziarie, azioni e altri titoli.
Il legame delle fondazioni con le banche originarie è sempre meno forte, ma esiste ancora: sul totale dei proventi, solo il 22,7% deriva da dividendi della conferitaria -cioè dalle azioni della banca dal cui scorporo le fondazioni sono nate-, mentre il 77,3% è costituito dal risultato delle gestioni patrimoniali, ma soprattutto dai dividendi di altre partecipazioni (23,9%), dal risultato della gestione di investimenti finanziari (21,4%). Nel 2013 16 fondazioni hanno venduto azioni della banca di origine -la cosiddetta “conferitaria”- incassando 306 milioni di euro. Allo stesso tempo altre 4 fondazioni hanno acquisito azioni o sottoscritto aumenti di capitale delle banche per 199 milioni di euro.
 

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