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Speciale Hong Kong – Né sviluppo globale, né riduzione della povertà

Alla fine, come prevedibile, l’accordo al WTO e’ stato fatto, questa e’ la notizia: il WTO continua (anzi: torna, dati gli insuccessi precedenti) ad essere legittimato, pur nelle contestazioni e nell’impossibilita’ di esprimere accordi di qualita’ (il portavoce del WTO, Keith Rockwell, ha detto che alla fine “nessuno esprime grande soddisfazione”).

Cosi’ come continua ad essere legittimato il processo delle trattative multilaterali sul commercio internazionale che esso rappresenta. Questa e’ la versione ufficiale che leggerete sui media.

Giorgio Dal Fiume

Ma la sostanza e’ che ad essere legittimato e’ il potere contrattuale dei paesi forti e la politica di liberalizzazione che sostengono, e l’aspirazione di alcuni paesi emergenti (Brasile, India) ad approfittare della liberalizzazione abbandonando ogni bandiera “internazionalista”. Mentre continuano ad essere mortificati i paesi che la globalizzazione la subiscono, la consapevolezza dell’iniquita’ degli scambi internazionali e delle vittime (concrete) che produce, una politica di sviluppo globale che persegua davvero la lotta alla poverta’.

In breve i principali contenuti dell’accordo: impegno all’eliminazione dei sussidi all’agricoltura del Nord entro il 2013 (con possibilita’ di mantenerne attiva una quota sostanziale fino all’ultimo momento); applicazione regole WTO ai prodotti industriali e ai “servizi”, i cui negoziati specifici dovranno aprirsi nel febbraio 2006, e concludersi in ottobre (tempi brevissimi, confrontati con gli impegni pluriennali che riguardano il Nord, dopo i quali – se vanno in porto – il Sud del mondo dovra’ aprire i propri servizi – educazione, sanita’, acqua – agli investimenti del Nord); libero accesso ai mercati del Nord dei 50 paesi piu’ poveri (ma nessun paese africano potra’ vendere per esempio il cotone a UE e USA, dato che esso, causa i sussidi, costa di piu’ di quello prodotto al Nord); possibilita’ per i paesi del Nord di “proteggersi” dai prodotti del Sud per oltre il 3% delle importazioni (per gli Usa significa 420 prodotti, per il Giappone 400); clausole di salvaguardia (pero’ da specificare in futuro) per prodotti di “particolare importanza” per i paesi poveri; riconoscimento dell’importanza della questione cotone, anch’essa da regolare nel futuro, rispetto alla quale gli Usa si “impegnano a fare gli sforzi necessari… finalizzati alla riduzione dei sussidi…” (l’accordo prevede la “totale eliminazione entro il 2006 dei sussidi all’esportazione”, ma negli USA solo 250 milioni di $ su oltre 4.200 sono riconosciuti come “export subsidies”, essendo gli altri “sussidi interni”, che permangono); la questione “liberalizza prima tu sull’agricoltura! No per favore prima tu sui servizi…” e’ stata risolta agganciando l’applicazione degli accordi su industria e servizi all’effettivo tasso di riduzione di sussidi e dazi sull’agricoltura.

Per bene interpretare i contenuti dell’accordo occorre leggerli in chiave politica, tenendo conto che sui punti principali su lotta alla poverta’ e sviluppo (agricoltura, questione cruciale della conferenza, e cotone) promesse simili ed “impegni futuri” erano gia’ stati presi due anni fa. L’attuale accordo costituisce questo: una ciambella di salvataggio per il WTO e la condizione di “scambio ineguale” e di “doppio regime” strutturale (tra Nord e Sud del mondo) che esso rappresenta.

Gli ultimi giorni hanno dimostrato che questo era l’obiettivo, ed i veri contenuti delle trattative sono stati – alla faccia della farsa del porsi come paladini dello sviluppo di tutti i paesi membri – la tutela degli interessi nazionali, senza alcun collegamento con la sostanza delle parole maggiormente spese ad Hong Kong e quando si parla di WTO: sviluppo, progresso, riduzione della poverta’.

Nulla di tutto cio’ ha guidato le trattative, lo dimostra il fatto che l’UE ha condotto la sua strategia non cedendo fino all’ultimo il pezzo forte del suo patrimonio: la data entro la quale smantellare la propria politica agricola di sussidi e barriere doganali (punto principale di tutta la Conferenza), cercando di ottenere il massimo di altre concessioni su prodotti industriali e servizi. Indifferente al fatto che la propria politica protezionistica (come quella degli USA) comporta la distruzione delle economie dei paesi poveri, e la fame per milioni di contadini in tutto il mondo. Di fronte a tale constatazione la risposta e’: “L’Europa e’ l’area mondiale piu’ aperta agli scambi internazionali, che piu’ importa prodotti agricoli dal Sud del mondo, oltre non possiamo fare” (cosi’ il viceministro Alfonso D’Urso, ieri). La beneficenza dell’aumento degli aiuti allo sviluppo (le cui cifre e condizioni sono da verificare) costituiscono la foglia di fico di fronte all’opinione pubblica (tramite media spesso addomesticati e non competenti), e la presunta dimostrazione del proprio impegno.

