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Spagna, il conto salato del giacimento Castor

L’impresa spagnola ACS e la canadese Dundee Energy abbandonano Escal UGS, il consorzio che avrebbe dovuto realizzare il maxi insediamento di gas off-shore al largo della costa di Valencia. A "compensare" il conto, il governo iberico, che ha preferito rassicurare i mercati e la Banca europea degli investimenti sulla realizzazione del sito piuttosto che dare ascolto all’Istituto Geografico Nazionale e alle proteste dei comitati

Venerdì 27 giugno è giunta la notizia che in molti temevano da mesi. Escal UGS, il consorzio che doveva costruire il deposito di gas offshore Castor al largo della costa di Valencia in Spagna, è oramai un guscio vuoto.  La società spagnola ACS e la canadese Dundee Energy hanno abbandonato la barca prima che affondasse, comunicando che avrebbero lasciato il consorzio. Alla presa di posizione delle aziende ha fatto seguito la dichiarazione del ministro delle Infrastrutture spagnolo, José Manuel Soria, in cui si legge che “il governo non ha altra possibilità se non compensare la Escal UGS”.
 
Dopo mesi di testa a testa con l’esecutivo di Madrid e un caso aperto alla Corte Suprema su spinta dello stesso Soria, alla fine il governo si è piegato di fronte ai mercati e alle clausole di un contratto capestro firmato non solo con le società, ma anche con la Banca europea degli investimenti.
 
Dallo scorso ottobre il terreno di battaglia verteva attorno all’annullamento dell’articolo 14 della concessione, che obbliga Madrid ad acquisire le equity del progetto nel caso lo stesso non divenga operativo entro la scadenza del 30 novembre prossimo, per cause non imputabili alle aziende. In parole semplici, forza la Spagna a ripagare l’investimento alle società private e a farsi carico di ripagare i debitori del consorzio.
 
Ora, se i debitori fossero state delle banche, ad esempio la spagnola Santander, che per prima aveva finanziato Escal UGS nell’avventura di Castor già nel 2008, il governo avrebbe avuto un discreto margine per rinegoziare il pagamento. Ma dal luglio 2013, i debitori di Escal sono decine di fondi pensione, fondi di investimento, assicurazioni, istituti di credito e istituzioni finanziarie pubbliche che hanno acquistato i bond emessi dal consorzio con un rating molto alto definito dall’agenzia Fitch (BBB+), permettendo a Escal di rientrare in pochi giorni di oltre 1,7 miliardi di risorse fresche e di non avere nessun debito a bilancio.
 
Un’operazione che fino a poco tempo fa la Banca europea degli investimenti -che ha investito nella stessa circa 500 milioni di euro in risorse pubbliche proprio per alzare il rating dei bond e permettere la vendita del debito sui mercati- ha definito “di grande successo”, lanciando il meccanismo dei Project bond europei come lo strumento che permetterà l’avvio della costruzione delle grandi opere “di interesse comune”.
 
Negli ultimi mesi però sono emersi diversi lati oscuri della storia. A partire dal rapporto ufficiale dell’Istituto Geografico Nazionale, che a maggio ha confermato che “i 540 terremoti avvenuti lo scorso anno sono stati indotti dalla iniezione di gas nel giacimento” (a opera del consorzio Escal), “portando alla luce l’esistenza di una faglia prima sconosciuta”. Il rapporto confermava così quanto sostenuto dai comitati locali, ovvero che la responsabilità è delle aziende. E che quindi il governo non averebbe dovuto pagare.
 
Oltre a questo, già nel 2013 la magistratura ha aperto un indagine sulla base di un altro rapporto, quello dell’Istituto nazionale di geologia, che mappava invece la faglia come esistente, aprendo quindi alla verifica di eventuali negligenze nella procedura di valutazione ambientale del progetto, in cui il rischio sismico non è stato considerato.
 
La questione per il governo iberico diventava quindi di delicatezza estrema: con i nuovi elementi emersi, non erano poche le possibilità di costringere le aziende a ripagare il debito, a fronte del danno causato con il proprio operato, e allo stesso tempo di andare a fondo sugli aspetti delle responsabilità. Per ACS, la principale azienda di costruzione spagnola, sarebbe stato un colpo durissimo, che avrebbe potuto mettere l’azienda fuori dal mercato. Non farlo avrebbe voluto dire scaricare i costi sui cittadini, mettendo il costo del flop di Castor in bolletta per i prossimi vent’anni.
 
A rompere gli indugi, ponendo il governo alle strette, è stata l’agenzia Fitch, con un comunicato uscito il 20 giugno, in cui affermava che “i bond emessi da Water Capital SA (Castor Gas Storage) per 1,4 miliardi erano stati declassati a ‘BB+’ e il loro rating incluso nel Rating Watch Negative”, il meccanismo dell’agenzia con cui vengono marcati i titoli ad andamento negativo. Un brutto colpo per il progetto, che rischiava di vedere svalutarsi i titoli, magari spingendo chi li ha acquistati a liberarsene il prima possibile, mandando così in fumo anche la credibilità della Banca europea degli investimenti e della stessa Commissione, che hanno promosso il rifinanziamento di Castor.
 
Il comunicato di Fitch continuava dicendo che la scelta di rivedere il rating riflette l’opinione di Fitch che “il livello di incertezza e l’assenza di un risultato visibile del progetto di stoccaggio del gas Castor non sono coerenti con il rating dell’investimento nei bond”. E segnalando la “crescente possibilità che le società escano dalla concessione nei prossimi due mesi” e che l’investimento della BEI nel progetto tramite l’iniziativa Project Bond Credit Enhancement (PBCE) “per quanto favorevole, non sia una garanzia sufficiente per i detentori dei bond”.
 
Detto e fatto: alla minaccia dei mercati, il governo spagnolo ha dovuto dichiarare che si sarebbe fatto carico di tutto, assicurando che la scadenza del 30 novembre sarebbe stata rispettata. Questa è l’unica certezza che i mercati vogliono: utili o inutili, pericolosi o non, i mega progetti che vengono finanziati devono essere ripagati, in un modo o nell’altro. E il conto come previsto è stato passato al governo spagnolo, che ha calato la testa in barba alle migliaia di persone che da anni dicono che Castor non si sarebbe mai dovuto fare.

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