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La “rivoluzione galvanizzante” attesa al Forum sociale mondiale in Colombia

© Randy Colas

Dal 26 al 29 giugno si è svolto a Bogotà l’ottavo Forum sulla salute e sulla protezione sociale. Tre giorni di riflessioni, denunce, scambi e proposte per superare la globalizzazione del mercato e lo svuotamento delle regole di diritto pubblico. L’esempio della lotta degli indigeni Waorani che hanno salvato dalle trivelle dei petrolieri 200mila ettari delle terre ancestrali nella Amazzonia ecuadoriana

Naomi Klein ha ragione quando scrive che le popolazioni indigene, con i loro trattati sulle terre ancestrali, si sono dimostrati una formidabile barriera all’arroganza delle industrie estrattive in molte parti del Pianeta. Grazie alla comune sapienza di dialogo con la natura, e di stretta relazione tra mondo umano e mondo naturale tout court, le comunità indigene sono anche le uniche in grado di raffigurare una prospettiva di sopravvivenza: sono loro l’avanguardia di pensiero e di lotta contro lo sfruttamento illimitato dell’ambiente e l’avanzata mercantile senza regole sulla natura e sulla stessa vita umana che mette a dura prova, oggi, il futuro dell’umanità sulla Terra.

In Colombia, all’VIII Forum sociale mondiale sulla salute e la protezione sociale, la cosmogonia delle comunità indigene latinoamericane mi ha riportato più volte alle pagine della Klein sui cambiamenti climatici e la necessità di una rivoluzione galvanizzante per una trasformazione generale della politica. Così da restituire alla cura della vita (“el cuidado de la vida”) la dignità che merita, al bien vivir il riconoscimento di strategia fondamentale per impostare economie locali sostenibili e per bonificare le nostre democrazie dall’influenza corrosiva delle corporations che spingono i governi verso processi di privatizzazione nel campo dei diritti. Salute e non solo.

Questa visione di resistenze accomunate dalla medesima, dolorosa, fibra e incrociate nella coscienza di una lotta globale contro lo stesso modello economico, tale da coinvolgere ormai inesorabilmente anche il Nord del mondo con sacche di lotta che hanno poco da invidiare a quelle indigene, ha agito da potente intelaiatura nelle sessioni del Foro, all’Università Nazionale di Bogotà. Tre giorni di riflessioni e denunce, scambi di esperienze e proposte, su salute, pace, crisi climatica, protezione sociale, diritti, giustizia tributaria e democrazia. La sessione ha segnato la tappa conclusiva di un percorso collettivo che ha coinvolto per mesi -in Colombia, Brasile, Paraguay, Uruguay, Ecuador, Venezuela, Repubblica Dominicana, Perù- professionisti della sanità, comunità indigene, esperti dell’accademia, gruppi di donne e associazioni del sindacato. Realtà che si trovano per diversi motivi impegnate a promuovere l’educazione popolare, a difendere la salute pubblica, a contrastare le derive privatistiche e gli accaparramenti di terre. Vivace l’interazione con le esperienze internazionali di rappresentanti di Francia, India, Italia, Spagna, presenti a Bogotà. Comune la critica al modello assicurativo in campo sanitario, che ha trasformato la salute in terreno di conflitto fra ricchi e poveri, di creazione del mercato dei poveri, di accaparramento di risorse pubbliche per lucri privati. Le concessioni assegnate ai privati di 18 dei 22 ospedali della municipalità di Bogotà, rimandano alla irrefrenabile corsa alle polizze sanitarie per tutti che in Italia, occorre ricordarlo, vedono nei sindacati i principali paladini, e che azzoppano il servizio sanitario nazionale.

Perché tutte le questioni sono interconnesse. Perché la sfida, come sa chi combatte da decenni espropriazioni delle terre, devastazioni dell’ambiente a opera di multinazionali che operano con il compiacimento dei governi -attraverso forme di corruzione, ma anche con licenze legali- intimidazioni e uccisioni, la sfida è quella tra un paradigma economico di profitti di morte, e la vita. Il corso è elevatissimo. Lo fa capire Maria Luz Marin cha parla del suo Paese, il Paraguay, come del cuore neoliberista dell’America Latina, una “nazione di terre senza contadini, e di contadini senza terre”. Lo racconta Luz Teresa Gomes, vice-rettrice dell’Università, che esordisce con le centinaia di difensori dei diritti umani uccisi in Colombia dall’inizio dell’anno.

La circostanza nuova è la coscienza globale che non possiamo andare avanti così. Che non resta molto più tempo per cambiare stile di vita, e il funzionamento dell’economia. Trenta anni fa, l’abbattimento del Muro di Berlino doveva portare con sé la promessa di una nuova storia di liberazione e di diritti umani. Tocca prendere atto che quelle speranze non si sono tradotte in realtà. Non si fa altro che parlare di diritti, ma la civilizzazione universale attesa –un mix di opportunità educative, suffragio universale, crescita economica, iniziativa privata, e progresso individuale- non si è materializzata. Piuttosto, l’accettazione passiva delle disuguaglianze strutturali che dominano il nostro tempo, dello sfruttamento del lavoro e delle spaventose situazioni di vita in cui è costretta a vivere una porzione crescente di popolazione mondiale, come umanità di scarto, corrisponde a una utopia regressiva che sembriamo disposti ad accettare come un irreparabile destino. Al quale ha fortemente contribuito la abdicazione morale e intellettuale dei partiti della sinistra occidentale, che hanno sistematicamente avallato e gestito lo smantellamento dello stato sociale, la massiccia privatizzazione dei servizi e la finanziarizzazione dell’economia. Vi dice qualcosa, il New Labour?

La globalizzazione del mercato ha prodotto uno svuotamento sistematico delle regole di diritto pubblico e un indebolimento in apparenza irreversibile della politica, intesa come strategia di mediazione nell’interesse generale. Ma l’opportunità esiste, come mai prima: quella di usare il cambiamento climatico come un cavallo di Troia per superare il capitalismo e introdurre, come propone di nuovo Naomi Klein, una nuova visione eco-socialista. La recente lotta degli indigeni Waorani che hanno salvato dalle trivelle dei petrolieri 200mila ettari delle loro terre ancestrali nella Amazzonia ecuadoriana, indica la strada da apprendere, e percorrere.

Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di salute globale, da sempre impegnata per i diritti umani. È stata direttrice di Medici Senza Frontiere Italia e componente del CdA di Banca Etica

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