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Economia

Speculazione sul cibo: avanti molto, troppo piano

Tanto l’Unione europea quanto gli Stati Uniti stanno discutendo in questi giorni di come limitare la speculazione su cibo e materie prime.

Tanto l’Unione europea quanto gli Stati Uniti stanno discutendo in questi giorni di come limitare la speculazione su cibo e materie prime. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, visto che da anni reti e organizzazioni della società civile denunciano come le scommesse della finanza-casinò falsino pesantemente i mercati e facciano salire i prezzi del cibo, con impatti devastanti in particolare sui più poveri del pianeta.

La Commissione europea ha presentato nei giorni scorsi una proposta di regolamentazione dei mercati finanziari (la Markets in Financial Instruments Directive o MiFID II) che dovrebbe frenare la speculazione sul cibo. Il condizionale è d’obbligo, visti i molti dubbi sollevati. Secondo le organizzazioni che seguono queste tematiche, la bozza della Commissione aprirebbe a troppe esenzioni. Uno dei punti centrali riguarda la necessità di mettere dei limiti al numero di contratti derivati che un singolo operatore può detenere su ogni materia prima (position limits). Nella proposta europea sembra passare il principio per cui il limite va inteso per ogni gestore, non per la banca nel suo insieme. Così, una singola banca che controlla una decina di società che operano sui mercati finanziari di fatto non avrebbe nessun limite da rispettare.

Ancora, la bozza lascia ampio margine agli Stati membri per adottare “accordi alternativi” a quelli fissati dalla Commissione. Un ulteriore margine di incertezza verrà poi dalla traslazione dell’eventuale direttiva nelle normative nazionali. Il rischio maggiore è quello di avere ancora una volta 27 legislazioni nazionali invece di una normativa europea. In questo modo alcuni Stati tradurranno le norme in maniera più rigorosa, altri, e in particolare quelli che hanno più interesse ad attrarre i capitali speculativi, cercheranno ogni possibile interpretazione per ammorbidire le direttive.

Nel 2008, dopo la crisi dei mutui subprime, un’enorme liquidità è fuggita dai tradizionali mercati finanziari e si è riversata sull’oro, bene rifugio per eccellenza, e sulle altre materie prime e sul cibo, facendo schizzare i prezzi alle stelle. La conseguenza è stata di decine di milioni di persone in tutto il mondo malnutrite o sottonutrite. Da allora ci sono voluti tre anni per proporre una prima bozza di regolamentazione, e il risultato appare allo stesso tempo complicato e deludente.

Di fronte allo spettro di una nuova bolla del cibo e delle materie prime, l’approccio dovrebbe essere ribaltato. Non è possibile autorizzare qualunque prodotto finanziario, per quanto speculativo, per poi eventualmente e in tempi lunghissimi provare a fissare delle regole per limitarne gli impatti. Dovrebbero essere le istituzioni finanziarie a provare che i derivati o strumenti quali gli ETF o gli ETC hanno un qualche ruolo positivo o utile rispetto alla produzione e alla distribuzione del cibo. Come per i medicinali, l’onere della prova dovrebbe ricadere su chi propone questi strumenti prima di ricevere l’autorizzazione a immetterli sui mercati. L’attuale tentativo della Commissione europea appare al momento quello di fermare una valanga a mani nude, mentre gli squali della finanza continuano indisturbati a scommettere e guadagnare sul cibo e sulla fame dei più poveri.

 

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