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Speciale Hong Kong – L’illusione e l’inganno

Kofi Annan, Segretario Generale dell’Onu, ha portato i suoi saluti chiedendo che i lavori del WTO “siano orientati dal risolvere i problemi dei paesi poveri”. Ad ascoltare le dichiarazioni dei rappresentanti di UE e USA verrà senz’altro esaudito. Nel loro incontro con la stampa i viceministri D’Urso e Scarpa Bonazza hanno evidenziato come ci siano le condizioni per chiudere un  ottimo accordo: modifica dei trattati sui farmaci, impegno a progressivamente eliminare i sussidi all’agricoltura, un ricco “pacchetto per lo sviluppo” per i paesi poveri del mondo…

Giorgio Dal Fiume

(l’elenco di tutte le news dello “Speciale Hong Kong” è qui)

Gli Stati Uniti rispondono che la loro proposta sulle politiche agricole è la migliore che sia mai stata fatta. Entrare nel merito delle singole proposte, e soprattutto valutarne l’impatto concreto, è veramente difficile. Per esempio: la modifica relativa all’accesso ai farmaci (deroga al 2016 per i paesi più poveri al rispetto dei brevetti delle industrie farmaceutiche, producendo/acquistando in proprio farmaci generici) per i paesi del Sud del mondo costituisce un inganno, perché include ora negli accordi del WTO delle proposte fatte ed operative dal 2003, che non hanno prodotto alcun beneficio reale alle popolazioni (malati di Aids in particolare), in quanto questi paesi non sono in grado di produrre o comprare farmaci.

Più facile è invece cogliere l’approccio sostanziale che emerge nel WTO dalla lettura da altri aspetti: alle richieste di numerosi paesi africani di abolire il sostegno all’agricoltura (in particolare cotone) del Nord del pianeta che rovina le loro produzioni agricole, si risponde con impegni futuri che si ripetono da anni; mentre allo stesso tempo la richiesta di liberalizzare le loro economie (privatizzazione beni e servizi, azzeramento politiche di protezione delle economie nazionali) è immediata e concreta, e preliminare a qualsiasi accordo complessivo. Questa condizione da “doppio regime” (voi liberalizzate le vostre economie oggi, che noi modificheremo le nostre politiche domani…) è ben rappresentata dalle dichiarazioni che accompagnano gli impegni sul futuro del WTO: all’Unione Europea che rivendica di essere la prima importatrice di prodotti agricoli dal Sud del mondo, e quindi di non avere nulla più da concedere, rispondono gli Stati Uniti rivendicando che gli eccessi della propria produzione agricola causati dai propri sussidi statali sono regalati ai paesi in emergenza alimentare, che sono quasi raddoppiate le risorse pubbliche per gli aiuti allo sviluppo, e che loro sono il primo paese donatore per aiuti allo ed emergenze umanitarie, oltre che il primo paese al  mondo per donazioni private….

Insomma: se è pur vero che con le nostre politiche agricole roviniamo l’economia del Sud del mondo, facciamo comunque molta beneficenza, e siamo vicini alle popolazioni cui impediamo di fatto di commercializzare i loro prodotti ed obblighiamo ad importare i nostri. Per cogliere appieno l’inganno sotteso alla ritualità delle dichiarazioni e dello sbandierato impegno a risolvere la povertà  mondiale, occorre andare alla radice del “problema WTO”: l’illusione che sarà il libero mercato a risolvere i problemi di povertà, e che lo sviluppo dei paesi poveri e marginali dipenda dall’accesso al mercato dei loro prodotti. Ecco che di fatto – e tale approccio è incluso anche nelle dichiarazioni di Kofi Annan, condividente la stessa ideologia del “libero mercato come soluzione” – la condizione di fame e sottosviluppo diviene occasione per espandere a livello globale la teologia del neoliberismo, e l’ideologia che la libera circolazione delle merci è la leva principale del progresso mondiale. In questo teorema, chi non ha niente da scambiare nel mercato globale, non esiste, o è condannato alla sussistenza ed alla beneficenza (vedi appunto l’Africa).

Non importa che il 90% della produzione agricola mondiale sia o consumata o scambiata a livello locale: le regole del WTO e dello “sviluppo” impongono che tutta la produzione agricola mondiale venga “normata” da regole funzionali alle esportazioni Sud-Nord. Non importa che ogni sviluppo nazionale abbia alla base delle politiche pubbliche di sostegno alle proprie produzioni e di controllo dei mercati: per il WTO la fine della povertà è demandata soprattutto all’abbandono di qualsiasi politica pubblica, in favore dell’accesso al libero mercato come unico “regolatore”. E’ questa la logica che anche noi del commercio equo e solidale dobbiamo contrastare, onde evitare di essere noi stessi vittima di un pensiero che consideri lo sviluppo globale come derivante unicamente dall’accesso ai mercati, seppur a condizioni eque e di produttori marginali, e di una crescita infinita. Occorre ricordare, e ricordarci, che la protezione dei beni comuni (acqua, servizi pubblici, produzioni culturali…) e la sovranità alimentare (anche proteggendo le proprie economie interne dal mercato internazionale) sono necessariamente parte di qualsiasi politica di sviluppo, e di riduzione della povertà. E che l’accesso ai farmaci essenziali è un “diritto umano” che non può essere limitato dalla tutela del diritto privato al rispetto dei brevetti, e che occorre restituire all’Organizzazione Mondiale della Sanità la competenza ed il potere riguardanti la definizione delle politiche sanitarie globali. Non sempre tale consapevolezza appare visibile, o condivisa, all’interno del nostro movimento.

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