Peccato che le richieste dei paesi poveri (e della societa’ civile) non siano state ascoltate, e che la “risoluzione dei propri peccati” sia stata evitata (cotone per gli Usa) o rimandata (agricoltura per l’UE). E peccato (diciamo noi) che cio’ non abbia prodotto – come a Seattle e Cancun – la rottura delle trattative. Per molti paesi deboli (per esempio quelli africani produttori di cotone, contestati dai rispettivi sindacati e associazioni) il motivo sta nella responsabilita’ che cio’ comporterebbe, e nelle forti pressioni subite: o accetti queste “dichiarazioni di intenti”, o nel futuro non ci sara’ neanche la possibilita’ di regolare gli scambi (e quindi l’impegno del Nord a ridurre i sussidi) e noi faremo ancor piu’ quello che ci pare. Problema vero, ma che l’unita’ strategica tra i paesi del Sud avrebbe potuto contrastare.

Ma tale unita’ non esiste, nonostante i passi avanti fatti durante questa Conferenza, e questo costituisce il secondo grande motivo che ha portato alla firma dell’accordo. Anche tra loro (ovviamente) prevale l’interesse nazionale, e la volonta’ di sfruttare il WTO ed il processo di liberalizzazione per imporre i propri prodotti e servizi su scala regionale e in prospettiva in tutto il mondo. E cosi’ la propoganda e le reticenze del WTO fanno comodo a tutti quelli che hanno un qualche privilegio da difendere, mentre chi invece lotta per uscire dall’oppressione economica e l’equita’ e’ costretto ad accettare impegni futuri (lo smantellamento dei sussidi agricoli del Nord appare  talmente lontano da chiedersi se avverra’ effettivamente). Il risultato e’ che nessuno si occupa dei problemi sovranazionali, che la retorica dello sviluppo viene utilizzata a tutte le latitudini, e che il multilateralismo del WTO altro non e’ che il punto d’equilibrio tra gli interessi nazionali.

La novita’ e’ che in questo equilibrio ora contano anche paesi come India e Brasile (che lo hanno esplicitamente rivendicato nelle loro ultime conferenze stampa), i G20 o G33 (Argentina, Messico, Indonesia, Tanzania, Zimbabwe, Australia…), e le loro aspirazioni commercialmente espansionistiche. In tale contesto l’alleanza con i G90 (i paesi piu’ poveri) e’ pura retorica, ed i piccoli/deboli sono schiacciati dal peso del Nord e dal “tradimento” degli “emergenti”. Nessun internazionalismo al WTO, nessun paese (tranne Cuba e Venezuela, che al momento del voto finale – un minuto in tutto! – hanno almeno presentato lettere di “riserva” su alcuni contenuti dell’accordo – servizi, agricoltura, prodotti industriali – riservandosi il diritto di dissentire) ha fatto di un qualche “valore” una propria ragione. Non e’ stata colta l’occasione, teoricamente a portata di mano: un non accordo avrebbe generato un cambiamento nella geopolitica mondiale, avrebbe offerto l’opportunita’ di percorsi/contenuti alternativi.

Questo e’ un punto politico cruciale nella volonta’ dei “forti” di giungere ad un accordo comunque, e a difendere lo spazio negoziale del WTO: nell’attuale globalizzazione il WTO costituisce l’unico luogo ove discutere e impostare le politiche internazionali, cui nessun altro potere o istituzione e’ in grado di porre limiti o alternative reali. La sigla dell’accordo del WTO quindi rappresenta la vittoria del “pensiero unico” neoliberale, nonche’ il sigillo di una politica internazionale pianificata nei palazzi ove l’aspetto economico subordina a se’ stesso, ed ai relativi interessi nazionali, qualunque processo politico, e qualunque vera multilateralita’ (che e’ invece il principio costitutivo di una Onu sempre piu’ marginale, ancor piu’ con un WTO forte). Tra le Ong presenti, tutte comprese, e immaginiamo tra i manifestanti fuori dalla Conferenza del WTO, lo sconforto (pur aspettandosi poco) e’ totale, non solo causa i contenuti dell’accordo ed i devastanti effetti che avranno sui poveri, ma soprattutto per la constatazione della mancanza di attenzione ai problemi globali quali poverta e fame, e di un qualsiasi soggetto nazionale (con le eccezioni citate) in grado di uscire dal proprio interesse immediato, assumendo una visione sovranazionale. E per la constatazione della loro (nostra) inefficacia e sconfitta.

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