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Altre Economie / Reportage

Sovranità alimentare e turismo responsabile: le nuove sfide di Cuba

Ancora oggi l’isola importa oltre il 60% del cibo che consuma, ma meno della metà delle terre fertili sono messe a coltura. C’è chi pratica un modello alternativo, scommettendo sulla produzione biologica. Con l’aiuto di Slow Food

Tratto da Altreconomia 208 — Ottobre 2018
I biodigestori della “Finca del Medio” di José Antonio Casimiro © Duccio Facchini

Nella baia de L’Avana è ormeggiata una nave da crociera MSC. La punta arriva a poche decine di metri dalla piazza centrale di San Francesco, splendida e assolata. Se lo si osserva dall’altra sponda del canale di ingresso, da dove s’innalza la statua de “El Cristo de La Habana”, il colosso sbiancato sembra poter radere al suolo la capitale di Cuba in un istante, avanzando fino alla cupola del “Capitolio” che è in ristrutturazione. È l’estate 2018 e i crocieristi scendono a grappoli e si buttano tra i vicoli della città vecchia tra la Plaza Vieja, la cattedrale, il Palacio de los capitanes generales, le basse case verdi, azzurre, rosa. Ogni spezzone ha una guida che fa strada agitando una paletta numerata. “Dallo scorso anno è stato autorizzato l’attracco di queste navi nella baia”, racconta David, 45 anni, mediatore che accompagna i gruppi di turismo responsabile di ViaggieMiraggi alla scoperta del Paese.

Secondo la Banca Mondiale, i turisti giunti nel 2016 nell’isola dei Caraibi popolata da 11,4 milioni di persone sono stati poco meno di 4 milioni. Oltre un terzo i canadesi, un quarto gli europei. In vent’anni la crescita degli arrivi turistici è stata impressionante: nel 1995, infatti, non superavano quota 750mila. Non è poco per un’economia travolta dal collasso dell’Unione Sovietica, a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta del Novecento. L’indicatore del commercio internazionale rispetto al Pil di Cuba, è sprofondato proprio in quel periodo, per riprendersi piano piano. E il turismo ha fatto da traino. La definitiva apertura al mercato statunitense potrebbe far esplodere ulteriormente il fenomeno: secondo un recente paper del Fondo monetario internazionale (marzo 2017), la liberalizzazione della tratta garantirebbe un inedito flusso compreso tra 3 e 3,5 milioni di viaggiatori dagli USA. Ragione per la quale tra i cantieri avviati nel centro della capitale, spicca quello dell’hotel di lusso “Prado Y Malecon” della catena francese “AccorHotels”: 218 camere affacciate sul lungomare, in fondo al Paseo de Martí e a due minuti dal Museo de la Revolución. L’impatto paesaggistico è massiccio.

Quella di ViaggieMiraggi è quindi una goccia in un oceano. David è nato a L’Avana e vive nel quartiere del Vedado. Far conoscere Cuba è la sua passione ma l’idea di “sviluppo” per l’isola che ha in testa è profondamente diversa dal modello turistico di massa. Ha a che fare con la vita dei cubani e con la loro sovranità alimentare. “Cuba oggi importa oltre il 60% del cibo che consuma”, spiega David, che in passato è stato ricercatore in biologia. Uno squilibrio commerciale che pesa per 2 miliardi di dollari ogni anno. Le esportazioni sono concentrate su tre voci: zucchero grezzo, tabacco arrotolato, liquori forti. Ma l’isola avrebbe terra fertile e coltivabile: secondo l’ultimo “anuario estadístico” dedicato all’agricoltura e all’allevamento, su 6,2 milioni di ettari agricoli (lo Stato è proprietario dell’80% della terra) quelli coltivati sono appena 2,7. Meno della metà. Le difficoltà in agricoltura si riflettono anche sull’allevamento degli animali. Altro caso emblematico è quello delle uova: 2,4 milioni quelle prodotte nel Paese nel 2016. Una quantità che difficilmente può far fronte alla razione mensile di cinque uova al mese per abitante.

È per questo che tra i progetti sostenuti da David e dai viaggiatori di VEM c’è anche quello dell’agricoltura biologica e del turismo rurale ecologico della famiglia Casimiro Rodríguez e della sua tenuta, la “Finca del Medio”. Si trova a Siguaney, municipalità di Taguasco, nella provincia centrale di Sancti Spíritus, a quattro ore di auto dalla capitale. Al chilometro 349 dell’autostrada (Autopista nacional) si lascia la macchina e ci si avvia a piedi per pochi minuti, nel verde, fino a raggiungere gli 11 ettari della tenuta. Leidy Casimiro Rodriguez ne riassume la biografia. “La Finca del Medio apparteneva all’ex tenuta Nueva, che iniziò ad essere sfruttata nel 1942 dai miei bisnonni paterni e fu utilizzata principalmente per la coltivazione del tabacco e l’autosufficienza familiare, attraverso l’uso di pratiche tradizionali fino al 1975”. Da allora, continua Leidy, si è “iniziato a ricorrere alle tecniche convenzionali basate sull’uso di prodotti tecnologici e input chimici”. A Cuba -dove la monocoltura di zucchero e tabacco ha condizionato profondamente l’attività agricola di tutto il Paese- era la regola. Basti pensare che nel biennio 1985/1986, gli ettari a zucchero erano 1,3 milioni.

