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Economia / Opinioni

Stipendi bassi e gettito sulle spalle del 17% dei contribuenti. Così si è spezzato il welfare

© Joshua Hoehne - Unsplash

Oltre sei milioni di lavoratori in Italia guadagnano meno di 15mila euro lordi. Mentre il carico fiscale è pagato da meno di un quinto dei contribuenti. Un sistema così non può reggere e lo Stato sociale è destinato a scomparire, tanto più se aumentiamo ancora la spesa per interessi sul debito e per il riarmo. Che cosa fare per cambiare rotta? L’analisi di Alessandro Volpi

In Italia ci sono quasi 11 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 25mila euro lordi all’anno, pari a quasi il 63% del totale della forza lavoro occupata, e, di questi, 6,2 milioni non arrivano a 15mila euro lordi. È evidente che se l’inflazione sale, anche di poco, e se i servizi di carattere universale si riducono, per questa ampia fascia di popolazione la povertà è la condizione esistenziale.

Le cause principali che stanno alla base di queste retribuzioni sono le tipologie contrattuali, in particolare la loro infinita moltiplicazione e la proliferazione dei contratti a termine. È un tema politico decisivo che un giorno, forse, smetteremo di affrontare con il feticcio della produttività, autentico mantra dei liberal di ogni specie e vera giustificazione del trasferimento costante di reddito dal lavoro ai profitti e ai dividendi. Un dato che dovrebbe costituire una vera priorità politica.  

Ma c’è un altro dato che mette in evidenza, in maniera altrettanto eloquente, la difficoltà della situazione italiana. Nel nostro Paese, l’intero carico fiscale è pagato dal 17% dei contribuenti, individuabili soprattutto nella fascia di reddito, da lavoro dipendente, compreso tra i 35mila e i 55mila euro lordi. È chiaro che un sistema così non può reggere e che lo Stato sociale è destinato a scomparire, tanto più se aumentiamo ancora la spesa per interessi sul debito e per il riarmo.

È prioritaria una grande riforma fiscale in grado di tassare la rendita finanziaria e le piattaforme digitali, di eliminare le flat-tax che beneficiano rendite e redditi molto alti, di introdurre regole strutturali per determinare una imposizione sugli extra profitti. Dovrebbe essere altrettanto ovvio che non è più praticabile la continua erosione di gettito generata dai condoni, all’elusione e dall’evasione. Il 17% che paga le imposte del 100% dei contribuenti è una follia, a cui si deve aggiungere, appunto, il mancato gettito di tutti coloro che non figurano tra i contribuenti perché invisibili al fisco.

Si tratta di un quadro decisamente duro per chi non appartiene alle fasce più alte di reddito come dimostrano, del resto i dati generali europei. Secondo i dati forniti dalla Commissione europea, infatti, le economie degli Stati membri non crescono: il Prodotto interno loro (Pil) reale salirà dell’1,1% nell’Ue e dello 0,9% nell’Eurozona quest’anno, per arrivare, rispettivamente all’1,5% e all’1,4% nel 2026.  

Dunque, non ci saranno effetti veri, provenienti dagli investimenti pubblici, peraltro tutti piegati verso il riarmo, mentre peserà l’incertezza dei dazi. Risulta significativo, nel merito, che l’area dell’euro faccia peggio del resto dell’Europa a dimostrazione del pessimo uso della moneta unica. L’Italia, al di là dei proclami, cresce meno della media europea, registrando lo 0,7% quest’anno e lo 0,9% il prossimo: una crescita inferiore a quella tedesca, che sarà dell’1,1% e di larga parte dell’Europa, e legata quasi solo al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).  

Il dato rilevante in termini politici e sociali, infatti, è un altro. Mancano i consumi interni, contratti dall’impoverimento delle retribuzioni e dall’esigenza di aumentare il risparmio. Nel nostro Paese l’aumento del risparmio è “forzato” dalla necessità di avere risorse disponibili in caso di necessità data la sempre più evidente ritirata del welfare. In altre parole, una quota rilevante del reddito italiano delle fasce medio basse della popolazione viene sottratto necessariamente ai consumi, con un peggioramento della qualità della vita, perché la riduzione delle coperture sanitarie e previdenziali pubbliche obbliga, chi lo può fare, a risparmiare. In tal modo crescono in maniera drammatica le disuguaglianze. 

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)

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