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Strade sicure e a misura di persona: un appello al Governo per la ripartenza

In Italia cresce l’incidentalità in ambito urbano e quasi un terzo delle vittime sono ciclisti e pedoni. La Fondazione Michele Scarponi ha sottoscritto una lettera aperta per chiedere all’esecutivo maggiori controlli di velocità in città. Intervista a Matteo Dondé, architetto ed esperto di moderazione stradale

© Kadir Celep - Unsplash

“Ripartiamo con strade a misura di persona”. È una questione di sicurezza, di vita o di morte. L’architetto Matteo Dondé, esperto di mobilità ciclabile e moderazione stradale, non si stanca di ripeterlo. “Sono vent’anni che lavoro sul tema della sicurezza stradale -spiega-, promuovendo un cambiamento culturale profondo che riporti le persone al centro della strada e non l’auto. L’occasione prodotta dalla pandemia è preziosa, i cittadini hanno dimostrato di essere pronti”.

Tra i soggetti con cui Dondé collabora da tempo c’è la Fondazione Michele Scarponi, nata nel maggio 2018 con lo scopo di onorare in modo “degno e duraturo” la memoria del grande ciclista investito e ucciso da un furgone durante un allenamento nei pressi di Filottrano (Ancona), il 22 aprile 2017. È un impegno concreto. Nel nome di Michele, infatti, la Fondazione crea e finanzia progetti che “hanno come fine leducazione al corretto comportamento stradale, a una cultura del rispetto delle regole e dellaltro”. Il contesto è spaventoso: sono 28,9 i morti sulle strade urbane italiane per milione di abitanti, contro i 5,3 della Norvegia, i 10,9 della Gran Bretagna, i 15,7 della Germania. E quasi un terzo delle vittime sono ciclisti e pedoni. “Siamo l’unico Paese in Europa dove l’incidentalità aumenta in ambito urbano -continua Dondé-: 3.500 morti e 250mila feriti all’anno, con un ‘costo’ per la collettività di 17 miliardi di euro”.

Di fronte a questi numeri la Fondazione ha sottoscritto una coraggiosa lettera aperta indirizzata a fine maggio alla ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli e alla titolare dellInterno, Luciana Lamorgese. Obiettivo, spiega Marco Scarponi, fratello di Michele, “chiedere che anche nelle strade urbane possa essere effettuato il controllo a distanza del rispetto dei limiti di velocità, cosa oggi impossibile vista la normativa vigente”.

La normativa italiana sulluso dei dispositivi di controllo a distanza della velocità dei veicoli pone infatti “forti limiti al loro impiego”. “In particolare -si legge nella lettera- per le postazioni fisse senza la presenza degli operatori di polizia e senza lobbligo della contestazione immediata”. Tra i firmatari, oltre all’architetto Dondé, ci sono diversi comandanti della polizia municipale, tecnici del settore lavori pubblici degli enti locali, urbanisti, ingegneri, professori universitari. Chi cioè lavora tutti i giorni con e sulle strade.

In poche righe viene smontato con numeri e confronti europei l’alibi che fa da ombrello al pericoloso strapotere delle auto nelle strade urbane italiane. “La normativa rende evidente la volontà di limitare al massimo lambito dimpiego del sanzionamento automatico, a esempio laddove senza alcuna motivazione tecnicamente plausibile prevede il rispetto della distanza minima di un chilometro tra il punto di controllo e il segnale di limite di velocità, ovvero da qualunque intersezione o immissione intermedia che ne richieda la ripetizione: per rallentare da 90 a 50 chilometri all’ora solo staccando lacceleratore bastano 270 metri”.

È necessario intervenire dal piano culturale caro a Dondé. “Nel nostro Paese la strada è considerata ancora proprietà dell’automobile, ovunque ci troviamo. Solo da noi i pedoni ringraziano quando attraversano sulle strisce pedonali“. Non sono battute, è da lì che si riparte. “Il modello europeo che si è affermato -prosegue l’architetto- è quello delle ‘città 30’, con la viabilità principale limitata a 50 chilometri all’ora in poche strade e sicure, e tutto il resto con zone 30 o 20, come Vienna e Bruxelles”. La “Zona 30”, come abbiamo scritto tante volte, ribalta infatti il concetto. La strada torna a essere delle persone perché l’auto, come ricorda Dondé, “passa solo se passa piano”. “In questo modo si guadagna spazio per le altre funzioni che nello scenario post Covid-19 si stanno evidenziando con maggior forza: dalla fruizione dei marciapiedi al verde urbano fino allo spazio pubblico per gli esercizi commerciali”.