José Antonio Casimiro, gestisce dal 1993 l’azienda agricola di famiglia senza l’uso di pesticidi o prodotti chimici © Duccio Facchini

Trent’anni dopo, 435mila. Con il risultato che oggi, senza l’alleato-acquirente sovietico, il Paese si ritrova con terre degradate e a rischio abbandono. Proprio come gli 11 ettari dei Casimiro, fino al 1993, quando José Antonio, padre di Leidy e “guida” della famiglia composta da nove membri, ha preso in mano la situazione e tratteggiato quello che Leidy chiama orgogliosamente il suo “disegno agroecologico”, liberato da input chimici. José Antonio ci accoglie all’ingresso della tenuta offrendo un bicchiere di guarapo, il dolcissimo succo della canna da zucchero. Barba ingrigita, maglia rossa e cappello in testa per ripararsi dal sole. È abituato alle visite. La sua tenuta è aperta ai viaggiatori di tutto il mondo da 17 anni. Nei loro “igloo” ha soggiornato anche Carlo Petrini, fondatore di Slow Food. La “Finca del Medio” è tra i “convivia” dell’associazione (presente nel Paese dal 2004) ed è un centro di sperimentazione che collabora con università cubane e non. Non ci si impiega troppo a capirne il motivo. Qui si producono cereali, ortaggi, carne, latte, miele, uova e conserve.

“Se nell’isola si sviluppassero 200mila aziende agricole come la nostra, il Paese avrebbe piena sovranità alimentare” – José Antonio Casimiro

I filari di alberi da frutto sono il colorato telaio: mango, guayaba, avocado, caffé, frutto della passione e tantissimi altri tipi. Si allevano mucche, conigli, polli, cavalli, api e maiali per l’approvvigionamento della famiglia. E si coltivano riso, fagioli, malanga, zucca, patata dolce, mais, yucca, quattro varietà di banane, sesamo, pomodori, cetrioli, spinaci, peperoni, lattuga, cavoli, barbabietola, porri, aglio e altro ancora. È un elenco raro e straordinario per il contesto agricolo di Cuba. “Se nell’isola si sviluppassero 200mila aziende agricole come la nostra -riflette a voce alta José Antonio, mentre assaggia una delicata frittura di tilapia- il Paese avrebbe piena sovranità alimentare”. E autosufficienza energetica: il 90% dell’energia di cui ha bisogno la famiglia è prodotta “in casa” tramite fonti rinnovabili.

“Per chiudere il ‘ciclo energetico’ abbiamo due mulini a vento, pompe idrauliche, collettori di acqua piovana, senza l’uso di energie convenzionali”, continua Leidy. All’aperto ci sono i serbatoi dei biodigestori con una capacità di produzione e consumo di 6 metri cubi di biogas che vengono utilizzati per cucinare, cuocere, riscaldare l’acqua e per la conversione in energia elettrica per la casa. Le eccedenze di latte, farine, marmellate, vini e dolci secchi vengono commercializzate. Il resto basta alla famiglia. A Cuba non esiste ancora una certificazione biologica, spiega Leidy, “anche se ci sono alcuni progetti che mirano alla certificazione basata su sistemi di garanzia partecipativa”.

Anche Slow Food è al lavoro nell’isola. Quest’anno ha lanciato il progetto dello “Slow Farm Network” per dare visibilità, supporto e certificazione alle realtà agroecologiche integrate come la “Finca del Medio” dei Casimiro Rodriguez. La prima a entrare nel circuito è stata la “Finca Vista Hermosa” di Guanabacoa, nei pressi de L’Avana, seguita dalla “Finca la China” di La Lisa, e l’“Organopónico Vívero Alamar” di Alamar.

“È come se ci trovassimo ancora nel ‘Periodo speciale’ degli anni Novanta -ha detto Aurelia Castellanos, project manager dell’iniziativa di Slow Food-. Allora non avevamo nulla e dovevamo ricominciare da zero. Ma l’importante è puntare sul modello agroecologico non solo per necessità. E quando le persone se ne rendono conto, come abbiamo visto nelle fattorie che abbiamo visitato, comprendono che non dobbiamo retrocedere rispetto a questo processo”. Ne è convinto anche David, mentre passeggia nel “suo” quartiere del Vedado. Sono sette anni che accompagna visitatori “responsabili” italiani ma nel nostro Paese non è ancora riuscito ad arrivare. Per dare l’idea di quel che potrà accadere in futuro nel Paese, conia un’espressione apparentemente sgrammaticata, che però è efficace: “Qui a Cuba c’è tanto spazio ancora per capitare”.

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