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Soldi armati – Ae 69

È stato un momento di confronto serrato il primo convegno nazionale della Campagna di pressione alle “banche armate” organizzato a Roma il 14 gennaio. A sei anni dall’inizio della Campagna si trattava, infatti, non solo di fare un bilancio dell’attività,…

Tratto da Altreconomia 69 — Febbraio 2006

È stato un momento di confronto serrato il primo convegno nazionale della Campagna di pressione alle “banche armate” organizzato a Roma il 14 gennaio.
A sei anni dall’inizio della Campagna si trattava, infatti, non solo di fare un bilancio dell’attività, ma di rispondere a numerose questioni -e anche a diversi attacchi- posti dai più autorevoli organi di stampa e istituzionali. A cominciare da “Il Sole 24 ore” che, con un corsivo di Michele Nones dell’Istituto di Affari Internazionali, nel marzo scorso stigmatizzava la trasformazione di “quella che all’inizio era, forse, una campagna di sensibilizzazione” in un “sistematico tentativo di boicottaggio del sistema industriale della difesa” ed anzi in una “campagna di ‘criminalizzazione’ dell’industria della difesa e delle banche che intrattengono rapporti d’affari con le imprese del settore”.

Col risultato, specificava Gianni Dragoni sempre sul quotidiano di Confindustria, di rendere “più difficili e costose molte operazioni di export, costringendo le imprese a rivolgersi a banche estere, le quali non adottano lo spirito dell’istituto ‘non armato’ o ‘banca etica’”. Insomma, un “boicottaggio” con conseguenze dannose non solo per l’industria militare italiana, ma con effetti controproducenti per la stessa Campagna.

Considerazioni che venivano riprese qualche settimana dopo dalla stessa “Relazione 2005 sull’esportazione di armi”. Secondo la Presidenza del Consiglio, infatti, la decisione “di buona parte degli istituti bancari nazionali di non effettuare più, o quantomeno, limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l’import o l’export di materiali d’armamento” non solo avrebbe creato “notevoli difficoltà operative” all’industria della difesa “tanto da costringerla ad operare con banche non residenti in Italia”, ma addirittura avrebbe avuto la conseguenza “di rendere più gravoso e a volte impossibile il controllo finanziario delle operazioni previste dalla legge 185/90”. In altre parole, il risultato della Campagna sarebbe stato quello di inficiare, se non impedire, la possibilità stessa di controllo da parte del ministero competente.

Dati ufficiali alla mano, al convegno di Roma la Campagna ha ricordato innanzitutto che non c’è alcuna crisi della cosiddetta “industria della difesa”: nell’ultimo anno

le autorizzazioni all’esportazione di armi sfiorano 1,3 miliardi di euro, quasi il triplo rispetto alla media dei tre anni precedenti e, per oltre l’80%, si tratta di operazioni assunte da istituti di credito nazionali. Ma soprattutto la Campagna ha ribadito

il proprio intento: informare le associazioni e i cittadini sul ruolo delle banche nel commercio delle armi chiedendo agli stessi istituti di credito trasparenza e coerenza. Un punto, quest’ultimo, che ha fatto breccia nei maggiori gruppi bancari italiani

alcuni dei quali, in risposta alla Campagna, si sono dati regole di comportamento più stringenti sul finanziamento all’industria e al commercio delle armi.

Il direttore generale di Capitalia ha riconosciuto alla Campagna il merito di aver indicato al mondo bancario che “non tutto ciò che è legittimo è anche etico”

e che “nel legittimo c’è anche il non etico”.

Nuovi compiti attendono ora la Campagna: dal coordinamento con le associazioni che nei Paesi europei sono attive nel monitorare le connessioni tra finanza e industria militare ad un’azione comune affinché l’Ue si doti di una normativa improntata

alla trasparenza per le operazioni di finanziamento alla produzione e al commercio

di armi. Tenendo alta l’attenzione sul controllo dell’esportazione di armi italiane e sull’annunciato “progetto di riscrittura” della legge 185/90.


Giorgio Beretta è caporedattore di Unimondo (www.unimondo.org) e coordinatore della Campagna di pressione alle “banche armate”.

Attivo nella Rete italiana per il disarmo, in qualità di ricercatore collabora con Oscar (l’Osservatorio sul commercio delle armi di Ires Toscana) e con Opal (l’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia). Ha scritto numerosi articoli sul commercio di armi italiane e sul ruolo delle banche nelle operazioni di finanziamento e appoggio all’esportazione di armi.

LA CAMPAGNA BANCHE ARMATE

Promossa dalle riviste Nigrizia, Mosaico di Pace, Missione Oggi, la Campagna “banche armate” è stata avviata nel 2000, anno del Giubileo, per chiedere ai risparmiatori di interrogare le proprie banche sulle operazioni di appoggio alla compravendite di armi: un modo semplice ed efficace di favorire un controllo dei cittadini sui propri risparmi. In risposta alle domande dei correntisti alcuni istituti di credito (tra cui Mps, Unicredit, Banca Intesa), hanno deciso di eliminare o limitare i propri servizi per l’esportazione di armi, soprattutto verso quei Paesi per i quali vigono gli espliciti divieti della legge 185/90, come nazioni sottoposte all’embargo di armi da parte dell’Onu e dell’Unione europea, responsabili di gravi e accertate violazioni dei diritti umani, i Paesi poveri o fortemente indebitati che destinano ampie risorse alle spese militari. Tutte le informazioni sul sito
www.banchearmate.it.

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