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Diritti / Attualità

“Sea Watch”: il ricorso alla Corte europea che potrebbe bloccare la deriva

I naufraghi a bordo e l’equipaggio della nave tenuta al largo delle coste di Siracusa hanno chiesto alla Corte di Strasburgo di imporre all’Italia il rispetto della Convenzione europea dei diritti umani. Se il pronunciamento fosse positivo sarebbe un precedente decisivo. Il governo italiano sostiene che la giurisdizione è olandese. Ma si sbaglia, come spiega Francesca De Vittor, ricercatrice in diritto internazionale

La Corte europea dei diritti dell’uomo potrebbe imporre all’Italia di far sbarcare i migranti e l’equipaggio a bordo della “Sea Watch 3”, tenuta al largo delle coste di Siracusa e in mare da oltre 10 giorni. Segnando così un precedente decisivo e un argine alla “deriva” governativa dei porti chiusi o dei sequestri di persona, come nel caso Diciotti.

Il Regolamento della CEDU, infatti, prevede che la camera o il presidente di sezione o un giudice di turno possano, su richiesta di una persona interessata o d’ufficio, “indicare alle parti le misure provvisorie la cui adozione è ritenuta necessaria nell’interesse delle parti o del corretto svolgimento della procedura” (art. 39). In questo caso, a promuovere il ricorso che chiede appunto il pronunciamento immediato in via cautelare da parte della Corte di Strasburgo di fronte a danni potenzialmente irreparabili in capo ai naufraghi soccorsi, sarebbero stati il comandante della nave e il capo missione di “Sea Watch”, insieme ai naufraghi. E non certo il Governo italiano, come alcuni hanno impropriamente riferito nelle ultime ore.

Di fronte all’ipotesi del pronunciamento immediato della CEDU -e al potenziale, determinante, precedente-, il 28 gennaio la presidenza del Consiglio dei ministri è corsa ai ripari e ha diramato una nota di risposta in cui annuncia “una memoria davanti alla Corte, con la quale farà valere la giurisdizione olandese, contestando la propria legittimazione passiva”. “Non è l’Italia a dover rispondere di questo caso”, sostiene Palazzo Chigi.

“È esattamente il contrario”, spiega però Francesca De Vittor, ricercatrice in Diritto internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano. Secondo De Vittor, infatti, il governo italiano continua a confondere “il diritto nazionale e internazionale applicabile con il piano della propaganda e del negoziato politico”.

Come infatti ha ricordato anche nei giorni scorsi l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI, www.asgi.it), “l’obbligo degli Stati di garantire lo sbarco in un luogo sicuro delle persone soccorse in mare nel più breve tempo possibile, sancito dalla normativa internazionale e nazionale, non può in alcun caso essere condizionato dalla disponibilità di altri Stati ad accogliere successivamente le persone sbarcate”.

La tesi del governo è che per bandiera della nave (“olandese”) e zona di salvataggio (“acque internazionali”), la giurisdizione sia dell’Olanda. È così?

FDV “La confusione creata ad arte è incredibile. Che la nave sia in questo momento sottoposta alla giurisdizione italiana per quanto concerne l’applicazione della CEDU è pacifico. La nave Sea Watch è attualmente in acque territoriali italiane, poco fuori dal porto di Siracusa, con l’ordine della capitaneria di porto di non lasciare il posto di fonda assegnato, e peraltro totalmente isolata in ragione dell’ordinanza della stessa capitaneria di porto che vieta ad altre imbarcazioni di avvicinarsi a alla nave per motivi di tutela dell’ordine pubblico e della sanità pubblica. L’Italia quindi non solo ha giurisdizione, ma la ha anche esercitata in modo attivo incidendo in modo pesante sui diritti umani delle persone a bordo“.

Il governo ha dichiarato che “depositerà una memoria davanti alla Corte, con la quale farà valere la giurisdizione olandese, contestando la propria legittimazione passiva”.

FDVNon mi pare una linea difensiva valida. Come ho detto prima, la giurisdizione italiana per le violazioni attualmente in corso, in particolare la violazione dell’art. 3 della Convenzione (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti) per le condizioni in cui queste persone sono tenute a bordo, e dell’art. 5 (privazione della libertà senza fondamento legale né controllo giurisdizionale), è evidente. Che possano esserci anche responsabilità di altri Stati, e in particolare dello Stato di bandiera, non incide sulla giurisdizione e responsabilità dell’Italia per la situazione attuale. Mi auguro che la Corte tratti in maniera prioritaria la questione e si pronunci al più presto, vista soprattutto la situazione drammatica venutasi a creare nel Mediterraneo”.

In queste ore il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha subordinato il via libera allo sbarco alla presa in carico dei naufraghi da parte di Olanda o Germania. Se l’approdo avvenisse che fine farebbe il ricorso immediato alla Corte?

FDVSe l’Italia autorizzasse lo sbarco prima che la Corte dovesse imporglielo, allora la richiesta di una misura cautelare verrebbe meno. Ma non verrebbe meno il fatto che quei ricorrenti potrebbero comunque presentare il ricorso di merito per le violazioni subite. Mi spiego: la misura cautelare punta a evitare danni irreparabili per le persone a bordo (in particolare i danni alla salute psicofisica che il trattenimento in condizioni inumane contrarie all’art. 3 comporta), la richiesta ai sensi dell’art. 39 del Regolamento è una richiesta d’urgenza, che viene fatta rapidamente e con gli elementi disponibili e non condiziona poi le doglianze che vengono presentate in maniera più approfondita nel ricorso. Dal momento della violazione e della cessazione della stessa (o meglio dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, che però in questo caso mancano o sono inaccessibili ed inefficaci inefficaci per come la vicenda si sta svolgendo), però, i ricorrenti hanno sei mesi per confermare con ricorso di merito alla Corte quell’iniziativa e la Corte, come è stato per il caso Hirsi (quando Italia fu condannata nel febbraio 2012 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il respingimento nel 2009 di 24 persone, prima recuperate in mare, poi trasferite sulle navi militari italiane e infine ricondotte a Tripoli, ndr), potrà pronunciarsi più avanti, senza più l’urgenza”.

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