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Speciale Hong Kong – Il filo spezzato del cotone

A vedere il volto di Kamal Nath, ministro del Commercio indiano, o quello di Celso Amorim, ministro degli esteri   brasiliano sembra la giornata delle grandi occasioni. Seduti in una conferenza stampa affollatissima assieme agli altri paesi del G20 e del G33, la soddisfazione per aver raggiunto un accordo alla Wto e’ palpabile. Sembrano passati secoli quando, il 13 dicembre scorso, solo cinque giorni prima sia Amorim che Nath avevano dichiarato alla sessione pubblica sul cotone che  avrebbero appoggiato incondizionatamente le richieste del G90 ed in   particolare dei paesi africani che chiedevano una risoluzione chiara e definitiva sul cotone.

Alberto Zoratti – Tradewatch

Monica Di Sisto – Fair/Tradewatch

Dopo due anni, tante parole ed una condanna degli Stati Uniti al Tribunale della Wto, il minimo che si sarebbe   potuto fare era proprio mettere mano ad una delle questioni maggiormente disastrose sul mercato globale, che coinvolge oltre quindici milioni di produttori solamente nell’Africa Subsahariana.

Una cosa e’ certa. Esattamente come Montagne Verdi di Marcella Bella nei mitici “Sixties” anche il cotone sta  velocemente salendo le classifiche dei punti elencati nella dichiarazione ministeriale della Wto. Dal punto 27 della bozza Derbez di Cancun, mai, fortunatamente, approvata, al punto 11 della dichiarazione di Hong Kong.

Ma aldila’ del “rank”, il senso e la sostanza sono assolutamente impalpabili. Nessuna data, se non un generico impegno a eliminare tutte le forme di sussidi all’esportazione al cotone dei Paesi sviluppati entro il 2006 ed un generico impegno ad aprire i proprio mercato alla fibra grezza. Ma soprattutto una bella parentesi quadra laddova si parli di riduzione se non eliminazione dei sussidi interni distorsivi, proprio quelli utilizzati da Washington per  sovvenzionare i propri 27mila agricoltori di cotone (denaro che va per la grande maggioranza alle aziende  dell’agrobusinness). Un impegno ancora da discutere quindi un non impegno.

Gli Stati Uniti ed il suo ambasciatore Portman, superstar di questa ministeriale, riescono ad imporre cio’ che da anni i Paesi del Sud vogliono eliminare. Wto, il luogo del multilateralismo e dello sviluppo e’ servito.

I paesi africani, in particolare i piccoli produttori, sono stati l’agnello sacrificale di una Conferenza

  Ministeriale che dalle parole del Ministro indiano ha dato un sostanziale contributo per portare al termine entro la data prefissata il Doha Development Round. E se consideriamo che addirittura il capitolo servizi e’ passato ci  rendiamo conto come l’entrata di India e Brasile nel club degli amici gia’ da Ginevra 2004 abbia dato un colpo  ferale alle velleita’ di blocco unitario del G20, che proprio per questo in conferenza stampa non ha perso occasione  di sottolineare piu’ e piu’ volte che il blocco del Paesi in via di Sviluppo e’ coeso e ben coordinato.

E quindi, sul cotone nuovamente nulla di fatto.

I produttori africani, arrivati ad Hong Kong con una delegazione piuttosto nutrita, prendono una posizione molto  dura sottolineando in una nota come “i Paesi Membri non siano stati in grado di dare una risposta concreta e  coerente agli impegni assunti a Doha” in particolare per cio’ che riguardai sussidi domestici.

Tradewatch promotore della Campagna “La Via del Cotone”, in una nota diffusa da Hong Kong sottolinea come il testo finale della Ministeriale della Wto di Hong Kong sia un vero e proprio insulto ai Paesi più poveri del pianeta, che  invece di portare a casa dei progressi sullo sviluppo dovranno far frontea sacrifici ancora più duri degli attuali.

La Wto di Hong Kong si e’ dimostrata ancora una volta un’organizzazione “businness-oriented”, dove il gioco dei grandi interessi (agroalimentari e dei servizi) hanno saputo orientare le decisioni ed i negoziati. Brasile, India, Cina hanno trovato il loro posto al sole. Ma la loro grandezza rischia di fare ombra ai milioni di piccoli contadini africani che dopo le dichiarazioni retoriche dei primi giorni si aspettavno risposte concrete.

Chissa’. Forse l’unica risposta concreta sara’ potersi trovare le proprie banche rurali acquistate da un grande gruppo estero o la gestione delle risorse idriche gestite da qualche grande azienda europea.

Sempre concretezza e’, dopotutto. Bisogna capire a vantaggio di chi.

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