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Ambiente

Servizi pubblici locali e patto di stabilità: un’idea dalla manovra

L’articolo 4 della “manovra di Ferragosto”, in discussione al Senato della Repubblica, dovrebbe realizzare, nel nostro Paese, l’adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’Unione europea (cfr.). L’unico comma che pare rispondere -in parte-…

L’articolo 4 della “manovra di Ferragosto”, in discussione al Senato della Repubblica, dovrebbe realizzare, nel nostro Paese, l’adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’Unione europea (cfr.). L’unico comma che pare rispondere -in parte- alla volontà popolare, espressa dai cittadini che hanno votato 2 sì ai referendum del 12 e 13 giugno, è però il primo, laddove prevede “l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base a una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità”.
È l’idea di “pubblico residuale”, che compare puntuale dai primi anni Duemila in ogni provvedimento legislativo dei vari governi Berlusconi. Fatta salva questa evenienza, gli enti locali dovranno realizzare “una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”. Come se fosse possibile liberalizzazione un monopolio naturale.
Più avanti (comma 34), il legislatore spiega che “sono esclusi dall’applicazione del presente articolo il servizio idrico integrato”, la distribuzione di energia elettrica, il servizio di trasporto ferroviario regionale. Il governo, però, non può non sapere che questa previsione comporterà, senz’altro, lo stop all’eventuale legge di conversione da parte della Corte Costituzionale. Il primo quesito dei 4 votati in occasione de referendum del 12 e 13 giugno, infatti, non riguarda solo il servizio idrico integrato ma anche il trasporto pubblico locale e la gestione dei rifiuti solidi urbani. Anche questi servizi, se davvero la manovra consiste in un adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare, dovrebbe essere esclusi dalla nuova modalità di privatizzazione. Nell’attacco al pubblico (sia nella forma dell’in house, società pubblica di diritto privato, che in quella di soggetto di diritti pubblico), l’articolo 4 va però oltre: al comma 14 prevede che “le società cosiddette ‘in house’ affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali sono assoggettate al patto di stabilità interno”, ovvero al meccanismo che prevede dei limiti alla spesa pubblica degli enti locali per tenere sotto controllo l’indebitamento netto degli stessi enti territoriali. La scelta del governo rappresenta nient’altro che la volontà di mettere in ginocchio i Comuni, che di fronte all’impossibilità di realizzare gli investimenti necessari a garantire un servizio adeguato, a causa delle limitazione di spesa imposte dal “patto di stabilità”, saranno costretti a privatizzare.
La scelta del governo appare “incomprensibile” confrontandola con quanto previsto al successivo articolo 5 (“Norme in materia di società municipalizzata”), che mette a disposizione 500 milioni di euro a favore di quegli enti locali che provvedano entro il dicembre 2012 e 2013 “alla dismissione di partecipazioni azionarie in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica”. Il Sole 24 Ore saluta con giubilo (Giorgio Santilli, domenica 14 agosto) una “mossa spettacolare”, “il premio ai Comuni-privatizzatori dei servizi pubblici locali” definito anche “un rilancio liberista e, al tempo stesso, una forma innovativa di attenzione alla necessità di accelerare i programmi infrastrutturali”. Si perché, pur andando ad accrescere il debito pubblico per almeno 200 milioni di euro nel biennio (almeno secondo la Banca d’Italia, in audizione alla commissione Bilancio del Senato), l’articolo 5 prevede anche che “le spese effettuate a valere sulla predetta quota sono escluse dai vincoli del patto di stabilità interno”. Ribadiamolo: il gestore pubblico, è vincolato ai rigori del patto di stabilità; chi privatizza, invece, può spendere (o investire) a piacimento. Un bel regalo agli enti locali il cui bilancio, anche a causa dei tagli ai trasferimenti dall’amministrazione centrale, è alla canna del gas.
Senza condividere la manovra del governo, possiamo far nostro il principio: che tutti gli investimenti sui servizi pubblici locali, e in particolare nel disegno di una gestione “pubblica e partecipata del servizio idrico integrato”, secondo l’idea del Forum italiano dei movimenti dell’acqua, siano fuori dal patto di stabilità interno, un’idea ripresa anche dall’ex ministro Giorgio La Malfa che sempre su Il Sole 24 Ore l’11 agosto ha scritto: “Gli investimenti pubblici, se sono ben fatti, portano con sé un dividendo fiscale che ne costituisce la copertura”, aggiungendo che a livello europeo “per anni è stato chiesto, anche da personalità non certo sospette di lassismo finanziario, come il Presidente Ciampi e il professor Monti, di attenuare il vincolo che il patto di stabilità pone sulla spesa pubblica, distinguendo fra spesa corrente e spesa di investimenti”. Un’idea che, accompagnata alla “nuova” finanza pubblica immaginata dal Comitato referendario “2 sì per l’acqua bene comune” darebbe le gambe dell’“economia” e dalla “finanza” al progetto di gestione pubblica e partecipata del servizio idrico integrato.

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