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Diritti / Approfondimento

Soccorsi negati e respingimenti nel Mediterraneo: il fallimento dei Paesi europei

© Sea-Watch

Dagli ostacoli alle Ong agli accordi con la Libia, in un nuovo rapporto la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic denuncia le politiche migratorie dei Paesi dell’Ue, inadeguate e responsabili di migliaia di morti in mare. La pandemia ha aggravato la “vergognosa tragedia”

“I Paesi europei stanno fallendo nella protezione dei rifugiati e dei migranti che tentano di raggiungere l’Europa via mare”. È l’accusa rivolta da Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, agli Stati membri dell’Ue colpevoli di non assicurare un’adeguata protezione della vita delle persone che tentano la traversata del Mediterraneo: politiche che causano “migliaia di morti, evitabili, ogni anno”. Dagli ostacoli alle attività delle Ong all’assenza di un programma di ricerca e salvataggio adeguato, passando agli accordi con le autorità libiche: sono le principali tematiche affrontate dal rapporto “Una richiesta di soccorso per i diritti umani” pubblicato il 9 marzo 2021 in seguito alle raccomandazioni inviate, nel 2019, in cui si richiedeva di adottare politiche migratorie maggiormente conformi al diritto internazionale.

Il rapporto analizza, singolarmente, quattro indicatori che descrivono il disegno politico europeo in tema di governance del fenomeno migratorio. Il primo riguarda l’effettività dei meccanismi di ricerca e salvataggio. Nel rapporto si osserva come, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim), il rischio di naufragio per chi tenta la traversata è rimasto alto e sta crescendo “lentamente ma in modo costante” a partire dai mesi successivi alla prima ondata di Covid-19. Stime numeriche -2.600 morti da giugno 2019 a dicembre 2020- che sono al ribasso, considerando che l’assenza di un adeguato sistema di ricerca incide anche sul numero dei potenziali naufragi non registrati. La commissaria osserva inoltre come la pandemia abbia peggiorato la situazione. Sia l’Italia sia Malta hanno adottato misure restrittive e, dall’altro verso, l’operazione Eunavfor Med Irini, iniziata nell’aprile 2020 come proseguimento dell’operazione Sofia, si concentra su zone del Mediterraneo -l’Est della zona di soccorso libica e la porzione di mare tra Grecia ed Egitto- in cui è più raro incontrare imbarcazioni in difficoltà.

L’assenza di autorità militari e gli ostacoli alle Ong hanno causato “un grave impatto sulla situazione del Mediterraneo”. Non solo in termini di salvataggio dei rifugiati e dei migranti ma anche perché l’onere di soccorre le imbarcazioni in difficoltà viene addossato a navi private che non solo non hanno una strumentazione adeguata per operare soccorso ma, considerando i lunghi tempi di trasbordo e di assegnazione di un porto sicuro, vedono messi a rischio anche la salute dell’equipaggio. La commissaria osserva come sia “difficile non avere l’impressione” che questo disegno abbia “lo specifico obiettivo di aumentare la possibilità che coloro che sono in mare siano intercettati dalla guardia costiera libica”.

Il rapporto prosegue analizzando il trasferimento delle persone soccorse in un porto sicuro. I numeri sono chiari: nel 2020, il numero di persone intercettate dalla cosiddetta guardia costiera libica è cresciuto del 34% rispetto all’anno precedente (11.891). Un aumento dovuto alla cooperazione tra i Paesi europei e le autorità libiche che, rivestendo il ruolo di coordinatori dei soccorsi, hanno il potere di indirizzare le navi private verso le loro coste: circa 30 imbarcazioni, dal 2018 al 2020, hanno respinto i migranti che tentavano la traversata. “Le attività di cooperazione con la Libia sono state rafforzate -sottolinea Mijatovic- nonostante l’innegabile evidenza delle violazioni dei diritti umani e senza l’attuazione delle garanzie dei diritti umani, compresa la trasparenza nelle operazioni e l’assunzione di responsabilità”.

