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Tassa ingiusta sul permesso di soggiorno: le cause in tribunale per recuperare il “maltolto”

Oltre un milione di cittadini stranieri residenti in Italia avrebbero versato allo Stato italiano almeno 160 milioni di euro a causa di un balzello indebito sul rinnovo del permesso di soggiorno introdotto nel 2011. E mentre il Governo non procede ancora alla restituzione delle somme ingiustamente incassate, alcuni degli interessati procedono per le vie legali

Oltre un milione di cittadini stranieri residenti in Italia avrebbero versato allo Stato italiano almeno 160 milioni di euro a causa di una tassa illegittima sul rinnovo del permesso di soggiorno introdotta nel 2011. E mentre il Governo non procede alla restituzione delle somme indebitamente incassate, alcuni degli interessati procedono per le vie legali.

A Lecco, ad esempio, in 50 hanno presentato a novembre un ricorso collettivo al Tribunale, supportati da Inca Cgil Lecco e Inca Cgil Lombardia insieme ai legali dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), contestando proprio il mancato rimborso dovuto dallo Stato per il balzello ingiusto. La storia della tassa contestata risale al 2011, quando il Governo Berlusconi licenziò un decreto ministeriale (304/2011) a firma dell’allora titolare dell’Economia Giulio Tremonti “di concerto” con il ministro dell’Interno Roberto Maroni, nel quale si innalzava il contributo da versare all’erario per chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno. L’ammontare della nuova tassa poteva variare dagli 80 euro richiesti per i permessi di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno, ai 100 euro per i permessi di soggiorno di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni, fino a 200 euro per il rilascio del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Una somma, quella dovuta, che andava ad aggiungersi a quanto già versato dai cittadini di origine straniera per mandare avanti la propria pratica amministrativa: 16 euro per la marca da bollo, 27,50 per la stampa del documento e 30 euro per la spedizione postale.

Nel 2015 la Corte di giustizia dell’Unione europea si è espressa in merito, chiarendo che il contributo richiesto fosse sproporzionato e ribadendo un principio chiaro, che l’avvocato Alberto Guariso -legale dei 50 ricorrenti a Lecco e socio Asgi- spiega così: “Secondo la Corte bisogna eliminare tutti gli ostacoli alla regolarizzazione degli stranieri, compresi quelli apparentemente modesti, se rischiano di impedire in qualche maniera il percorso dello straniero verso la sua stabilizzazione nel Paese ospitante”. Sulla scia di questo pronunciamento, nel 2016 il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del Tar del Lazio che annullava il decreto Tremonti del 2011 con effetto retroattivo fin dall’inizio della sua applicazione, stabilendo che sarebbe spettato all’autorità amministrativa rideterminare gli importi e chiarire le modalità di restituzione del denaro chiesto illegittimamente per cinque anni.

Seppur dopo un periodo di vuoto legislativo che ha generato un certo caos nelle questure, la prima prescrizione della sentenza è stata rispettata e nel 2017 è stato pubblicato un decreto con i nuovi importi da pagare (dimezzati rispetto al 2011) per il rinnovo del permesso di soggiorno. Il Governo, al contrario, non si è mai attivato per la restituzione del “maltolto”, e non si tratta di una somma inconsistente. Se, come suggerisce ancora l’avvocato Guariso, consideriamo che secondo l’ultimo Dossier Statistico Immigrazione curato dal Centro studi e ricerche Idos, i titolari di permesso a tempo determinato sono circa 1.134.000, potremmo ipotizzare che queste persone negli anni in cui è stato in vigore il decreto abbiano indebitamente versato nelle casse dello Stato 150 euro a testa e dunque circa 160 milioni di euro. “Si tratta -riflette il legale, che ha già assistito una decina di migranti davanti al Tribunale di Milano ottenendo la condanna dei Ministeri alla restituzione, confermata dalla Corte di Appello – di un debito incontestabile nei confronti di queste persone, per di più fondato su un principio di diritto molto significativo: le sentenze della Corte di giustizia europea e del Consiglio di Stato dicono chiaramente che bisogna facilitare il mantenimento della regolarizzazione delle persone straniere all’interno dell’Unione europea, l’opposto di quello che si fa oggi in Italia, che è la facilitazione del passaggio all’irregolarità. Quindi anche un ostacolo piccolo, come possono sembrare 50 euro, è un ostacolo in contrasto con il diritto dell’Unione”.

A Lecco, come in altri sporadici casi, viene portata avanti questa battaglia dal punto di vista giudiziario, nelle aule del Tribunale, e con ogni probabilità ai ricorrenti verranno restituiti i soldi che hanno versato, come è già successo nel 2016 a Milano. Queste iniziative, però, riguardano una minoranza di chi è stato colpito dal decreto del 2011: “Dovrebbe essere il Governo a trovare i fondi per restituire i soldi a tutte le persone che ne hanno diritto e a stabilire le modalità di risarcimento -conclude Guariso- senza dover andare avanti con queste cause che rischiano di intasare ulteriormente le aule giudiziarie e che comunque inevitabilmente non raggiungono tutti coloro che sono stati danneggiati dal provvedimento”.

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