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Sud Sudan, l’anniversario armato

Crisi umanitaria, guerra civile, fame, colera ed emergenza rifugiati. A tre anni dall’indipendenza, il Sud Sudan si ritrova nel pieno di una crisi politica esplosa nell’estate 2013 e divenuta poi conflitto sanguinario nel dicembre scorso. Un dossier di Mani Tese, Iscos Emilia Romagna e Nexus Emilia Romagna fotografa il Paese africano, approfondendone le prospettive

Il Sud Sudan celebra tre anni di indipendenza nel dramma di una sanguinosa guerra civile. Si intitola “Sud Sudan: anniversario armato” il dossier diffuso da Mani Tese,  Iscos Emilia Romagna e Nexus Emilia Romagna sulla crisi che attraversa il paese africano al traguardo dei primi tre anni di vita. Il documento fornisce dati aggiornati sull’emergenza e approfondisce cause e prospettive del conflitto in corso.
 
Secondo l’ultimo rapporto dell’OCHA, l’agenzia dell’Onu per il coordinamento delle operazioni umanitarie -diffuso il 4 luglio- sono ormai 1.100.000 gli sfollati interni, buona parte dei quali ospitati in campi sovraffollati dove è difficile soddisfare i bisogni di base e le condizioni di vita sono precarie. Di questi, circa 100.000, in grande maggioranza donne e bambini Nuer, si trovano in 10 campi all’interno delle basi della missione di pace UNMISS difesi dai caschi blu. È la prima volta nella storia che le basi di una missione ONU diventano anche rifugio per i civili.
 
Agli sfollati sud sudanesi vanno aggiunti circa 220.000 rifugiati sudanesi, fuggiti negli stati di Unity e Upper Nile da zone del Sudan in conflitto con il governo centrale di Khartoum; persone prese tra due fuochi che non sanno più dove cercare protezione e rischiano di restare senza i beni necessari per sopravvivere.
 
Sono inoltre 401.800 i rifugiati sud sudanesi nei paesi confinanti, mentre secondo stime dell’UNHCR in questo periodo sono circa 1.500 gli arrivi settimanali solo nei campi etiopici, dove le condizioni di vita sono pessime. Il continuo afflusso di rifugiati sud sudanesi pone seri problemi ai paesi ospitanti, in una preoccupante dinamica di regionalizzazione della crisi. Molti sfollati, poi, non si trovano nei campi, ma nascosti in zone rurali remote. In queste settimane, con l’inizio della stagione delle piogge, sono irraggiungibili.
 
“Il 9 luglio di tre anni fa il Sud Sudan iniziava la sua storia di paese indipendente in un’atmosfera di grande emozione, aspettative e preoccupazioni. La crisi politica è esplosa nel luglio del 2013 per precipitare il 15 dicembre in una guerra civile sanguinosa che ha azzerato tutti gli sforzi interni e internazionali”, dichiara Bianca Saini, autrice del dossier di Mani Tese, Iscos E.R. e Nexus E. R., organizzazioni attive nel paese africano da prima dell’indipendenza.
 
In molte zone dei tre stati di Unity, Jongley e Upper Nile l’unico cibo ancora disponibile è il pesce, che viene pescato con metodi molto rudimentali e non può soddisfare le necessità di una popolazione numerosa. All’emergenza fame si aggiunge il colera. L’epidemia, scoppiata a Juba a fine aprile, ha raggiunto altre zone, colpendo con particolare virulenza gli Stati dell’Upper Nile e di Unity, dove il colera si è diffuso nel sovraffollato campo per la protezione dei civili della base UNMISS. Finora sono stati registrati 2.613 casi, con 63 morti, un tasso più che doppio rispetto alla media dei decessi in casi simili. Chi paga di più sono i bambini. Secondo le stime più diffuse, 50.000 potrebbero morire di fame nei prossimi mesi se non si riuscirà a dare una svolta alle azioni di soccorso.
 
“Attraversare le strade di Juba alla vigilia del terzo anniversario della sua indipendenza vuol dire attraversare una nuvola di colori e di stelle che sventolano dai finestrini delle automobili”, racconta dalla capitale Daniela Biocca, coordinatrice di Mani Tese in Sud Sudan. “I festeggiamenti non riescono però a mascherare la tensione che si respira in città e la sofferenza di un Paese che ha vissuto crimini e assassinii violenti che hanno provocato migliaia di morti e la distruzione completa di città come Bor, Malakal e Bentiu. Il tema scelto per la giornata è: “South Sudan, one nation, one people”.  Ma a tre anni dall’indipendenza il popolo sudanese non è uno. E’ disperso e sfollato fuori e dentro il paese, mentre lo Stato si sta muovendo verso il separatismo”
 
A mancare è anche la volontà dei due contendenti in guerra, il presidente Salva Kiir e l’ex vice presidente Riack Machar, di negoziare per giungere a un accordo di pace. In questo momento, le trattative sono sospese a tempo indeterminato e il mediatore capo ha chiesto un incontro al presidente del Consiglio di Sicurezza. Ci sono buone ragioni per pensare che chiederà di attivare le sanzioni previste nel caso non fosse stato possibile portare avanti la trattativa nei tempi programmati.
 
“Comunque vada a finire, e speriamo che sia molto presto, il Sud Sudan non sarà più lo stesso. Il dibattito su un suo diverso assetto futuro è vivo e acceso nel paese. Ci auguriamo che i sud sudanesi trovino presto una strada che permetta loro una convivenza costruttiva e pacifica anche dopo gli orrori dei mesi scorsi”, conclude Saini.

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