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Diritti / Opinioni

Serve cambiare verso sui diritti

Su immigrazione e droghe è tempo di cambiare leggi, per superare la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini, che hanno istituito i Cpt (ora Cie), e la Fini-Giovanardi che riempie le carceri e rende inutile ogni amnistia

Siamo troppo abituati -da almeno un ventennio- alla politica dell’annuncio, per essere già persuasi che stia iniziando una stagione autenticamente riformatrice. Ma che un’azione del genere sia urgente al fine di mantenere un tasso decente di effettività democratica nel nostro ordinamento, è una dolorosa verità. Per ora siamo alle parole. Si parla, a volte si straparla, di diritti civili e di modifiche profonde a quelle parti della legislazione vigente che più conflIggono con il pieno esercizio delle libertà individuali e collettive: si va dalle unioni omosessuali con o senza diritti di adozione alla questione dello ius soli, dal superamento della Bossi-Fini contro l’immigrazione all’introduzione del reato di tortura. Poco si parla, se non per timidi accenni, di una legge fra le peggiori oggi in vigore, la cosiddetta Fini-Giovanardi sul consumo e lo spaccio di sostanze stupefacenti. È questa una delle leggi-bandiera dell’ultimo decennio: il governo Berlusconi la formulò nel 2005 per mostrare la sua inflessibilità di fronte al fenomeno delle tossicodipendenze. Le nuove regole furono inserite inizialmente in un decreto sulle Olimpiadi invernali di Torino, e perciò la Fini-Giovanardi può essere considerata una legge due volte simbolica: per il suo spirito perbenista e autoritario e perché esemplare di quell’abuso della decretazione d’urgenza  -troppo tollerato dai presidenti della Repubblica- che ha stravolto le funzioni costituzionali del Parlamento. La Fini-Giovanardi è poi diventata legge nel 2006, e da allora è fra le principali responsabili dell’affollamento carcerario. Decine di migliaia di persone, nel corso degli anni, sono finite in prigione per comportamenti -in particolare spaccio e consumo di droghe leggere- che in precedenza non erano reato o non comportavano detenzione. L’Associazione Antigone (www.associazioneantigone.it) nel suo ultimo rapporto, stima che ben il 38% dei detenuti siano in carcere per violazioni della legislazione sulle droghe. Come già fu detto nel 2006, all’epoca dell’indulto deciso dal governo Prodi, svuotare le carceri con provvedimenti di clemenza serve a ben poco, se misure del genere non sono accompagnate da una revisione radicale di quelle norme che portano in carcere migliaia di persone per reati lievi e di bassa pericolosità sociale. Sulla Fini-Giovanardi, che di fatto equipara droghe leggere e pesanti e infligge pene altissime, grava al momento un giudizio di legittimità davanti alla Corte costituzionale: un fatto che dovrebbe accelerare il processo di riforma. Vedremo se sarà questo Parlamento ad occuparsene: in ogni caso sarebbe da augurarsi che una revisione profonda delle leggi sulle droghe corra di pari passo con una bonifica generale dell’ordinamento dalle molti leggi di sapore autoritario. Gli accenni al “superamento della Bossi-Fini” fanno pensare che anche le maggiori forze politiche siano coscienti della necessità di rivedere le leggi sull’immigrazione (in realtà contro l’immigrazione) e quindi il sistema dei diritti civili per i cittadini di origine straniera. Anche qui, una riforma democratica dovrebbe andare a fondo e quindi mettere in discussione l’impianto sul quale la Bossi-Fini si è innestata, cioè la legge Turco-Napolitano del 1998, alla quale si deve la sciagurata introduzione dei Cpt, centri di detenzione per persone non colpevoli di alcun reato. Per quindici anni quei movimenti antirazzisti e quegli attivisti o commentatori che denunciavano i Cpt (ora Cie) come un obbrobrio giuridico, politico e morale, sono stati tacciati di estremismo e demagogia. Ora Luigi Manconi e Valentina Brinis possono titolare un loro libro “Accogliamoli tutti”, (Il Saggiatore) un titolo che non è una provocazione ma una proposta seria e praticabile che avrebbe l’effetto di allargare lo spazio politico e giuridico al diritto all’emigrazione, un concetto centrale ma finora poco o punto considerato nel dibattito in materia. Viviamo da almeno vent’anni una fase di compressione dei diritti e un cambio di rotta non è più rinviabile. Aspettando ancora, ne uscirebbe compromesso quell’humus culturale, nelle istituzioni e nella cittadinanza, che è l’habitat naturale per una stagione di riforme. Le quali, per essere autentiche, devono essere profonde, devono cioè intaccare i presupposti autoritari e perbenisti che hanno ispirato leggi come la Fini-Giovanardi, la Turco-Napolitano, la Bossi-Fini. Come si concili una prospettiva del genere con le pulsioni maggioritarie e demagogiche oggi prevalenti nel sistema politico, è il dilemma che dovremo affrontare nei prossimi mesi. —
 

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