Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Cultura e scienza / Intervista

Takoua Ben Mohamed. Ho bisogno del fumetto

Dai “disegnini” per comunicare con le maestre e gli altri bambini, al racconto della rivoluzione tunisina del 2011. Il viaggio da autodidatta di Takoua, romana d’adozione

Tratto da Altreconomia 212 — Febbraio 2019
© Takoua Ben Mohamed

Quando ha messo piede per la prima volta in Italia, nel 1999, Takoua aveva appena otto anni. “Io, mia madre e i miei fratelli abbiamo raggiunto mio padre, che aveva dovuto lasciare la Tunisia poco dopo la mia nascita, e che aveva ottenuto asilo politico. Siamo andati ad abitare a Roma e un mese dopo ho iniziato la scuola: conoscevo solo l’alfabeto arabo, per me è stato traumatico. Inoltre, ero molto timida e poco socievole con gli altri bambini. Così per farmi capire, ho iniziato a comunicare con le maestre e con gli altri bambini con dei disegnini. Era il solo mezzo che avevo, ma funzionava bene”.

Takoua Ben Mohamed, 27 anni, nata nel Sud della Tunisia e romana d’adozione ride a quel ricordo: “Quella per il disegno è una passione che ho fin dall’infanzia. Avevo una grande esigenza di raccontare le cose e il fumetto è stato un modo per dare una risposta a questo mio bisogno”. Una passione che Takoua ha coltivato negli anni con i suoi studi (si è specializzata in cinema di animazione presso la “Nemo academy of digital arts” di Firenze e ha studiato giornalismo a Roma) e molte letture: “Ho studiato il mondo del fumetto da autodidatta, ad esempio ho scoperto il graphic journalism grazie ad autori come Joe Sacco e al suo bellissimo ‘Palestine’”. A 14 anni ha dato vita al blog “Fumetto intercultura” (oggi non più aggiornato) in cui per molti anni ha raccontato la quotidianità, i sogni e i problemi di un’adolescente di seconda generazione in Italia. Racconti che poi sono confluiti nel suo primo libro “Sotto il velo” (Becco Giallo edizioni).

In che modo il racconto per immagini può combattere stereotipi e pregiudizi?
TBM Il fumetto unisce immagini e parole. Questo, a mio avviso, è il suo punto di forza più grande. Inoltre, nei miei lavori ho sempre dato molto spazio al racconto della quotidianità, anche puntando su temi apparentemente frivoli: che cosa succede quando ti svegli al mattino e hai i capelli in totale disordine? C’è chi mette il velo e chi mette un cappello. Rendersi conto che la quotidianità dell’altro è molto simile alla nostra, a prescindere da cultura e religione, è il primo modo per combattere i pregiudizi che si trasformano in razzismo.

Nel tuo nuovo libro, “Rivoluzione dei gelsomini”, racconti invece la rivolta dei giovani tunisini contro il regime di Ben Alì. Come hai vissuto quei momenti?
TBM Per me è stata una sorpresa: quando nasci in un Paese retto da una dittatura sei portato a pensare che quel regime non cadrà mai, che sia eterno. Io ero a conoscenza delle proteste e dei movimenti di opposizione al governo di Ben Alì che già si agitavano in Tunisia, ma non avrei mai sperato di vedere le immagini di quelle manifestazioni. Per tutti è stata una sorpresa: mia madre piangeva mentre guardava la televisione.

“La storia della mia famiglia, molto simile a quella di tanti altri tunisini, deve essere raccontata. Io ho scelto di farlo con il racconto a fumetti, il linguaggio che più mi appartiene”

Che cosa ha significato per te la rivoluzione del 2011?
TBM Ho trascorso la mia adolescenza, gli anni in cui ciascuno di noi costruisce la propria identità, a Roma: l’Italia era il mio Paese. Mentre la Tunisia, che avevo lasciato quando ero molto piccola, era completamente scomparsa dal mio orizzonte. Oscillavo così tra un Paese che non esisteva, perché non lo conoscevo, e uno che non mi voleva. Tornare in Tunisia mi ha cambiato, mi ha permesso di allargare il mio concetto di famiglia, e trovare risposte a tante domande che mi ero sempre posta.

Che cosa hai scoperto?
TBM È stato un lavoro difficile, durato circa tre anni, perché la ricerca ha toccato episodi della storia della mia famiglia che non conoscevo. Spesso ci sono stati “colpi” molto duri, che mi hanno costretto a mettere da parte il lavoro per qualche tempo prima di poter continuare: mio zio, il fratello di mia madre, era stato arrestato in diverse occasioni, torturato ed è morto in carcere. Lo avevo incontrato, quando ero una bambina, e a noi piccoli non aveva mai detto quello che aveva subito. L’ho scoperto solo dopo, raccogliendo le testimonianze di altri ex detenuti politici, che mi hanno raccontato come violenze e torture fossero la prassi per tutti loro. Quindi anche per mio zio.

Perché hai affrontato questo viaggio di ricerca?
TBM Perché la storia della mia famiglia, molto simile a quella di tanti altri tunisini, deve essere raccontata. Servono romanzi, film, documentari che mantengano vivi questi ricordi. Io ho scelto di farlo con il racconto a fumetti, il linguaggio che più mi appartiene.

Nel tuo racconto dedichi molto spazio a diverse figure femminili.
TBM Io sono cresciuta in mezzo a grandi donne: mia madre, semplice casalinga ma non meno determinata di mio padre, mia zia, attivista nei movimenti universitari, mia nonna. Quando si raccontano i grandi cambiamenti sociali al femminile, si ricordano sempre le grandissime donne che hanno fatto la storia, quella con la “s” maiuscola. Non si parla mai di quelle donne che, nel loro piccolo, hanno promosso questi cambiamenti. In Tunisia, ad esempio, sono state queste donne -apparentemente semplici- a portare avanti i movimenti politici, a far circolare le informazioni, quando i leader, gli uomini erano in carcere o in esilio. Sono queste le donne che hanno fatto nascere e crescere quella generazione di giovani che poi si è sollevata nel 2011.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.