Il riferimento è al cambiamento nel controllo dei confini tramite la sorveglianza area con l’ausilio dell’agenzia Frontex: i dati dei satelliti e dei droni vengono condivisi anche con le autorità libiche e questo “non è legittimo perché favorisce intercettazioni e respingimenti”. Respingimenti sia diretti sia indiretti, che “sembrano crescere” così come segnalato dalle numerose denunce rivolte alla guardia costiera greca e cipriota. In questo disegno, la commissaria sottolinea l’ostilità nei confronti delle Ong che operano in mare rispetto a cui la stigmatizzazione non è diminuita. I governi continuano a sottolineare l’esistenza di un pull factor che fino ad ora non è ancora stato dimostrato e l’utilizzo dei procedimenti penali e amministrativi contro le navi di soccorso sono continuati senza sosta in uno scenario in cui “le restrizione nelle attività delle Ong hanno serie implicazioni per la protezione dei diritti umani e della vita in mare”.

Per quanto riguarda la cooperazione con le autorità libiche, nel rapporto si sottolinea il rinnovo per altri tre anni del memorandum tra Libia-Italia che è nuovamente “fonte di preoccupazione” per la commissaria. Mentre le autorità italiane stavano proponendo emendamenti per introdurre chiare procedure di salvataggio, il patto è stato esteso, in termini di durata, senza un chiaro accordo sui cambiamenti da apportare in termini di rispetto dei diritti umani. Una nota di demerito anche ai parlamentari italiani che, quando hanno avuto la possibilità di promuovere un approccio conforme al diritto internazionale, hanno votato per il rinnovo del memorandum. Non è solamente l’Italia a proseguire la collaborazione con le autorità libiche.

Nel nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, la cooperazione con i Paesi terzi riveste infatti un ruolo fondamentale: il supporto alla guardia costiera libica, come parte dell’operazione Irini, continua accompagnato da uno scarso meccanismo di monitoraggio sull’utilizzo dei finanziamenti europei in Africa. Per questo, la commissaria chiede agli Stati membri del Consiglio d’Europa di ricordare il “dovere di rispettare i loro obblighi, in termini di conformità di rispetto dei diritti umani, anche nel contesto di azioni collettive con altri Stati membri”. Ancora con riguardo alla Libia, in uno specifico passaggio dedicato all’Italia, la commissaria sottolinea le modifiche al “decreto Salvini” che hanno chiarito come l’ingresso, il transito e la permanenza nelle acque territoriali delle imbarcazioni che hanno condotto operazioni di salvataggio non può essere proibito qualora sia stato immediatamente comunicato al centro di coordinamento delle operazioni. Preoccupa però “il caso in cui il coordinamento sia delle autorità libiche che potrebbe comportare un trasferimento in Libia”.

In chiusura, la commissaria analizza le possibilità di raggiungere l’Europa attraverso vie legali. Nel 2020, il numero dei rifugiati che necessitano di un reinsediamento sono attualmente 1,44 milioni e il gap tra coloro che sono stati ricollocati e coloro che necessitano di tale misura è aumentato. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) stima che entro il 2028 circa tre milioni di rifugiati necessiteranno di avere accesso a vie legali e sicure, di cui un milione tramite reinsediamento. “Per garantire un’appropriata protezione per le persone che necessitano di un reinsediamento -si legge nel rapporto- è necessario che gli Stati aumentino la loro disponibilità”. Il rapporto cita l’esperienza dei corridoi umanitari che hanno permesso a 3.060 persone di raggiungere l’Europa tramite vie sicure. “Purtroppo, l’utilizzo dei visti umanitari che potrebbero assicurare un viaggio in sicurezza e un accesso legale sono fortemente inutilizzati da parte degli Stati membri”. Uno snodo centrale, nella gestione delle politiche migratorie europee. “È il tempo -si augura Mijatovic- che i Paesi europei pongano fine a questa vergognosa tragedia, adottando una politica migratoria che rispetti i diritti umani: non si può aspettare. È una questione di vita o di morte e della credibilità dell’impegno dell’Europa nel rispetto per i diritti umani”.

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