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Sognando sentiero mare – Ae 85

In Sardegna tre mesi di cammino ininterrotto a piedi lungo le coste: per tracciare il “sentiero mare” più bello del Mediterraneo. Oltre 1.750 chilometri, per larga parte ancora incontaminati Tre mesi di cammino. Quando leggerete queste righe noi saremo già…

Tratto da Altreconomia 85 — Luglio/Agosto 2007

In Sardegna tre mesi di cammino ininterrotto a piedi lungo le coste: per tracciare il “sentiero mare” più bello del Mediterraneo. Oltre 1.750 chilometri, per larga parte ancora incontaminati


Tre mesi di cammino.
Quando leggerete queste righe noi saremo già partiti da Olbia, il 27 giugno, per percorrere integralmente a piedi le coste della Sardegna (comprese le isole minori di Sant’Antioco, San Pietro, La Maddalena e Caprera). Data di arrivo: fine settembre.

Il nostro viaggio ha due obiettivi: verificare la possibilità di tracciare il “Sentiero mare”  più lungo del Mediterraneo e rifotografare lo stato delle coste quarant’anni dopo il mitico sopralluogo di un altro grande fotografo, Italo Zannier. Rimetteremo i piedi negli stessi punti di allora, con le stesse angolazioni, e scatteremo 300 immagini di confronto. Il risultato consentirà di capire, “a colpo d’occhio”, quel che è successo in Sardegna  nel volgere di poche decine d’anni e l’importanza del decreto salva-coste e del neonato Piano paesistico della giunta Soru.  

Il sogno di un “sentiero mare” è reso possibile ora proprio da questi provvedimenti (il Piano paesistico regionale è stato approvato nel 2006) che segnano un’inversione di tendenza nella salvaguardia del territorio e nelle politiche di sviluppo: si decide infatti di puntare sullo straordinario patrimonio ambientale e umano che rende l’isola unica e irripetibile. Solo sulle coste sarde si possono ancora trovare tanti chilometri di wilderness; nonostante i villaggi turistici e le seconde case, il 70% delle coste non è antropizzato e spesso non è nemmeno raggiungibile con strade asfaltate. Sull’isola si contano oltre 30 stagni costieri, di cui 8 di importanza internazionale. Lungo la costa o a breve distanza da essa, inseriti in un paesaggio incantevole, sorgono i siti archeologici di città puniche e romane, insediamenti nuragici, villaggi minerari con ricche testimonianze della storia più recente dell’isola. E poi ci sono le attività agricole di qualità, e la pastorizia.

È con queste premesse che abbiamo deciso di percorrere a piedi le coste dell’isola. In altri Paesi sono stati segnati sentieri escursionistici assai frequentati e fonte di reddito per le popolazioni locali. Non occorre andare molto distante, basta attraversare le Bocche di Bonifacio e sbarcare in Corsica, dove la Grande Randonée N° 20 attraversa l’isola da Sud a Nord. Il percorso è segnato, attrezzato di spartani rifugi (ma tutti o quasi muniti di pannelli fotovoltaici per l’illuminazione), gestiti spesso dai pastori che hanno anche l’opportunità di vendere direttamente in azienda i loro prodotti, e in particolare i formaggi. In agosto, lungo la GR 20 il problema è spesso il sovraffollamento dei rifugi. Nessuno si sorprende di vedere persone che camminano con lo zaino.

Possibile che per la Sardegna non ci abbia ancora pensato nessuno? È vero che nell’isola esistono alcuni percorsi segnati e frequentati: il più noto è il “Selvaggio blu”, otto giorni di trekking estremo da Pedra Longa (Baunei) a Cala Luna (Dorgali), con passaggi alpinistici non proprio per tutti. Appunto: non per tutti. Noi invece abbiamo in mente un percorso escursionistico che possa essere affrontato integralmente da chi ama le esperienze estreme, ma che, preso a piccole dosi, possa essere accessibile a tutti, per un giorno o una settimana o un mese, perché camminare è un’attività naturale per donne uomini e bambini di ogni età.