È da questo che nasce l’appello rilanciato dalla Fondazione Michele Scarponi. “Il maggior disincentivo alla mobilità attiva -spiega Dondé- è l’insicurezza stradale. Senza la sicurezza non si può fare ciclabilità. Quale genitore si fiderà a lasciar andare il figlio in bicicletta a scuola se le auto corrono ancora a 80, 90 all’ora in città?”.

Incentivare la mobilità attiva non si ottiene schioccando le dita e questo Dondé lo ricorda con una punta di amarezza. “In Olanda hanno iniziato a progettare i quartieri dove si abbandona il linguaggio dell’automobile e la strada diventa un salotto nel 1969. Son partiti da lì per ottenere la ciclabilità di oggi”. Il discorso pubblico sulla sicurezza stradale in Italia è invece inchiodato. “Anche le associazioni di ciclisti lo affrontano poco”, si lamenta Dondé. “Troppe volte parliamo dell’infrastruttura quando  il tema più importante è la sicurezza. E nel nuovo ‘Decreto rilancio’ si parla meritoriamente di case avanzate, bande ciclabili ma il tema della sicurezza non c’è”.

Sicurezza che presuppone controlli di velocità, la principale causa di incidentalità. “Secondo la normativa le postazioni fisse non possono essere previste sulle normalistrade urbane, dove tuttavia normalmentesi registra la metà dei morti in incidenti stradali”. A Milano ad esempio i dispositivi di controllo si trovano “sulle grosse strade che entrano nella città, dove l’incidentalità è tra le auto. Ma non è lì che vengono investiti pedoni e ciclisti. Il controllo andrebbe diffuso in tutta la città”, continua Dondé.

Il ministero delle Infrastrutture sostiene di non poterlo fare per il “rischio tamponamento” da autovelox collocati in città. L’opinione diffusa vuole infatti che l’automobilista intimidito dal cartello freni di colpo, con carambola a seguire. Dondé sorride: “Ce lo dicono da sempre ma non hanno mai fatto vedere un numero che lo dimostri. In Olanda è stato evidenziato con ricerche sul campo che a fronte di un aumento trascurabile dell’incidentalità tra le auto, quel tipo di intervento comporta un aumento esponenziale della sicurezza stradale”. Peraltro Francia e Germania hanno persino smesso di segnalare la presenza dei controlli. “Se non rispetti i limiti paghi -afferma Dondé-, togliendoti i cartelli ti tolgo anche la scusa del tamponamento”.

Ad affermarsi però non fatica solo quella che l’architetto chiama la “democrazia dello spazio pubblico” ma anche la trasparenza nei dati sull’incidentalità. A Berlino -che ha tre volte gli abitanti di Milano e meno della metà degli incidenti- i dati sui sinistri stradali sono pubblicati mensilmente e aggiornati per ogni tratto, come in tutta la Germania. In Italia è materiale raro. “Sarebbe importante pubblicarli invece per mostrare l’utilità di certi interventi e di certi controlli”. Sono i controlli il punto di partenza, più volte dileggiato anche dai media. “Quante volte abbiamo letto titoli tipo ‘Il Comune fa cassa’ o ‘Le strade d’oro’? In realtà si sta chiedendo solo di rispettare una regola. La base della democrazia”. Lo strumento ridicolizzato dei controlli è in realtà prezioso due volte: oltre a prevenire permette infatti di raccogliere le risorse necessarie per realizzare interventi di moderazione del traffico e di sicurezza stradale.

Ma il consenso dei cittadini è fondamentale, riconosce Dondé. E la pandemia ha prodotto un’ottima occasione per “riempire il gap che ci distanzia in maniera abissale dal resto d’Europa”. Si riferisce all’aumento delle persone in bicicletta, nei parchi, negli spazi pubblici. “A Parigi la sindaca Anne Hidalgo, confermata all’inizio dell’emergenza Covid-19, sta puntando in maniera impressionante su questi temi. Ha cambiato volto alla città ed è stata rieletta. Significa che le persone sono pronte. Bisogna solo comunicare bene, non puntando tanto e solo sulla ciclabilità quanto sulla riqualificazione dei quartieri, restituendo spazio e dignità alla persona, alla sicurezza, all’inclusività”.

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