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Opinioni

Stabilità 2016, una colossale partita di giro

L’ammontare reale della legge presentata dal governo la settimana scorsa si aggira intorno ai 14 miliardi di euro; i 16 miliardi che permetterebbero una manovra nominale di trenta dipendono dal giudizio della Commissione europea. Il taglio fiscale sulla prima casa rappresenta la principale, e forse unica, scommessa. Numerose le copertura "in prospettiva", che non paiono esistere. Il commento di Alessandro Volpi

C’è una nota molto assurda nella legge di stabilità varata dal Consiglio dei ministri, ed è forse la prova più lampante dei limiti delle politiche di bilancio imposte dall’Europa: nell’insieme infatti la manovra assomma a 27-30 miliardi, una forbice che dipende dalla possibilità o meno per il governo italiano di ottenere dalla Commissione europea uno “sconto” dello 0,2% del Pil, circa 3 miliardi, rispetto ai vincoli previsti per riportare il rapporto tra deficit e Pil vicino allo zero. In altre parole, non esiste ancora un’unica cifra complessiva della manovra per il 2016, in quanto è necessario attendere il responso della stessa Commissione a cui l’Italia ha spedito i propri conti perché venissero preventivamente esaminati.
Ma l’aspetto ancora più cervellotico è un altro: il nostro Paese dovrebbe deliberare aumenti del carico fiscale, tra Iva e accise, pari nel 2016 a circa 17 miliardi di euro, nel caso in cui non rispettasse i già ricordati vincoli imposti dall’Europa. Per scongiurare tale, insostenibile, rischio, il governo Renzi ha deciso di utilizzare poco più di 13 miliardi di euro, derivanti dalla differenza fra l’1,4% nel rapporto deficit-Pil, che rappresenta il limite fissato dai trattati europei, e il 2,2% che il medesimo governo ritiene “più giusto” dato lo sforzo sostenuto nel percorso di risanamento.

Se si sommano i due dati qui citati, e dunque il rapporto tra deficit e Pil salisse al 2,4, con il consenso della Commissione, ben 16 dei 17 miliardi necessari per evitare che scattino le ricordate clausole di salvaguardia deriverebbero dal mero allentamento dei parametri europei.
Per essere ancora più chiari, su una manovra nominale di 30 miliardi, 16 sono una colossale partita di giro dettata dalle strampalate regole europee. Per di più dal giudizio della Commissione europea discende la possibilità di realizzare questa stessa partita di giro, che con l’economia reale davvero non ha nessuna relazione.
Dunque l’ammontare reale della legge di stabilità, al netto degli astratti “europeismi”, si aggira intorno ai 14 miliardi di euro, una cifra decisamente più modesta, in gran parte destinata  a finanziare il taglio fiscale sulla prima casa, che costituisce la principale, e forse unica, scommessa della manovra. Una parte di questa cifra dovrebbe trovare le proprie coperture in una spending review drasticamente ridotta a poco meno di 6 miliardi, che rappresentano peraltro la più certa delle risorse a cui si unisce la riduzione della de-contribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato.

Più incerti sono invece i 3,1 miliardi derivanti dalla generica dizione “ulteriori efficientamenti” e i circa 2 miliardi che dovrebbero provenire dal rientro volontario dei capitali dall’estero, una misura ovviamente una tantum. In questo senso, la legge di Stabilità 2016 rappresenta una sorta di manifesto della fine del rigore da un duplice punto di vista. Da un lato, infatti, si procede alla sterilizzazione dell’effetto dei vincoli europei attingendo a piene mani alle rimodulazione degli impegni già assunti in materia di riduzione del deficit, mentre dall’altro si utilizzano numerose coperture “in prospettiva”, che non paiono esistere nel momento in cui la legge viene disegnata e spedita in Europa.
La dimostrazione ancora più evidente di una simile impostazione emerge dai numeri del bilancio pluriennale che contengono tutte le clausole di salvaguardia imposte dai più volte citati vincoli europei e che non sono, al momento, in alcun modo rimovibili; l’impressione è, in sintesi, quella di una manovra che procede con una rotta descritta per il brevissimo periodo e che si affida alla forza della stabilità politica piuttosto che a quella delle cifre. Del resto, qualora la scelta fosse quella di costruire una manovra con le risorse reali, sarebbe davvero inevitabile dichiarare che la crisi è tutt’altro che finita. Appare dunque doveroso aggiungere un aggettivo molto esplicito al documento fondamentale in materia di finanza per il 2016, qualificandolo come “legge di Stabilità politica”; solo così risulta possibile comprendere la sua vera natura.

* Alessandro Volpi, Università di Pisa

 

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