Gli oltre 1800 chilometri della Sardegna lo meritano. Curiosamente questa regione posta nel cuore del Mediterraneo per secoli non ha avuto una vocazione marinara. I pirati saraceni e il flagello della malaria hanno spinto i sardi nel più sicuro entroterra.

Ancora negli anni ‘60, la prestigiosa guida rossa del Touring Club Italiano consigliava di visitare la regione in primavera o in autunno, quest’ultima stagione ideale per la caccia. A sole e bagni nessun cenno. La guida dedicava invece un intero capitolo alle radiose prospettive di sviluppo legate alle attività minerarie e al “Piano di Rinascita”, che tra il 1966 e il 1970 sostenne soprattutto il comparto industriale: lì si vedeva il cardine dell’economia regionale, il sicuro avvenire dell’economia sarda. Poche righe marginali venivano dedicate alle stazioni di turismo balneare, citando il caso “clamoroso” della “valorizzazione” della Costa Smeralda da parte di iniziative di carattere internazionale.

Con queste premesse, non c’è da stupirsi che negli ultimi trent’anni il saccheggio delle coste sarde sia avvenuto, per iniziativa di investitori e speculatori spesso venuti da fuori, in assenza di una chiara programmazione del settore turistico. Come ha avuto modo di dire il presidente della Regione Renato Soru a proposito del suo “decreto salva-coste”, in Sardegna il turismo si è troppo spesso confuso con l’edilizia, con la vendita  (o svendita) del territorio, con la nascita di seconde case e villaggi turistici utilizzati pochi mesi l’anno, subito oggetto di rapido degrado e che generano posti di lavoro precari e stagionali. Questo tipo di turismo può essere paragonato allo sfruttamento delle risorse minerarie sarde: gli imprenditori stranieri arrivavano, estraevano finché il minerale era buono, per poi abbandonare i minatori a un destino di disoccupazione e il territorio da bonificare a spese della collettività.

Mentre scriviamo queste righe alla vigilia della partenza, sappiamo già che sulle spiagge sarde saremo visti come marziani in terra. Sappiamo anche che ci saranno problemi dove gli insediamenti turistici e le proprietà private impediscono l’accesso alla fascia di rispetto della battigia, di proprietà demaniale e per la quale si pagano irrisori affitti allo Stato, a fronte di profitti tutt’altro che esigui. Sappiamo già di dover affrontare il cane da guardia, la recinzione col filo spinato, la diffidenza del proprietario di seconda casa. Sarà, insomma, un viaggio in salita. Con cui speriamo di far capire alcune cose: che la natura incontaminata e il mare della Sardegna sono beni di tutti, che possono e devono essere accessibili a tutti. Che un sentiero consente di allungare la stagione turistica alla primavera e all’autunno, con qualche beneficio a chi di turismo vive e lavora. Tutto questo senza che si debba impastare del cemento e costruire strade, senza abbattimento di alberi e movimento terra. Senza svendita del territorio. L’escursionista lascia solo l’impronta del proprio piede sulla sabbia.



La battaglia salva-coste

Il 10 agosto del 2004 un vero terremoto scuote il mondo immobiliare sardo: il “decreto salva-coste” pone per 180 giorni un vincolo sui due chilometri dalla linea di battigia. Nulla si può costruire, salvo ristrutturare immobili esistenti. Inizia una dura e lunga battaglia legale e legislativa. Il governo Berlusconi impugna il provvedimento ma, nel gennaio 2006, la Corte costituzionale respinge il ricorso. Intanto la giunta Soru vara la Conservatoria delle coste. I compiti dell’istituzione sono l’acquisizione progressiva del territorio costiero, per garantirne la tutela. Nel frattempo proseguono i lavori per la redazione del Piano paesistico regionale, portato a termine in tempi record, il 24 maggio del 2006. Viene ribadito il principio che la costa e il mare della Sardegna sono un bene da tutelare per le generazioni future, mantenendo il divieto di edificazione, pur consentendo interventi nei centri abitati esistenti: insomma, più paesi vivi e meno villaggi fantasma di cartapesta.



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