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Sulla rotta balcanica le paure del Medioevo. In mille anni è cambiato ben poco

Le proteste dei migranti in Bosnia ed Erzegovina all’interno del campo di Lipa per le condizioni di vita disumane. Gennaio 2021 © MIchele Lapini e Valerio Muscella

I pregiudizi e le falsità occidentali sui “tartari” del 1200 li ritroviamo proiettati sulle persone in transito di oggi, nel cuore dell’Europa. L’antidoto è ragionare, senza smettere di porre e porsi domande, come spiega Chiara Frugoni. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 234 — Febbraio 2021

Iracondi, subdoli, falsi, abituati a mangiare cani, lupi, volpi e cavalli. Anche carne umana, instancabili fabbricatori di armi, bravissimi arcieri e abilissimi nel cavalcare. Ritenevano lecito uccidere uomini, usurpare le terre altrui, commettere adulterio, “agire contro i comandamenti di Dio”. Sembra la rassegna dei pregiudizi contemporanei sui migranti che potremmo leggere su qualche bacheca o ascoltare sui mezzi, ma sono solo alcuni dei presunti “tratti” caratteristici dei mongoli riportati dal francescano Giovanni da Pian del Carpine, diplomatico spedito da papa Innocenzo IV ai confini della Manciuria nel 1245 per provare a trattare con gli “invasori”. Racconta l’episodio la professoressa Chiara Frugoni, che per anni ha insegnato Storia medievale nelle Università di Pisa, Roma e Parigi, nel suo affascinante e tragico “Paure medievali” (Società editrice Il Mulino, 2020). Un libro ricco di domande e non di fatti lugubri in successione. Narra della paura della fine del mondo, della fame e della miseria, del diverso (ebrei, musulmani, neri, etc.), delle malattie e delle epidemie. Anche della paura dei mongoli, appunto.

L’agente papale riceve l’incarico di recarsi nelle terre dell’Asia -popolate ovviamente da esseri “semiumani e mostruosi”, rappresentati scalzi poiché lontani dalla civiltà- subito dopo il concilio di Lione. L’obiettivo della missione è di portare al nuovo sovrano mongolo una lettera -“Cum non solum homines”, datata 13 marzo 1245 e tradotta in persiano- che poneva condizioni poco concilianti: interrompete l’avanzata nelle regioni dell’Europa centro-orientale, convertitevi tutti, non sfidate la collera divina. Oltre un anno dopo, l’11 novembre 1246, il Gran khan di allora, Güyük, risponde “no, grazie” e rivolto al papa scrive: “Tu in persona, alla testa dei re, venite a offrire servizi e omaggio. Allora noi conosceremo la vostra sottomissione” (“La versione in persiano di questa lettera con un incipit in turco e corredata dal sigillo imperiale si conserva nell’Archivio segreto Vaticano”, aggiunge Frugoni).

Tra andata, consegna e ritorno (18 novembre 1247), il messo francescano impiega due anni e mezzo. Poi decide di scrivere un “dettagliato resoconto del viaggio” in una “Historia Mongalorum” che diviene, sottolinea Frugoni, “il rapporto sui mongoli che ebbe nel Medioevo la più vasta circolazione prima di quello di Marco Polo”. Peccato che fosse un documento intriso di intolleranza, falsità, appelli a contrastare la “minaccia mongola” per evitare d’esser ridotti in schiavitù. Cattiva semina, pura mistificazione.

Frugoni annota che “in mille anni è cambiato ben poco” e che in fondo, noi, quelle paure medievali ce le “teniamo strette al petto”. Come darle torto. Pensiamo ad esempio alla rappresentazione dominante delle migliaia di persone in transito lungo la rotta balcanica, nel cuore dell’Europa, bloccate in Bosnia ed Erzegovina, picchiate in Croazia, respinte dall’Italia, escluse dall’Unione europea. Non sono soggetti in condizioni degradanti, spogliati dei diritti fondamentali. No, ricordano i mongoli (chiamati in spregio “tartari”, dall’inferno dei greci e dei romani che era il “Tartaro”) dei racconti di Giovanni da Pian del Carpine, neanche mille anni più tardi, ai quali non è chiesta più la conversione ma la “cortesia” di non farsi più vedere, di sparire, al massimo di marcire tra fango, neve e malattie, come animali. Tornare indietro. Il prezioso inserto allegato a questo numero di Altreconomia è stato realizzato dalla rete “RiVolti ai Balcani” proprio per rompere questo schema di disinformazione e intolleranza e mostrare invece che cosa è accaduto e sta accadendo ancora a pochi chilometri dalla frontiera, non ai confini della Manciuria. Lì è dove crediamo sia giusto e necessario stare. “Che cosa potrebbe sciogliere questi lacci?”, si domanda Frugoni in merito alle paure contemporanee alimentate da politiche miopi. “Ragionare -ricorda la professoressa-. Ma per questo occorrerebbe scacciare l’ignoranza e conquistare l’istruzione, un oggetto del desiderio, per molti, desueto”.

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